La storia di Paolo Sarpi
Per la gran parte di chi vive o frequenta Milano, «Paolo Sarpi» è solo il nome di una via. Nondimeno, un’importantissima via, famosa soprattutto per ospitare una grande comunità cinese. Se, pure, ci si può e anzi ci si deve rammaricare per la scarsa conoscenza che generalmente si ha di Paolo Sarpi, non è del tutto negativo che si associ il suo nome a un simbolo di pluralismo etnico-religioso.
Il veneziano Paolo Sarpi (Venezia, 1552-1623), secoli prima della – breve – stagione «laica» dell’Italia (quella compresa fra la liberazione di Roma avvenuta nel 1870 e il periodo clerico-fascista), si fece portatore d’istanze che tutt’oggi hanno qualcosa da dirci, se si pensa agl’innegabili privilegi, fiscali e non solo, di cui gode la Chiesa in Italia. L’ obiettivo polemico di Sarpi era infatti il papato invadente della Controriforma, come direbbe Pasolini anarchico nel suo immenso potere, che si arrogava il diritto di esercitare finanche nella libera Repubblica di Venezia (e su questo ritorneremo).
Fortuna e sfortuna di Paolo Sarpi
Sarpi definì tale papato la peggior dittatura mai conosciuta, coniando il termine «totato», diretto antecedente del nostro «totalitarismo»; esso si caratterizzava per una chiusura e una crudeltà contro i dissidenti che, se sul breve periodo effettivamente assicurarono un’adesione massiccia alle dottrine ortodosse, sul lungo periodo, mercé proprio d’intellettuali come Sarpi, finirono per costituire veri e propri capi d’accusa per l’istituzione petrina.
Le analisi sarpiane si proiettarono in un orizzonte temporale decisamente più ampio di quello che mediamente competeva a un polemista veneziano: anzi, è tutta otto-novecentesca la fortuna italiana del gran Veneto. Ma non solo: anche geograficamente la ricezione sarpiana fu allargata a un pubblico ben maggiore di quello veneziano e italiano. Tanto che la sua Istoria del concilio tridentino fu pubblicata a Londra per la stamperia reale, e pressoché tutte le sue opere furono lette con passione da John Milton, massimo poeta inglese dopo Shakespeare.
Paolo Sarpi: chi era costui? Cenni biografici
Pietro Sarpi nacque nel 1552 a Venezia – la Venezia capitale della Serenissima –, città cui rimase sempre legato e la cui indipendenza, anzitutto ideologica, sempre si curò di salvaguardare, e ove trascorse la gran parte della vita. Proprio a Venezia, dopo un periodo di studio a Mantova e Padova, compì la sua carriera, militando nell’ordine fratesco dei Servi di Maria (presso il quale si consacrò come Paolo) fino a divenirne procuratore generale.
Quella ecclesiastica era la carriera obbligata, finanche nel libero Veneto, per chi, di modeste origini come il Sarpi, volesse conseguire un’alta formazione culturale e approfondire un percorso spirituale. Certo è che il Sarpi mantenne una sua fiera indipendenza dal dogmatismo cattolico ufficiale: è nota infatti la sua frequentazione con Galileo – che proprio in questi anni risiedeva nella Serenissima –, come pure la sua poca deferenza rispetto alle pretese «verità di fede»: l’Inquisizione iniziò a indagare sul suo conto già alla fine del secolo XVI; ma nulla poté dimostrare.
Inquisizione in epoca moderna
A proposito dell’Inquisizione, è bene chiarire subito qualche punto fermo: anzitutto si sarà notato che non stiamo parlando dell’età medievale, in cui la leggenda nera ne colloca la violenta e onnipervasiva presenza. No: benché sin dal XIII secolo operasse l’Inquisizione, intesa come tribunale ecclesiastico teso a salvaguardare l’ortodossia dottrinale cattolica, il periodo della feroce repressione che coinvolgeva tanto i corpi quanto le coscienze, fu quello moderno.
Spagna e Portogallo si dotarono di proprie Inquisizioni «nazionali» sin dal primo XVI secolo, come strumento di controllo religioso interno (contro ebrei e mussulmani) e coloniale (contro gl’indigeni sudamericani); in Italia un simile tribunale fu istituito nel 1542, quando la minaccia dell’«infezione protestante» si fece viva (Lutero aveva rotto con la Chiesa romana nel 1521), e quando ci si rese conto che una gran massa di contadini serbava le tracce di un sapere pre-cristiano, paganeggiante, che presto venne etichettato come «stregoneria».
Si badi che, come messo in luce in quest’articolo sul caso Mortara (clicca qui per approfondire), l’istituzione inquisitoria non cessò il suo operato che con l’Unità d’Italia (1870).
Paolo Sarpi e l’Interdetto di Venezia
Torniamo però a Sarpi e ai suoi tesi rapporti con Santa Madre Chiesa. Quest’ultima, tramite l’istituzione dell’Inquisizione del 1542, pretendeva di giudicare i propri membri in tutto il territorio italiano. Questo impediva alle autorità laiche di amministrare la giustizia qualora fra le parti in causa si annoverassero ecclesiastici: così, quando nel 1605 un canonico e un abate, rei di violenze sessuali e omicidi, vennero incarcerati nelle galere veneziane, il Papa stesso (Paolo V) si adoperò per liberarli e farli processare dal tribunale ecclesiastico.
Sdegnato dalla richiesta, il doge veneziano Leonardo Donà incaricò una commissione mista di giuristi e teologi affinché controbattessero al Papa. A presiederla era il nostro Sarpi. Il 1606 fu l’anno della «guerra degli scritti»: Sarpi, forte di competenze giudiziarie e religiose, affrontò, con inimitabile verve polemica e lucida ironia, i gerarchi pontifici, fra cui il temibile cardinal Bellarmino, coinvolto in pressoché ogni episodio di repressione del libero pensiero in Italia (Bruno, Campanella, Galilei).
Paolo Sarpi e l’Interdetto di Venezia – II
La Chiesa reagì con l’arma dell’interdetto, ovvero della scomunica: una scomunica che colpì l’intero territorio veneziano. Ciò significava che Venezia era, agli occhi del Signore, un inferno in terra: i suoi cittadini erano destinati all’eterna dannazione; le messe erano proibite, così come i battesimi e le sepolture religiose.
Questo provvedimento non ebbe particolare successo: su invito di Sarpi, che anzi usò parole di fuoco contro il pontefice, gran parte del clero veneziano proseguì nella somministrazione dei sacramenti, e anzi si schierò con la Repubblica contro lo strapotere papale.
Eccezione costituirono i gesuiti, che per il loro rifiuto di celebrare messe e uffici divini, nonché per la costante predicazione eversiva, si guadagnarono, insieme ai cappuccini, la prima espulsione nella storia (moltissime ne seguirono a causa della loro proverbiale invadenza – anche se talora, in Sudamerica, furono cacciati per nobili motivi, in quanto si mostravano misericordiosi con le popolazioni indigene). La scena della loro partenza fra gl’insulti del popolo veneziano è magistralmente ritratta da Sarpi in un’opera (uscita postuma) che ricostruisce con impareggiabile precisione e intelligente distacco ironico queste vicende.
Paolo Sarpi: un religioso maestro di laicità
Nel 1607 fu chiusa, con un compromesso, la questione suddetta (i religiosi sarebbero stati processati in Francia, nazione di recente ma salda adesione cattolica). Alla Chiesa rimaneva da punire Sarpi, resosi «reo» di contatti con ambienti protestanti durante i mesi dell’interdetto: da parte soprattutto inglese, infatti, vi era stato il tentativo di guadagnare Venezia alla causa antipapale con una definitiva rottura col cattolicesimo; ma questa via non ebbe, com’è evidente, successo.
La tesa situazione diplomatica scoraggiava un’azione istituzionale per punire Sarpi: così vennero informalmente ingaggiati dei sicari che attentarono alla sua vita ben due volte fra il 1607 e il 1609. Sempre invano: anche se Sarpi rimase per sempre sfregiato al volto.
Messo sotto protezione dalla Repubblica, Sarpi divenne conosciuto in tutto il mondo occidentale per la sua fierezza laica (non disgiunta da fervori spirituali: ricordiamo ch’egli era pur sempre un frate!) e per la sua opera di denunzia della Chiesa della Controriforma, il cui atto fondativo fu, tutti lo sanno, il Concilio di Trento (1545-63), che Sarpi documentò con insuperata precisione storica, e senza mai rinunciare a dare un giudizio: e in ciò fu un vero maestro di metodo storico.
La Chiesa decretò la sua sfortuna. Alla sua morte (1623) fu espressamente ordinato che di lui non si parlasse più. Demonizzarlo lo avrebbe aiutato. Obliarlo no. E nei paesi cattolici andò così. A noi, oggi, il compito di parlarne e di spronare la lettura delle opere di Sarpi: irrinunciabili tasselli del bagaglio culturale di un giovane europeo. Qui sotto alcune edizioni italiane consigliate.
Andrea Monti per Questione Civile
Letture di Sarpi consigliate:
Istoria del Concilio Tridentino, Einaudi, Torino, 2011 (a cura di C. Vivanti)
Scritti Filosofici inediti, Carabba, Lanciano, 2008 (a cura di G. Papini)
Trattato di pace et accomodamento, Argo, Roma, 2019 (a cura di V. Vianello)
Saggi su Sarpi:
G. Getto, Paolo Sarpi, Olschki, Firenze, 1967
V. Vianello, La scrittura del rovesciamento e la metamorfosi del genere. Paolo Sarpi tra retorica e storiografia, Fasano, 2005
Sull’Inquisizione e la repressione religiosa in epoca moderna:
J-P Dedieu, L’inquisizione, San Paolo Edizioni, Roma, 2003 (da parte cattolica)
M. Firpo, La presa di potere dell’Inquisizione romana (1550-1553), Laterza, Roma-Bari, 2014
C. Ginzburg, Storia notturna. Una decifrazione del sabba, Adelphi, Milano, 2017
- Prosperi, Tribunali della coscienza, Einaudi, Torino, 1996
- Prosperi, Inquisizioni, Quodlibet, Macerata, 2023