Dopo la Banda della Magliana: storia di Mafia Capitale
Prima un romanzo, un film e una serie che hanno reso la storia della Magliana celebre a trent’anni dai suoi giorni di sangue. Poi Mafia Capitale, il processo che ha ribadito come non ci sia mafia a Roma.
Romanzo Criminale: la Banda della Magliana come fenomeno culturale
Un libro, un film, poi una serie TV.
Entrati nel nuovo secolo, la Banda della Magliana è diventato un fenomeno culturale. Romanzo Criminale, figlio della penna di Giancarlo de Cataldo, ha portato la storia della banda fuori da Roma, lontano, per tutta Italia. È arrivato a generazioni che non c’erano ai tempi di de Pedis e dei suoi sodali, e lo ha fatto con le facce degli attori.
Il crimine che si fa fiction, una vecchia storia di cui molto si parla. Giusto? Sbagliato? Fa del male ai nostri giovani? Esaltare chi ha ucciso, rubato e chissà che altro crea dei miti sbagliati?
Una discussione che ha a lungo interessato l’opinione pubblica, e ancora continua a infiammare il dibattito a periodi.
Ma comunque la si pensi Romanzo Criminale ha trasportato la Banda della Magliana nel mondo di oggi. Una storia chiusa che vive solo sugli schermi ormai, no?
Il paese dei misteri, l’Italia. Quello in cui storie vecchie si mischiano a storie nuove, quello in cui il passato non passa mai.
Può succedere che dopo trent’anni arrivi la sentenza per un fatto di terrorismo del passato, per un omicidio rimasto irrisolto. Può succedere che vicende dimenticate tornino a occupare il centro della scena pubblica.
A volte è un attimo, il tempo che un giudice metta una firma. Altre volte è più delicata la questione, e si dà il via a una storia nuova, lunga e a sua volta misteriosa.
Romanzo Criminale era il lascito narrativo della Banda della Magliana. Era raccontare ai posteri cosa fu quel sodalizio criminale che provò a mettere le mani su Roma. Roma che non era intenzionata a diventare di nessuno.
Ma se il tempo non fosse mai passato tra i vicoli della capitale e le storie pesanti della sua criminalità autoctona? Storia fine.
Mafia Capitale e Massimo Carminati
Dicembre 2014.
Manca poco a Natale quando il nome della Banda della Magliana rientra nelle case degli italiani. Lo fa sempre attraverso la televisione, ma questa volta non c’è una casa di produzione dietro, né attori e registi.
A fare il nome della Banda sono i telegiornali, gli organi di stampa, per collegarsi a un fatto nuovo. La Procura di Roma ha appena arrestato trentasette persone, sequestrato duecento milioni di euro in beni e dato all’operazione un nome altisonante: Mafia Capitale.
Nei fascicoli della Procura spuntano personaggi illustri, primo fra tutti l’ex sindaco Gianni Alemanno. Ma non è solo una questione politica, quello che si sta scoperchiando è un vaso di Pandora. Roma è invasa, ancora e ancora, dalla criminalità. Come trent’anni prima, come sempre.
Città eterna anche per questo. Ma più ancora che Alemanno c’è un nome destinato a rimanere impresso nelle menti di tutti ovvero quello di Massimo Carminati.
Un uomo di destra, Carminati. Della destra estrema, violenta e terrorista. La destra delle bombe, del fuoco e del dolore degli anni di Piombo.
In questo ambiente cresce la figura di quest’uomo, che diventa punto d’incontro tra estrema destra e malavita comune.
C’è una componente politica neofascista nella Banda della Magliana e in parte proviene dal ruolo di Carminati, dal suo stare a metà fra i due mondi.
E anche l’inchiesta che porta a Mafia Capitale parla di un punto di congiunzione. Il mondo di mezzo, quel posto dove malavita, politica e imprenditoria si incontrano e portano ognuno le sue ragioni.
Il contatto tra ciò che è chiaro e ciò che è scuro, la forza delle associazioni criminali che operano su Roma, il sapersi muovere. Dentro e fuori i confini della criminalità, dentro e fuori la vita politica.
Massimo Carminati è questo, l’uomo che congiunge, l’anello che lega i mondi.
Il processo Mafia Capitale
Il valore politico e sociale del definire l’inchiesta Mafia Capitale non è irrisorio. Accomunare le parole mafia e Roma significa aprirsi all’idea che la criminalità organizzata di stampo mafioso sia uscita dai suoi luoghi abituali. Non è la prima volta che succede, la stessa Banda della Magliana fu portata a processo col sospetto di mafia e poi non se ne fece più nulla. L’impressione iniziale però è che qui le cose siano diverse.
A novembre 2015, meno di un anno dopo i primi arresti, inizia il processo. Gli imputati sono quarantasei, e quasi metà di questi sono lì proprio in nome dell’articolo 416 Bis del Codice penale: associazione a delinquere di stampo mafioso. Tra questi lo stesso Carminati e Salvatore Buzzi, altro nome forte dell’inchiesta.
C’è mafia a Roma? Questa è la domanda a cui la giustizia dovrà rispondere una volta per tutte, davanti allo Stato, alla politica e all’opinione pubblica.
La storia del processo Mafia Capitale è lunga e tortuosa. Quella parola lì, mafia, quella che ha dato inizio a tutto è ciò su cui si gioca il dettaglio. Non esiste solo la mafia, esistono anche organizzazioni criminali non di stampo mafioso. La stessa Banda della Magliana lo era, per i giudici.
Ma questa davanti a cui ci troviamo ora? Ogni grado di giudizio dà una sua interpretazione. L’aggravante mafioso entra ed esce dalle sentenze. L’unico grado di giudizio che lo riconosce è l’appello, ma la parola definitiva spetta alla Cassazione.
La sentenza arriva ad ottobre 2019, poco meno di cinque anni dopo i primi arresti. Non c’è aggravante mafioso, non c’è il reato di cui all’art. 416 Bis del Codice penale. In base a questo si prescrive un secondo appello, che dovrà ricalcolare – diminuendole- le pene degli imputati.
Per Massimo Carminati saranno dieci gli anni di reclusione da scontare.
Non c’è mafia a Roma
La mafia a Roma non c’è.
O meglio, a Roma hanno operato organizzazioni criminali di stampo mafioso; ma sono quelle che vengono dalle regioni del meridione e hanno solo spostato più su i loro affari.
Roma non ha una sua mafia autoctona, nata e cresciuta nelle sue borgate e nelle sue periferie.
Certo, ha sacche di criminalità che sono cresciute e proliferate, ha organizzazioni che hanno spacciato, ucciso, si sono fatte la guerra. Ma non è mafia nel senso giuridico del termine.
Se nel parlare comune questo significa poco, mafia o no siamo sempre lì, per la giurisprudenza non è una questione da niente. Significa che domani, se verrà fuori un’altra organizzazione, bisognerà tenere conto anche di questo. Bisognerà capire se e perché quell’altra organizzazione avrà l’aggravante del metodo mafioso, cosa cambia, cosa c’è di nuovo.
Ci si penserà quando sarà, se sarà, come sarà.
Per ora non c’è mafia.
La vicenda giuridica di Mafia Capitale è arrivata ormai ai suoi sgoccioli.
Dopo la sentenza di Cassazione e il nuovo processo di appello, quello che ha ricalcolato le pene, c’è stato un nuovo ricorso alla Suprema Corte.
Questa volta nulla è cambiato, e il 29 Settembre 2022 le pene commutate dalla Corte d’Appello sono state tutte confermate. Soltanto per un imputato è stato richiesto un terzo appello, ma per il resto le condanne sono state confermate. L’organizzazione criminale che operava su Roma è stata condannata, anche se non c’entra la mafia.
Sono passati quasi dieci anni dai primi arresti, da quando il mondo criminale romano è tornato sotto i riflettori.
Le sentenze sono state seguite dalle telecamere di mezzo mondo, l’attesa per scoprire se ci fosse mafia a Roma è stata trepidante. Come fosse il nuovo capitolo di una saga cinematografica, di una storia di finzione.
Una fiction.
Suburra: un’altra serie sulla criminalità romana
In realtà anche la storia di Mafia Capitale ha avuto i suoi risvolti cinematografici.
La serie Suburra, anch’essa preceduta da un film e da un libro di De Cataldo e Bonini, si rifà alle vicende della Roma criminale moderna. Da poco è stata presentata la terza stagione, per la gioia di un pubblico che non smette di fare maratone Netflix. Torna quindi la discussione sul ruolo dei media e dell’entertainment nell’educazione, nello sviluppo di modelli sociali e comportamentali.
Parole. Parole che molto spesso non hanno seguito neanche nei dibattiti veri su istruzione ed educazione.
Nel frattempo, si aspetta, consapevoli che un altro Romanzo Criminale, un’altra Suburra in Italia ci saranno sempre. Forse proprio a Roma, dove la giurisprudenza ha detto non ci sia mai stata mafia.
Chissà se un giorno, un altro processo, un’altra banda, cambieranno anche questa storia.
Francesca Romana Moretti per Questione Civile
Sitografia
www.medium.com
www.ilsole24ore.com
www.roma.corriere.it
www.huffingtonpost.it
Bibliografia
Giancarlo de Cataldo, Romanzo Criminale, Einaudi, Roma, 2002;
Giancarlo de Cataldo, Bonini, Suburra, Einaudi, 2013;
Angela Camuso, Mai ci fu pietà, Castelvecchi, 2016;
Giovanni Bianconi, Ragazzi di Malavita, Dalai Editore, 2004;