De brevitate vitae: l’opera del tempo. L’idea della morte impreziosisce la vita
Ci affaccendiamo ad andare alla scoperta, come diceva Sant’Agostino, dei monti, delle stelle e dei corsi d’acqua, senza preoccuparci di imparare a conoscere noi stessi. Senza pensare che solo dentro di noi possiamo trovare il segreto per far fruttare il tempo; per dilatarlo e condurre una vita degna d’essere vissuta alla maniera degli antichi Greci.
La nascita di Tempo o Crono
Dapprincipio c’era solo Caos da cui nacque il primo elemento Gea, la Terra, e il terzo Eros, l’amore. Poi vi fu la nascita del Tartaro, il luogo infernale risiedente negli abissi di Gea. Questa generò, sotto impulso di Eros, le montagne, le ninfe il mare e Urano, il Cielo. Urano giace perennemente su Gea, si completano armoniosamente, non si sa dove finisce l’uno e inizia l’altra.
Dalla loro unione nascono esseri formidabili quali i Titani, i Ciclopi e gli Ecatonchiri. Urano però teme di essere spodestato da qualcuno dei figli, è lui a predominare; perciò, costringe i figli a rimanere nel ventre di Gea. Fin quando, l’ultimo Titano nato, Crono, nel momento in cui Urano sta per accoppiarsi con Gea, evira il padre e getta i genitali sulla terra. Urano per il dolore fugge in alto nel firmamento, lasciando il posto di predominanza a Crono, divinità del tempo.
La storia si ripete: Crono giace con la sorella Rea da cui nasceranno Era, Demetra, Estia, Ade, Poseidone e Zeus. A causa dello stesso timore paterno di essere spodestato Crono divora tutti i suoi figli appena nati. Fin quando Rea, alla nascita di Zeus, consegnerà al posto del figlio una pietra, che Crono divorerà.
Zeus cresce forte e intelligente, sconfigge Crono e lo costringe a vomitare i fratelli che aveva fagocitato. Infine lo confina nel Tartaro, assieme agli altri Titani, occupando il posto di predominanza del padre. E così a Tempo subentrò Zeus, padre degli dei e dio della luce. Da lui nacquero numerosi semidei e divinità, tra le quali Kairòs, dio del tempo opportuno, del momento giusto.
Krònos e Kairòs
Krònos e Kairòs scandivano la vita degli antichi Greci. Kairòs, un giovinetto nudo e alato, sempre accompagnato da una bilancia, sulla quale forse soppesa il tempo, è il dio del tempo qualitativo. Krònos, invece, è il dio del tempo quantitativo, fisico, il tempo che scorre, burbero e tiranno. Il tempo generatore dei momenti giusti, colui che per i Greci dava un senso al vivere. Infatti, soltanto una vita vissuta al proprio posto, in modo onorevole e fruttuoso era degna di essere vissuta.
Perciò Krònos scorreva tranquillo in un flusso continuo, affiancato saltuariamente da Kairòs, colui che dava rilievo all’occasione.
Il tema del tempo
Il tema del tempo è da sempre uno dei tarli della mente umana: dall’uomo meno colto al pensatore più profondo, dallo storico allo scienziato. Tutti almeno una volta si sono interrogati o soffermati a riflettere su questa entità impalpabile, che scandisce l’esistenza del mondo ancor prima della sua creazione. Dalla mitologia ricaviamo che il tempo è nato dopo degli elementi fisici terrestri. Dalla Bibbia sappiamo che Dio creò il mondo in sette giorni, di conseguenza possiamo ritenere che il tempo è un’entità antica almeno quanto l’universo.
Già coi presocratici l’idea di tempo entrò di diritto nel panorama dei pilastri su quale si fondava l’universo. Tempo inteso come divenire continuo, flusso ininterrotto dato dalle contrapposizioni, mutare di tutte le cose da uno stato all’altro repentinamente. Il mondo ha sempre ruotato sull’idea di tempo. Tempo come sostanza; come fiume che scorre nel quale non ci si può bagnare due volte nello stesso punto; tempo che torna e si ripete in modo ciclico.
Si pensi al principio dell’anakyklosis di Polibio, secondo il quale l’andamento circolare del tempo causerebbe l’evoluzione ciclica dei regimi politici. Questi, deteriorandosi, si susseguirebbero fino a ritornare alla forma di partenza e ripetere da nuovo lo sviluppo.
Una concezione stoica del tempo
La stessa idea di ciclicità del tempo che era stata a fondamento della filosofia stoica. Per gli stoici ogni avvenimento temporale accadeva secondo un ordine stabilito, destinato a ripetersi in eternità sempre identico a se stesso.
Fin quando il mondo, in occasioni di periodi fatali, sarebbe stato distrutto dal fuoco, attraverso quella che è chiamata ekpirosi, distruzione mediante le fiamme. Fiamme dalle quali sarebbe rinato un nuovo mondo, attraverso un processo di palingenesi. Infatti, dal fuoco presente in tutte le cose sarebbe stato distrutto e dal fuoco presente in tutte le cose sarebbe stato ricreato. Questo andamento circolare del tempo prende il nome di apoctastasi.
La concezione stoica della ciclicità del tempo avrà molta fortuna sia in ambito latino, che nei secoli a venire nella cultura della penisola italiana. Nell’antica Roma vigeva invece la divisione temporale in negotium e otium. Il primo termine stava a indicare il tempo impiegato in attività lavorative, o comunque impegnative fisicamente. Il secondo designava il periodo dedicato alla coltivazione del sapere letterario, impegnato dunque, si potrebbe sostenere, almeno quanto quello dedicato alle attività lavorative.
Il tempo come kairòs: carpe diem
Una ripresa dell’idea del kairòs greco sembra ricomparire in una delle più celebri odi del poeta Orazio. Il testo sviluppa una delle tematiche più ricorrenti nella poetica oraziana: la precarietà dell’esistenza. Tratta della necessità di pensare solo al presente, sperando il meno possibile nel futuro, che non ci è dato conoscere. Infatti il presente, con le sue occasioni fruibili, è l’unico palliativo in grado di esorcizzare la paura della morte.
In questa ode di Orazio c’è una lotta intestina tra gli insegnamenti epicurei e tra l’angoscia dell’incombenza del tempo. Non possiamo raggiungere una felicità totalizzante, perciò dobbiamo accontentarci di cogliere i momenti opportuni (kairòs) che il tempo (krònos) porta con sé. Il significato del sintagma “carpe diem” non sta a voler dire “cogli l’attimo” nella svilita accezione edonistica dell’“approfitta di tutto quello che ti si offre”. Non è un inno a un piacere sfrenato e dionisiaco, piuttosto un invito ad accontentarci dei piccoli frammenti di spensieratezza, donati in regalo dal.
Un inno a cogliere con dolcezza e consapevolezza i momenti offertici dal tempo che, come dirà poi Petrarca, “fugge e non s’arresta un’ora”. La stessa bellezza che aveva invitato a cogliere Mimnermo nei suoi frammenti, nei quali paragonava l’uomo alle foglie caduche.
De brevitate vitae: l’Opera del tempo
Nel De brevitate vitae Seneca sostiene che non è poco il tempo che ci è stato dato, bensì cattivo il modo in cui lo amministriamo. Infatti, la maggior parte degli uomini si lagna dell’angusto spazio di tempo che è dato da vivere. In realtà colpa non è della natura benigna, bensì è degli uomini, incapaci di amministrare bene quello che hanno avuto in dote.
Tutti si affannano a cercare qualcosa che non è necessaria al vivere bene, anche l’otium letterario viene visto come una perdita di tempo. Il tempo investito bene, dilatato, è quello speso per diventare sapiens. Capace, secondo una concezione pienamente stoica, di vivere come un secolo un singolo attimo, il flusso di tempo in cui vive il saggio è atemporale. Il saggio è capace di trasformarlo da quantitativo in qualitativo.
Non è importante la durata, ma la qualità, l’uso che si fa di quel tempo che ci è dato. Quel tempo che prontamente spendiamo incuranti di quando sopraggiungerà la morte. È la morte, infatti, a dargli un prezzo. Solo coloro che dedicano il tempo alla saggezza vivono veramente, loro ne sono perfetti custodi, capaci di raggiungere ogni età e di vivere lungamente.
Conclusioni
Fin qui la prospettiva di Seneca ci appare totalmente stoica, ma è dallo stile che trapela il Seneca umano. Dalle metafore in cui l’uomo è paragonato a un abisso emerge l’instabilità interiore non del filosofo, ma dell’uomo. Un uomo che è ha operato in un periodo di instabilità politica, che è stato in esilio, poi precettore di un promettente princeps illuminato, che lo metterà addirittura a morte.
Il De brevitate vitae ci sbatte in faccia ante-litteram il tema dell’annichilimento umano. Secoli dopo l’esperienza del cittadino nel periodo alessandrino; anni prima delle perdite di coordinate del periodo romantico e dell’epoca contemporanea.
Rosita Castelluzzo per Questione Civile
Bibliografia e sitografia:
- L. A. Seneca, La brevità della vita. Testo latino a fronte, Milano, Bur Rizzoli, 2009.
- https://www.treccani.it/enciclopedia/kairos/
- https://www.treccani.it/enciclopedia/kronos_%28Enciclopedia-dell%27-Arte-Antica%29/
- https://www.treccani.it/enciclopedia/la-nascita-degli-dei-e-l-ordine-del-mondo