Dopo la morte di Franco Giuseppucci: Gli anni ’80 della Banda della Magliana
Gli anni ’80 della Banda della Magliana: La morte di un capo, la vendetta, le vicende giudiziarie e la lotta intestina della banda che voleva conquistare Roma.
La vendetta della Banda della Magliana
Trastevere è sporca di sangue mentre l’autunno del 1980 inizia. Non è sangue qualsiasi. Il corpo rimasto in strada la sera del 13 settembre appartiene a Franco Giuseppucci, capo della banda della Magliana. L’ottavo re di Roma, secondo alcuni. L’uomo che ha cambiato il modo di fare criminalità nella città eterna. Nelle storie di violenza, soprattutto tra bande, il dolore del lutto si accompagna al desiderio di vendetta. Iniziano gli anni ’80 della Banda della Magliana.
Qualcuno deve pagare per la morte del “Negro”, la strada ha regole tutte sue e questa è una di quelle. La ricerca dei colpevoli non tarda a dare i suoi frutti. Passano pochissimi giorni e i nomi vengono fuori; si tratta dei fratelli Proietti, al secolo sodali di Nicolini. La morte di Giuseppucci è a sua volta una vendetta in un clima che non fa sconti a nessuno. Poche parole, molti fatti, la Banda della Magliana sa cosa deve fare.
I fratelli Proietti sono conosciuti col nome di Pesciaroli per via dell’attività di famiglia; la gestione dei mercati ittici della città di Roma. Dei quattro fratelli solo due sono direttamente coinvolti con la morte di Giuseppucci, ma la vendetta deve essere generale. Il 19 settembre, neanche una settimana dopo la morte del capo, provano a uccidere Enrico Proietti. L’agguato fallisce rischiando di lasciare a terra vittime innocenti.
Poco più di un mese più tardi la Banda ci riprova, senza però uccidere l’uomo. Nel marzo 1981 fu Maurizio Proietti a rimanere vittima di un attentato a cui scampò invece il fratello Mario. L’assassino materiale di Franco Giuseppucci, colui che sparò a Trastevere, fu riconosciuto in Fernando Proietti. Quasi due anni dopo l’omicidio di Crispino, il 30 giugno 1982, cinque colpi di pistola raggiunsero Proietti uccidendolo. La guerra era finita, la vendetta compiuta ma adesso c’era da ricostruire una banda rimasta senza capo.
Una guerra intestina: gli anni ’80 della Banda della Magliana
La vendetta per la morte di Giuseppucci fu l’ultimo momento di unione della Banda. La morte del capo aveva aperto una frattura, dando il via a quella che sarebbe stata la parabola discendente dell’organizzazione. Roma non era riuscita ad essere conquistata, il tentativo era fallito e pian piano anche la Banda della Magliana cedeva. A dar vita alla frattura la divisione dei membri in due gruppi, divisi in qualche modo per area geografica; da un lato “quelli della Magliana”, dall’altro i “Testaccini”.
Questi ultimi erano quelli più interessati al salto di qualità, il passaggio dalla banda di strada ai potenti. Le connessioni con il mondo politico e imprenditoriale non si fanno attendere, ma cambiano i piani della Magliana. Ciò che sta per iniziare a Roma è una guerra fratricida, un combattimento senza esclusione di colpi. Ma prima che vi si arrivi qualcos’altro cambia la storia della Magliana; iniziano gli arresti.
Nel 1983 l’Italia già conosceva il fenomeno dei pentiti, delle confessioni e delle delazioni. Erano state queste a far crollare, tra gli altri, le Brigate Rosse e organizzazioni simili. Alla Banda della Magliana toccò, in un certo senso, una cosa simile. Fulvio Lucioli, conosciuto come il Sorcio, non aveva ancora trent’anni ma la sua fama criminale lo precedeva. Era entrato in carcere ventenne, ne era uscito e si era unito alla Banda della Magliana come spacciatore.
A inizio anni ’80 era tornato in cella, e spaventato dal clima di guerra aveva iniziato a parlare. I dettagli, gli incroci, gli incontri. Tutto viene minuziosamente raccontato agli inquirenti, con dovizia di particolari, nomi, date, luoghi. Il 15 dicembre 1983 scatta la prima grande operazione contro la Banda della Magliana. Gli arrestati sono sessantaquattro tra capi e sottoposti. In un giorno solo il mondo criminale romano cambia ancora, la strada entra in carcere.
Non è mafia: gli anni ’80 della Banda della Magliana
La storia giudiziaria della Banda della Magliana ha avuto risvolti arrivati sino a noi. A Roma c’è stata ogni genere di mafia, tutte le organizzazioni criminali più note vi hanno transitato, ma ha avuto la sua mafia? C’è stata un’organizzazione di stampo mafioso propria della capitale? Il primo processo alla Banda della Magliana, arrivato in Cassazione nel 1988, dice di no. Non ci sono le basi per parlare di mafia. C’è bisogno di una struttura, quella a cui il diritto e la giurisprudenza sono abituati, che qui manca.
Ciò che invece c’è è un gruppo di criminali che hanno deciso di unirsi per gestire il traffico di stupefacenti, quello sì. Ma nulla di più, dicono i giudici. Che il crimine romano abbia raggiunto un nuovo livello è fuori dubbio, ma chiamarlo mafia pare esagerato. Il potere della Banda non è sufficiente per arrivare a una simile definizione.
Il carcere per la Banda della Magliana è occasione di aggravarsi dei problemi interni. Celle e sbarre non sono sufficienti a tener lontani i testaccini di De Pedis dal gruppo originario di Abbatino. La tensione esterna si riversa dentro le mura dei penitenziari, mentre fuori quelle che sono diventate due bande rivali si fanno la guerra. Quel che era stato costruito nel 1977 è andato perduto completamente, il gruppo unico alla conquista di Roma non esiste più.
Fuori il mondo sta cambiando, gli anni ’80 della Banda della Magliana stanno giungendo al termine, la Guerra Fredda è a un passo dal finire. In Italia si prepara lentamente passaggio alla seconda Repubblica. La storia della Banda della Magliana così come la si conosceva è ormai finita, ma il sangue continua a scorrere per le strade di Roma. Le vendette, i regolamenti di conti, la violenza non si placa.
Storia di un boss: Enrico de Pedis
Enrico de Pedis detto “Renatino” è tra i protagonisti principali della storia della Magliana. A lui fanno capo i Testaccini quando il gruppo inizia a spaccarsi. Non è solo un criminale di strada, almeno non è lì che vuol fermarsi. De Pedis è il collegamento tra la strada e il palazzo, il punto di unione tra la violenza quotidiana e il mondo del potere.
Non basta controllare il mercato della droga, far paura ai gruppi rivali. De Pedis punta più in alto. A oltre trent’anni dal morte il suo nome non figura solo nei dossier sui violenti anni di Roma. Enrico de Pedis riappare anche quando si cercano notizie sui misteri italiani, a cominciare dal crack del Banco Ambrosiano per arrivare al rapimento di Emanuela Orlandi. Sembra esserci un filo che parte dal boss della Magliana e arriva in Vaticano. Un filo che passa anche dalla sua morte e sepoltura.
La guerra infinita doveva passare anche dall’omicidio di Renatino, e lui lo sapeva. Il primo tentativo di agguato fu a opera di Edoardo Toscano. Un tempo compagno di de Pedis, da poco uscito di galera e deciso ad occuparsi personalmente dell’ex sodale non fece in tempo. Renatino arrivò prima, il 16 marzo 1989. Fu Ostia l’ultima fermata della vita di Toscano, dove si era recato per incontrare Bruno Tosoni, altro criminale che “reggeva i soldi” per conto dello stesso Toscano.
L’origine dell’omicidio era chiara, e di nuovo era scoccata l’ora della vendetta. Non passò neanche un anno. Il 2 febbraio 1990 toccò a de Pedis. Di nuovo nel centro di Roma, a Campo de Fiori, dove stava passando sul suo motorino. Gli spari feriscono di nuovo l’aria di una città che sta cambiando. Si sentono urla, grida, e rimane a terra morto il corpo di un altro capo.
La salma di Enrico de Pedis
Poco dopo la morte Enrico de Pedis fu tumulato al Verano, il cimitero centrale di Roma. Tuttavia, poche settimane più tardi la salma di Renatino fu traslata nella Basilica di Sant’Apollinare. Una scelta a dir poco inusuale per il corpo di un uomo che non fu ecclesiastico, fatta su richiesta dello stesso per ricambiare un “favore” fatto in vita alla chiesa. Cosa fosse di preciso non si sa, ma tante sono le ipotesi sull’uomo che collega la Roma criminale all’Italia dei misteri irrisolti.
Il nome e la strana sepoltura di de Pedis sono tornate agli onori della cronaca durante la ripresa delle indagini su Emanuela Orlandi, cittadina vaticana scomparsa nel nulla nel 1983. Nel 2012 la tomba di de Pedis fu esumata e aperta alla ricerca delle possibili spoglie della ragazza, ma non conteneva altro che quelle dell’uomo. Poco dopo de Pedis fu cremato e le ceneri disperse in mare.
Francesca Romana Moretti per Questione Civile
Sitografia
- https://www.forensicnews.it
- http://www.tuttostoria.net
- https://www.ugomariatassinari.it
- https://www.scenacriminis.com
- https://emanuelaorlandi.altervista.org
L’immagine in evidenza è tratta dal film Romanzo Criminale che racconta la storia della banda, non raffigura i suoi componenti nella vita reale.