Rinunzia al proselitismo: la storia dei missionari
È passata in sordina una vicenda che potrebbe segnare un definitivo cambio di passo del Cristianesimo, quantomeno cattolico. Qualche mese fa Papa Francesco ha pubblicamente esternato di aver rimproverato una signora che si era vantata di aver convertito un alto numero di non cristiani alla «vera religione». Non è più il tempo del proselitismo, ha affermato il Santo Padre, lasciando di stucco un’ampia compagine di correligionari, e, va detto, pure di laici. È infatti noto a tutti che uno dei caratteri fondamentali della religione cristiana è il proselitismo, e che attraverso questa pratica il Cristianesimo ha raggiunto lo status di religione più professata al mondo.
Missionari o conquistadores?
Ovviamente l’affermazione di Francesco non è immotivata, né – come invece sostiene una nutrita schiera di tradizionalisti – si tratta di una rinunzia all’evangelizzazione, la quale lo stesso Francesco ha precisato essere un dovere del cristiano: ma attraverso l’esempio, non l’invadente pressione alla conversione. In ogni caso, l’affermazione di Francesco (che evidentemente costa cara a un’istituzione come la Chiesa) ha radici profonde, che coinvolgono una riflessione storica che la Chiesa, e l’Occidente tutto, ha preferito non affrontare, sul nesso fra proselitismo missionario e colonialismo. Un nesso che ha interessato, in tempi remoti, la stessa terra d’origine di Bergoglio, l’Argentina, e in generale il Sudamerica conquistato dalla «cattolicissima Spagna». Ma anche in tempi ben più recenti, ovvero durante i secoli XIX e XX – e questo importa qui –, il fervore missionario non è stato immune da pericolosi legami con le politiche coloniali.
Missionari come contro-rivoluzionari
Per inquadrare storicamente il fenomeno, bisogna pensare a cosa viene immediatamente prima: la secolarizzazione imperante in Europa, portata dai Lumi e poi dalla Rivoluzione francese, che per la prima volta sancì de iure e de facto l’assoluta svincolatezza della politica dalla religione, e, anzi, puntò il dito contro quest’ultima, ritenuta strumento di controllo e oppressione delle masse (concetto che Marx sintetizzerà nella definizione di «oppio dei popoli»). La Rivoluzione francese costituì per i cristiani d’Europa un terremoto: e del resto in Francia l’anti-cristianesimo non era stato troppo dissimulato; anzi, scelte come quella di riferirsi a un calendario rivoluzionario che sovvertiva esplicitamente l’ordinamento gregoriano d’impianto cristiano, erano state volutamente provocatorie nei confronti dei benpensanti cristiani che, una volta tornata la calma con la Restaurazione, si diedero un comune scopo: l’evangelizzazione.
In ambito evangelico
L’evangelizzazione era difficile, però, in territori fortemente segnati dal progresso civile e dall’emergere delle migliori filosofie che facevano dell’uomo, e non di Dio, il centro della riflessione (Kant, Hegel, Feuerbach sono solo alcuni dei nomi che si possono fare). Così si pensò a territori da cristianizzare ex novo, così da insediarvi (secondo una prospettiva assai poco rispettosa delle culture ivi presenti) una società autenticamente cristiana, non corrotta dagli «errori moderni», e soprattutto manipolabile dall’alto, secondo la concezione gerarchica che esce vincitrice dalla riflessione cattolica controrivoluzionaria (De Maistre).
Il fervore missionario si manifestò già a fine ‘700 nell’Inghilterra impaurita dall’avanzata della Rivoluzione, da cui non veniva però toccata: la celebre London Missionary Society fu fondata nel 1795 da elementi anglicani, metodisti e presbiteriani; la Church Missionary Society, di pressoché coeva istituzione, invece, portava nel campo della missione il Risveglio anglicano.
In ambito cattolico
In ambito cattolico, congregazioni missionarie sorte in quest’epoca furono – e si rilevino i riferimenti al dogmatismo che filtrano già dai nomi – i Missionari del Sacro Cuore di Picpus (sorti 1800) e pure quelli del Sacro Cuore di Daniele Comboni, che organizzò la penetrazione in Africa secondo un protocollo di formazione di missionari indigeni nelle zone costiere, che poi si spingessero nell’entroterra, temprati ai climi torridi e meno soggetti all’ostilità dei locali. Tutti gli sforzi missionari cattolici furono sottoposti alla regolamentazione (attraverso apposite «istruzione») della pontificia Congregazione De Propaganda Fide, incoraggiata soprattutto dai governi francesi che quantunque – o forse proprio perché – fieramente laici e avversi al potere oppressivo della Chiesa, la considerarono un’ottimo strumento di controllo delle popolazioni africane, su cui aveva gettato mire che sarebbero state ufficializzate con la Conferenza di Berlino del 1885, ove furono debitamente decretati pure il sostegno e la protezione delle missioni nel continente nero.
Missionari in Asia – 1
In Asia orientale la presenza cristiana era generalmente mal sopportata. Si prenda a esempio il caso giapponese: nel Paese del Sol Levante, a partire del XVII secolo, fu proibito ogni proselitismo cristiano e, anche a causa della memoria dell’invadenza delle missioni gesuite, si ebbe la nota chiusura nei confronti dell’Occidente, protratta sino a metà ‘800, quando le cannonate americane imposero l’apertura del paese ai traffici commerciali internazionali. Contestualmente, vi fu un’invasione di missionari d’ogni confessione, che però non riuscirono a piegare il fiero popolo nipponico. Gli esiti in fatto di conversioni furono davvero miseri, se si pensa che in dieci anni di evangelizzazione si ottennero conversioni bastanti a nominare appena tre sacerdoti cattolici locali.
Missionari in Asia – 2
Una simile situazione si verificò in Cina, laddove la vicenda missionaria fu saldamente intrecciata alle più infami decisioni semi-coloniali occidentali: la prima «guerra dell’oppio» (1839-42), provocata dagl’Inglesi che rivendicavano una penetrazione commerciale per vendere ai cinesi la summenzionata sostanza psicotropa proveniente dall’India, si concluse con la resa cinese. Questo comportò la penetrazione in massa di missionari. E fu proprio l’uccisione di uno di essi, nel 1856, l’evento preso a pretesto dalle potenze occidentali per dichiarare nuovamente guerra alla Cina, e farvi una nuova dose di morti – e però anche di «risorti»: l’attività evangelizzatrice europe riuscì infatti a mietere discreti successi durante la fine del secolo XIX, anche se molti storici insinuano che i convertiti, prevalentemente afferenti ai ceti bassi, siano passati alla religione cristiana dietro elargizioni di generi di prima necessità (tanto che si parla per questa categoria di «cristiani del riso») abbinate a un’abile manipolazione mentale.
I missionari hanno fatto anche cose buone
Non va dimenticato, però, che il Cristianesimo si spese, almeno in parte, a favore dell’abolizione della schiavitù cui erano condannati i neri in America. Sia in ambienti protestanti che cattolici furono prese misure per contrastare quell’infame piaga: missionari riformati, infatti, istituirono un canale di rimpatrio degli schiavi americani, cui fu data in Africa una terra non soggetta ad alcuna forma di «protezione» europea, denominata appunto «Liberia». In Inghilterra, inoltre, fu anche grazie alla pressione di ambienti anglicani (spicca il nome di William Wilberforce) che si giunse all’abolizione della tratta di esseri umani prima (1815) e alla messa fuori legge della schiavitù poi (1832).
Una possibile conclusione
In conclusione, il ruolo del rinato fervore missionario nell’800 non può essere valutato con un giudizio del tipo «buono/cattivo». Tuttavia bisogna riflettere – e lo dovrebbero fare anzitutto le varie denominazioni cristiane – sul ruolo avuto dal cristianesimo nel preparare il terreno al colonialismo. Di questo, come si è rilevato, aveva contezza la laicissima, e talvolta persino anticristiana, Francia ottocentesca, la quale al suo interno combatté alacremente contro ogni tentativo d’ingerenza papale, arrivando talora a veri e propri eccessi, ma al contempo protesse e incoraggiò ogni tipo di evangelizzazione in paesi che, in seguito, si sarebbe dimostrata interessata a controllare.
Andrea Monti per Questione Civile
Sitografia e bibliografia
C. Proudhomme, Missioni cristiane e colonialismo, Jaca Book, 2007
G. Vian, Storia del Cristianesimo. IV, Carocci, Roma, 2005
Su proselitismo ed evangelizzazione secondo Papa Francesco: www.repubblica.it