La sottile arma della manipolazione psicologica
La manipolazione psicologica è una strategia applicata all’interno di relazioni di potere da parte di un membro nei confronti di un altro o di altri e nelle quali viene logorata progressivamente l’autonomia decisionale della vittima. Spesso la manipolazione psicologica ha come scopo quello di assoggettare la persona che la subisce, riducendone considerevolmente il senso critico e provocandone la dipendenza e il conformismo a dettami e volontà del manipolatore. Essa però, trova terreno fertile laddove il manipolatore sia riuscito a creare una relazione di fiducia e si sia guadagnato un canale di comunicazione privilegiato ed esclusivo. Infatti, attraverso questa strategia si verifica che le suggestioni del manipolatore si insinuano in maniera pervasiva nel sistema di valore della persona oggetto di manipolazione psicologica.
Il modello BITE: gli elementi fondamentali della manipolazione psicologica
Il modello BITE (Behavior, Information, Thoughs, Emotions: Comportamento, informazioni, pensieri, emozioni) è stato messo appunto da Steven Hassan e consta di quattro componenti caratterizzanti la manipolazione psicologica. Gli elementi proposti dal modello sono il controllo del comportamento, il controllo del pensiero, il controllo delle emozioni e il controllo delle informazioni.
Secondo Hassan, l’attuazione sistematica di questi comportamenti riuscirebbe ad incidere in maniera notevole su diversi ambiti della personalità della vittima. Il modello si fonda sull’assunto base secondo il quale ciascun individuo tende a voler mantenere una coerenza interna che metta d’accordo pensieri, emozioni e comportamenti. Indurre iniziali cambiamenti nel comportamento di una persona indurrebbe un riassetto progressivo di pensieri ed emozioni al fine di minimizzare la dissonanza interna.
Il controllo del comportamento riguarda diverse sfere d’azione della vita della persona manipolata (attività quotidiane, uscite, abbigliamento, etc…) mentre il controllo del pensiero viene esercitato tramite l’indottrinamento e il blocco del pensiero. L’indottrinamento consiste nel fornire una dottrina dominante e pervasiva che funge da filtro di interpretazione della realtà sostituendo schemi preesistenti. Il blocco del pensiero, invece, è un espediente che ferma il flusso del pensiero quando arriva un elemento che contrasta la dottrina (mantra, preghiere, cantilene).
Il controllo delle emozioni si esercita attraverso l’induzione del senso di colpa, della paura e dell’indegnità utilizzando premi e punizioni, giudizi, critiche e sfuriate. Il controllo delle informazioni, infine, consiste in un controllo stringente sull’accesso ad informazioni esterne soprattutto nel caso di gruppi o sette.
Il suo utilizzo nella radicalizzazione giovanile
Negli anni più recenti sono molti gli studi che si sono proposti di comprendere in che modo giovani adulti venissero radicalizzati in gruppi estremisti. Molti ricercatori si sono soffermati sia sulle caratteristiche individuali del soggetto radicalizzato sia sulle tecniche di manipolazione psicologica messe in atto per raggiungere l’obiettivo. Secondo Adam Troian esistono sicuramente dei fattori di rischio intrinseci nel soggetto radicalizzato tra i quali la fascia d’età del giovane adulto appare quella maggiormente presa di mira dai reclutatori.
I giovani adulti, infatti, esperiscono esperienze emotive molto più estreme perché non hanno ancora raggiunto una maturità piena nella regolazione emotiva. La maggiore reattività emotiva rende i giovani più vulnerabili alla minaccia e al rifiuto sociale, elemento su cui giocano spesso i reclutatori. L’impulsività che caratterizza i giovani, infine, è spesso terreno fertile per l’impegno politico violento verso la realizzazione di un ideale.
Secondo un recente modello di reclutamento e mobilitazione violenta, i reclutatori identificherebbero dei contesti maggiormente vulnerabili (quartieri marginali, centri educativi, etc…) dove è più semplice instaurare relazioni di fiducia e utilizzare la manipolazione psicologica per radicalizzare soggetti. Questo processo prevede una prima fase di sottomissione psicologica per cui il soggetto diventa dipendente dall’amicizia del manipolatore che utilizza strategie di persuasione (isolamento sociale, induzione di confusione, messa in discussione della realtà). Segue una fase in cui viene creata una nuova identità rinforzando l’appartenenza sociale al gruppo estremista e marcando la differenza dall’out-group. Infine, c’è la fase in cui viene promossa la disinibizione e l’azione violenta come risposta ai maltrattamenti subiti, identificando un nemico esterno contro cui combattere per il miglioramento della condizione del nuovo gruppo di appartenenza.
Una lama ghiacciata: la manipolazione psicologica del gaslighter
Cos’è il gaslighting se non un’altra sottilissima forma di manipolazione psicologica? Il temine “gaslighting” nasce da una rappresentazione teatrale del regista Georg Cukor, che racconta di una coppia in cui il coniuge, alterando la luce delle lampade a gas dell’abitazione, conduce la moglie a dubitare delle proprie percezioni inducendola alla follia. Questa forma di manipolazione psicologica prende piede soprattutto all’interno di relazioni di coppia ma può realizzarsi anche in altri ambiti relazionali (amicali, lavorativi, etc…). Si tratta di una condotta manipolativa che confonde la persona che è assoggettata privandola della sua autonomia e della sua capacità decisionale.
Il gaslighting si realizza quando i contatti tra manipolatore e vittima sono molto intimi e laddove si crei una relazione di fiducia assoluta. Il gaslighter, infatti, riesce a minare l’autostima del soggetto convincendolo del fatto di non poter fare a meno del loro legame, esercitando forme di controllo e assoggettandolo alla sua volontà. Nelle prime fase del gaslighting il manipolatore si presenta come amico/partner ideale, tende ad adulare e a lusingare l’altro insinuandosi nel suo privato per poi destabilizzarlo progressivamente nella sua autostima e instaurando una relazione di completa dipendenza.
In conclusione, la manipolazione psicologicasi configura come un processo graduale e inizialmente poco evidente perché il nuovo schema di valori proposto si discosta in maniera lenta e progressiva da quello iniziale del soggetto manipolato ampliando pian piano la sua sfera di tolleranza e rendendo possibile ciò che sembrava non lo sarebbe mai stato.
Fabiana Navarro per Questione Civile
Bibliografia
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Mendicino, R. (2016). Gaslighting: i profili giuridici di una forma di abuso psicologico. Profiling. I profili dell’abuso. 7(2).
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