Assistente reale o virtuale? Come cambia il mondo dell’assistenza con le chatbot
Una chatbot è una forma di automazione basata su un software che simula un’interazione con un essere umano. Sulla base di parole chiave che vengono riconosciute dal software, che diventano inputs per il sistema, la chatbot è in grado di elaborare risposte che ricordano risposte umane.
Il termine “chatterbot” è stato coniato nel 1994, dal creatore del ChatBot Verbot, Michael Mauldin per descrivere queste tipologie di programmi di conversazione. Esse vengono utilizzate principalmente da aziende o da professionisti per rispondere alle classiche domande che vengono rivolte al Servizio Clienti. In altre parole, si tratta di uno scambio di messaggi con l’azienda automatizzato, per cui risponde un sistema digitale e non un operatore di un call center che si attiva per fornire una prima assistenza. In tal modo, le aziende possono individuare soluzioni parzialmente autonome a domande precise. Pertanto, diventa fondamentale l’utilizzo e la padronanza della programmazione e dell’Application Programming Interface (API) per idearle e potenziarle.
I primi antenati delle chatbot
I Chatterbot nascono da molto lontano. Alan Turing, un matematico britannico, nella prima metà del Novecento si chiese per la prima volta come fosse possibile determinare la sussistenza della capacità di una macchina nel simulare o dimostrare una pseudo intelligenza mediante conversazione scritta e se essa fosse in qualche modo assimilabile a quella umana. Dieci anni dopo, pubblicò il primo articolo in merito e strutturò il cosiddetto “Test Turing”. Il superamento del test consiste nel fatto che le risposte dell’intelligenza artificiale devono essere indistinguibili da quelle umane.
Un esempio di superamento del test di Turing si ha quando manualmente si inseriscono sequenze di lettere e numeri in una casella CAPTCHA per verificare che l’utente sia umano. Nel 1966, l’informatico tedesco Joseph Weizenbaum ideò il primo chatterbot “Eliza” che aveva l’obiettivo di simulare una conversazione tra un terapeuta e il suo paziente nella fase iniziale di confronto. Questo impiego fu pensato nell’ottica di un miglioramento della formazione degli studenti universitari di medicina che mediante l’esercizio con l’ausilio di Eliza potevano prepararsi concretamente al contatto con un paziente molto fragile. Solo pochi anni dopo, nel 1972, lo psichiatra della Stanford University Kenneth Colby sviluppa “Parry” che ricrea il pensiero di un soggetto paranoico e schizofrenico. “Jabberwacky” è il nome del sistema inventato nel 1988 dal programmatore Rollo Carpenter che si prefiggeva di puntare alla realizzazione di un interessante e naturale conversazione umana.
Nel 1995 Richard Wallace crea Alice: una chatbot basato sulla PNL che riproduceva una chat con una donna. Anche Siri, Cortana e Alexa rientrano nella stessa categoria. ChatGPT (Chat Generative Pre-trained Transformer), prototipo di OpenAI, è l’ultima evoluzione della chatbot e proprio per la somiglianza con le risposte umane ha generato l’idea di vietarne l’uso in alcuni casi o ambiti come per la redazione di tesi o per ricerche accademiche.
Perché usare o non usare le chatbot?
L’impiego delle chatbot è sempre più diffuso nel sistema di assistenza clienti delle aziende. Difficilmente sia nelle piccole, medie e grandi imprese vi è la sola assistenza classica che prevede il contatto diretto con un operatore o operatrice di un call center. Si stima che le chatbot riescano a rispondere alle domande che ricevono dagli utenti per circa il 65% di quelle che normalmente vengono o venivano rivolte ad un operatore. La risposta è tempestiva ma in alcuni casi può richiedere tra le 24 e le 48 ore. In questo modo si possono già evidenziare i due grandi vantaggi del loro utilizzo.
Innanzitutto viene ridotto il tempo di risposta alle richieste base dei clienti e così facendo il lavoro da smaltire e gestire in tempi congrui rispetto alle richieste più complesse viene notevolmente migliorato. In secundis vi è un importante risparmio economico dato dal fatto che, sfruttando programmazione e API, i costi per la gestione e il mantenimento del Servizio Clienti sono più bassi rispetto all’ipotesi in cui bisogna assumere un numero maggiore di operatori o operatrici. Vi sono ulteriori vantaggi conseguenziali a quelli già citati, primo fra tutti il miglioramento del rapporto azienda-cliente che vedendo soddisfatta tempestivamente la propria richiesta di assistenza non solo sarà portato nuovamente ad intrattenere rapporti con essa ma parlerà positivamente a terzi del brand. È doveroso evidenziare gli aspetti negativi del sistema. Meno operatori implica meno disponibilità di offerte di lavoro nel settore privato.
Aspetti negativi
Come precedentemente segnalato, le chatbots non rispondono al 100% di domande che ricevono e ciò implica che, se un utente rivolge una domanda “atipica” (o meglio, non rientrante in quelle coperte dalla percentuale) potrebbe non ricevere l’assistenza di cui necessita e oltre a spazientirsi, potrebbe parlare negativamente del brand. Per fronteggiare quest’ultima ipotesi, la maggior parte delle aziende consentono l’accesso, in via secondaria, all’assistenza ordinaria in caso di mancata risposta utile della chatbot.
Chatbot: prospettive future
Il mondo delle chatbot essendo in evoluzione è ancora un ecosistema da scoprire e da approfondire. Valutarne le potenzialità, i casi e i settori in cui il loro impiego è più fruttuoso è una riflessione che richiede tempo, simulazioni, valutazione dei risultati sul lungo periodo e soprattutto valutazione e mantenimento di una serie di equilibri etici, sociali, economici ecc., che rendono arduo delineare i dettagli delle future fasi di sviluppo. Le chatbot non sono in grado di pensare, formulare pensieri propri e spesso neanche di essere collegate ad Internet in modo da cercare in autonomia nuove informazioni. Sono assistenti virtuali e come dice il termine stesso assistono ma non sostituiscono il lavoro o l’intelligenza umana.
Valeria Cantarella per Questione Civile
Bibliografia e sitografia
Michael Mauldin, ChatterBots, TinyMuds, and the Turing Test: Entering the Loebner Prize Competition, in Proceedings of the Eleventh National Conference on Artificial Intelligence, 1994;
Alan Turing, Computing Machinery and Intelligence.