Il favismo: uno sguardo alla patologia responsabile dell’anemia emolitica
Il favismo è una patologia ereditaria causata dalla carenza di un enzima indispensabile per la via degli zuccheri pentoso fosfati, il glucosio 6-fosfato deidrogenasi (G6PD). Il gene per la produzione di questo enzima si trova sul cromosoma X, perciò se l’unico cromosoma X posseduto da un soggetto maschile è difettoso, tutti i globuli rossi saranno caratterizzati dalla mancanza dell’enzima glucosio 6-fosfato deidrogenasi, mentre i soggetti femminili, dal momento che hanno due cromosomi X, presentano il gene difettoso solo su un cromosoma, perciò il favismo nelle donne si manifesta in forma più lieve.
Il nome della patologia è dovuto a una sostanza prodotta dalle fave, chiamata divicina, che se ingerita da soggetti con questa carenza enzimatica di G6PD è responsabile della crisi emolitica e di altri sintomi gravi. Infatti la divicina è un forte ossidante e i soggetti affetti da favismo, per via della carenza dell’enzima G6PD e di altre sostanze antiossidanti, non solo devono astenersi dal consumare le fave, ma anche da tutte quelle sostanze fortemente ossidanti da cui non sono in grado di proteggersi.
Classificazione del deficit enzimatico
La malattia può essere causata da diverse varianti genetiche e per questo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) le ha classificate in base al livello di attività eritrocitaria dell’enzima e della severità delle manifestazioni cliniche:
- Classe I: si manifesta un deficit severo del G6PD tale che l’attività enzimatica è ridotta all’1-4%. Si assiste ad un’anemia emolitica cronica.
- Classe II: si assiste al deficit intermedio con attività enzimatica compresa tra il 3 e il 10%. Si manifestano delle crisi emolitiche intermittenti.
- Classe III: si manifesta un deficit moderato e l’attività enzimatica è tra il 10 e il 40%.
- Classe IV e V: non si ha nessun deficit e di conseguenza i pazienti non presentano sintomi rilevanti.
Il legame tra malaria e favismo: il vantaggio evolutivo
Le cause metaboliche del favismo sono state scoperte negli anni 20’ del XX secolo mediante la somministrazione di un farmaco antimalarico, la primachina, il quale agisce sul Plasmodio della malaria aumentandone lo stress ossidativo. La primachina, infatti, presenta un’azione talmente ossidante al punto da impedire la riproduzione del plasmodio della malaria nelle forme tardive del Plasmodium ovale e Plasmodium vivax.
Negli anni 20’ ci si accorse infatti che alcuni pazienti, dopo aver assunto la primachina, sviluppavano entro alcuni giorni dall’inizio della terapia un quadro sintomatologico piuttosto grave. In primo luogo si riscontrava nei pazienti che assumevano la primachina la presenza di urine di colore scuro. Inoltre era frequente l’ittero e si assisteva ad una rapida diminuzione del contenuto di emoglobina nel sangue. Nei casi più gravi, i sintomi erano responsabili di un’anemia emolitica e dunque della morte immediata del soggetto.
In alcune circostanze però la carenza di glucosio 6-fosfato deidrogenasi (G6PD) ha rappresentato e rappresenta tutt’oggi un vantaggio evolutivo. È stato visto, infatti, che nelle zone endemiche della malaria, sono molti i soggetti malati di favismo. Questa correlazione viene giustificata dal fatto che l’individuo portatore sano di favismo presenta un vantaggio, ossia quello di non essere infettato dal plasmodio della malaria poiché quest’ultimo non potrebbe completare correttamente il suo ciclo vitale all’interno dell’organismo che lo ospita.
Infatti, il plasmodio della malaria è molto sensibile ai danni ossidativi e viene ucciso dallo stress ossidativo che è invece ancora tollerato dall’ospite umano che presenta una carenza di glucosio 6-fosfato deidrogenasi. Dunque, la mutazione per il favismo, nei portatori sani, ha rappresentato in passato e tutt’ora rappresenta un fattore protettivo dall’infezione malarica.
La carenza dell’enzima G6PD: la causa del favismo
Trenta anni dopo la somministrazione della primachina, è stata individuata a livello biochimico la causa di questa condizione patologica, ossia la carenza dell’enzima glucosio 6-fosfato deidrogenasi (G6PD). Negli eritrociti dei pazienti affetti da favismo, la via degli zuccheri pentoso fosfati è molto ridotta per via della carenza dell’enzima che catalizza la prima reazione di questa via metabolica.
Dal momento che la reazione di inizio è impedita, tutta la via degli zuccheri pentoso fosfati che permettono la produzione di nicotinammide adenina dinucleotide fosfato in forma ridotta (NADPH) sarà molto minore. In questi casi è molto ridotta anche la possibilità di contrastare le specie radicaliche dell’ossigeno, i cosiddetti ROS, i quali hanno effetti dannosi per la membrana cellulare poiché manca il NADPH che serve a mantenere il glutatione allo stato ridotto. Il glutatione è un tripeptide, costituito da tre amminoacidi con proprietà antiossidanti, il quale quando si trova nella forma ossidata, per essere ridotto nuovamente, necessita di NADPH.
Quali sono le sostanze ossidanti e quelle antiossidanti?
Nelle cellule le principali fonti esogene di radicali liberi sono le radiazioni ionizzanti, le radiazioni solari, l’inquinamento atmosferico ed il fumo di sigaretta. Invece, le principali fonti endogene di radicali liberi sono dovute ai mitocondri, ai perossisomi o a stati infiammatori della cellula.
Gli antiossidanti necessari per contrastare lo stress ossidativo a livello cellulare sono gli antiossidanti endogeni, una serie di enzimi che hanno il compito di tenere sotto controllo le specie radicaliche quali l’enzima superossido dismutasi (SOD), la catalasi (CAT) o la glutatione-perossidasi (GPX). Quest’ultima è capace di convertire l’acqua ossigenata in acqua utilizzando il glutatione.
Invece gli antiossidanti esogeni sono le vitamine A, C, E, i carotenoidi, i flavonoidi ed i polifenoli che siamo in grado di introdurre con l’alimentazione.
Le specie radicaliche dell’ossigeno (i ROS)
All’interno del globulo rosso, la quantità di superossido che si produce è molto abbondante. Infatti i danni a livello della membrana cellulare consistono nella formazione di perossidi, come l’acqua ossigenata e lo ione superossido, sugli acidi grassi dei fosfolipidi di membrana. Questi perossidi rendono le membrane plasmatiche molto fragili e provocano una lisi facilitata degli eritrociti.
Questo fenomeno è responsabile dell’anemia emolitica insieme alla carenza di NADPH e questa condizione aumenta la probabilità che si formino dei legami crociati tra le proteine. Questi legami precipitano e sono in grado di formare degli aggregati definiti corpi di Heinz, che si depositano sulle membrane, andando ulteriormente a danneggiarle provocando emolisi.
Giulia Marianello per Questione Civile
Sitografia
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