La collettivizzazione del feticismo in Aldo Nove
L’opera di Aldo Nove riproduce fedelmente i risultati della riforma tardocapitalistica nell’economia italiana e dell’apparato culturale che ne ha supervisionato l’agire. Dal momento che, come illustrato da Jameson[1], l’estetica tardocapitalistica ha incorporato i motivi modernisti mercificandoli in un prontuario al servizio della narrativa consumistica, conviene analizzare la produzione di Nove per esaminare da vicino tale operazione di conversione. Nella fattispecie, ad essere analizzata sarà la collettivizzazione del feticismo.
Collettivizzazione del feticismo: le madeleines postmoderne
Francesco Ghelli ha coniato la formula «madeleine postmoderna»[2] per indicare il fenomeno feticistico declinato dal «discours du capitaliste». Operando in una concezione opposta rispetto all’azione epifanica del dolcetto proustiano, la tendenza feticistica della quale sono attori gli italiani del dominio consumistico non è più una rara deviazione privata, una parafilia da condannare, bensì è incentivata quale pratica assembleare e collante sociale. Il feticismo inverte la sua polarità assiologica – da negativa a positiva – davanti alle urgenze commerciali: l’obiettivo è l’istituzione di una comunità commerciale fondata sulla condivisione degli stessi desideri e sull’acquisto della stessa merce.
Qualsiasi icona della realtà consumistica, della narrativa – soprattutto televisiva – di quegli anni, può ambire al rango di feticcio: che sia un prodotto di cui fruire, un programma da seguire, un VIP da conoscere, una canzone da ascoltare, l’importante è che appartenga a un orizzonte comunicativo accessibile da chiunque e che sia in grado di coagulare su di sé le attenzioni e le affezioni della massa.
Il mondo dell’amore
Gli scritti di Nove inscenano cataste di madeleines postmoderne, di catalizzatori di memorie e proiezioni collettive. Si legga un estratto de Il mondo dell’amore contenuto nell’antologia Gioventù cannibale:
In macchina, io e Sergio facciamo sempre “Tàtta tàra tattà tatàtta!”. Facciamo così, come all’inizio di Ok il prezzo è giusto. Iva Zanicchi entra e c’è quella specie di festa, prima della pubblicità. Tutti saltano e gridano: “Ok il prezzo è giusto!”[3]
I giovani cresciuti in quella importante cesura storica si esibiscono in comportamenti tourettici fomentati da un’ossessione comune verso i miti culturali del momento – in questo caso, la sigla di un programma TV: le azioni vengono feticizzate non in quanto disturbi individuali bensì alla stregua di rituali da espletare in compagnia.
Strategie formali dietro la collettivizzazione del feticismo
A livello formale, la simpatia feticistica si realizza secondo due procedimenti che è possibile rilevare sin dalla raccolta Superwoobinda. Da una parte, nell’uso dell’apostrofe e di un ritmo concitato al fine di rinforzare la componente fàtica della prosa e di mantenere un dialogo serrato col coinquilino feticista:
Vi ricordate Maria Giovanna Elmi e Il dirigibile? Vi ricordate Mal? Vi ricordate Sammy Barbot? Vi ricordate Stefani Rotolo? Vi ricordate quello con la bocca storta, Enrico Beruschi? Vi ricordate la Guapa? Vi ricordate Tiziana Pini? Vi ricordate il programma Buonasera con…?[4]
Il lettore è incalzato, condotto a forza nello stesso microcosmo commerciale e mitico occupato dal narratore e dai suoi personaggi; la distanza diegetica dev’essere la più corta e la meno percepibile possibile.
Dall’altra, le merci vengono ospitate all’interno del racconto attraverso sineddochi – soprattutto la marca per l’oggetto – che provocano una sostanziale quotidianizzazione della loro impronta feticistica: «quando vado in Milano con la mia Cherokee Limited TD 4 X 4»[5]; «poi avevo il Moncler arancione»[6]; «tiene in mano una Adelscott»[7]; «compera solo Barilla»[8]. Si perde l’aura altera del feticcio, volgarizzato dalla dimestichezza consumistica che consente la generalizzazione della sineddoche: Nove può citare la Graziella senza specificare che si tratta di una bicicletta, può far ingurgitare al suo personaggio un Pedorex dando per scontato che il lettore sappia cosa sia.
Amore mio infinito
In Amore mio infinito, l’intera biografia sentimentale di un abitante della postmodernità viene scandita in base al rapporto simbiotico venutosi a instaurare con una merce coetanea. L’esperienza privata dell’amore non può essere scissa dall’intelaiatura pubblica dei feticci protagonisti della narrativa televisiva: qualsiasi evento, anche il più personale, è la rifrazione di un gioco di specchi allestito dal consumo; ciascun episodio ha come sfondo il panorama del mercato e dei suoi prodotti. Di seguito, alcuni esempi:
Io mi chiamo Maria, mi ha detto in un modo che sentivo tutte le lettere battere dentro di me e le ho detto
M come mare,
A come aria
R come rockcoccodrillo
I come isola e
A come Andenna, il presentatore della trasmissione a premi La bustarella e mi sono vergognato perché in pratica tartagliavo. Rockcoccoché, mi ha chiesto. Rockcoccodrillo, le ho detto, come la canzone di Bennato all’improvviso arriva un coccodrillo che comanda il tempo.[9]
Lei si è messa a ridere io le guardavo i denti bianchi la faccia che sembrava quella di Clio Goldsmith.[10]
I feticci si comportano da exempla, da unità di una topica condivisa; il narratore li adopera alla stregua di similitudini confidando nella loro portata semiotica. Ciascun personaggio è eco di un attore, ciascuna vicenda pare imitare la trama di un film; Nove restituisce un racconto in cui pubblico e privato, infanzia e mercato culturale, sono un unico agglomerato indistricabile.
La più grande balena morta della Lombardia
L’apice di tale dinamica inventiva si raggiunge in La più grande balena morta della Lombardia, una vera e propria galleria di istantanee di quegli anni e del feticismo commerciale.
L’opera aspira a essere un’autobiografia merceologica, un Carosello letterario nel quale i frammenti testuali di vita vissuta vengono innescati dall’apparizione di un feticcio che ha contribuito a fabbricare la memoria della generazione: «Era il 22 settembre 1976. Tornato a casa guardai alla tele Avventura (con la sigla cantata da Joe Cracker)»[11]; l’umano e il prodotto condividono la stessa esistenza e si contendono il protagonismo del racconto. Come non c’è più una distinzione tra il privato e il pubblico, tra l’esperienza del singolo e il ciclo produttivo – e mitico – di una merce, stesso dicasi per l’intervallo che dissocia realtà e fantasia: il meccanismo feticistico livella le informazioni culturali che il bambino recepisce dalla televisione confondendo il fattuale – il caso Tortora[12] e i goal di Pelè[13] – col finzionale – Diabolik[14] e i robot giocattoli[15].
Aldo Baratta per Questione Civile
Bibliografia
Ghelli Francesco, Madeleines postmoderne. Memorie d’infanzia, consumi e mass media, in Il ricordo d’infanzia nelle letterature del Novecento, a cura di S. Brugnolo, Pisa, Pacini, 2021.
Jameson Fredric, Postmodernism, or, the Cultural Logic of Late Capitalism, London, Verso, 1991.
Nove Aldo, Amore mio infinito (2000), Milano, Crocetti Editore, 2021.
Nove Aldo, Il mondo dell’amore, in Gioventù cannibale, a cura di D. Brolli, Torino, Einaudi, 1996.
Nove Aldo, La più grande balena morta della Lombardia, Torino, Einaudi, 2004.
Nove Aldo, Superwoobinda, Torino, Einaudi, 1998.
[1] Cfr. F. Jameson, Postmodernism, or, the Cultural Logic of Late Capitalism, London, Verso, 1991, pp. 17-18.
[2] Cfr. F. Ghelli, Madeleines postmoderne. Memorie d’infanzia, consumi e mass media, in Il ricordo d’infanzia nelle letterature del Novecento, a cura di S. Brugnolo, Pisa, Pacini, 2021.
[3] A. Nove, Il mondo dell’amore, in Gioventù cannibale, a cura di D. Brolli, Torino, Einaudi, 1996, p. 53.
[4] Id., Il gusto di tutti i pianeti che ci sono, in Id., Superwoobinda, Torino, Einaudi, 1998, p. 180.
[5] Id., Ruanda, in Id., Superwoobinda, cit., p. 58.
[6] Id., Il gusto di tutti i pianeti che ci sono, cit., p. 177.
[7] Id., Cip e Ciop, in Id., Superwoobinda, cit., p. 96.
[8] Id., Hamburger lady fa la raccolta punti, in Id., Superwoobinda, cit., p. 124.
[9] Id., Amore mio infinito (2000), Milano, Crocetti Editore, 2021, p. 72.
[10] Ivi, p. 75.
[11] Cfr. Id., La più grande balena morta della Lombardia, Torino, Einaudi, 2004, p. 113.
[12] Cfr. Ivi, pp. 16-19.
[13] Cfr. Ivi, pp. 129-135.
[14] Cfr. Ivi, pp. 147-150.
[15] Cfr. Ivi, pp. 114-123.