Lo Statuto Albertino: storia della prima Carta Costituzionale italiana
Concesso prima ancora dell’unità d’Italia e sostituito solo nel 1948 dall’attuale Costituzione, lo Statuto Albertino racconta un pezzo di storia italiana, quella delle origini di uno stato e delle battaglie per la sua unificazione.
Una storia lunga un secolo
Lo Statuto Albertino è considerato un po’ il padre della Costituzione Italiana. Anche i suoi limiti, che hanno consentito la nascita dell’autoritarismo fascista, sono stati oggetto di riflessione per i padri costituenti. Ad esempio, la struttura flessibile, facilmente superabile anche da leggi ordinarie, al contrario dell’attenta disciplina delle modifiche al testo attuale.
La sua storia comincia però molto prima, quando ancora l’Italia non è unita.
Si tratta di una legge che verrà concessa in prima battuta al Regno di Sardegna, in quel periodo di rivoluzioni e riforme che fu il 1848. Solo più tardi, a unità compiuta, verrà allargata a tutto il neonato stato, diventandone il testo fondamentale fino all’avvento del Fascismo.
Carlo Alberto, l’uomo dello Statuto
La storia dello Statuto è necessariamente legata all’uomo che l’ha promulgato.
Carlo Alberto di Savoia nasce nel 1798 e rimane orfano del padre, Carlo Emanuele, quando ha appena due anni. Sua madre, la principessa di Sassonia Maria Cristina, di idee vicine alla Francia rivoluzionaria, non é ben vista in casa Savoia. L’ostilità verso la donna si ripercuote presto anche sui figli, che vengono cresciuti lontano da Torino.
In particolare Carlo Alberto, che si forma tra Parigi e Ginevra negli anni di Napoleone, trattenendo con sé uno spirito diverso da quello della famiglia.
Anche per questo viene fatto rientrare a Torino nel 1813, su ordine di Vittorio Emanuele I, che vuole maggior controllo sulla sua educazione, a cominciare da quella religiosa, che col tempo si é allontanata dal Cattolicesimo.
Nel 1816 sposa l’arciduchessa Maria Teresa, figlia del granduca di Toscana da cui nascerà il futuro primo re d’Italia, Vittorio Emanuele II.
Il 1821 segna il primo momento di svolta sia per Carlo Alberto che per il regno di Sardegna.
L’anno si era aperto con le proteste degli studenti, sulla scia di quelle che già serpeggiavano in tutta Europa. Dietro ai ragazzi le società segrete, la Carboneria, i piani più o meno organizzati per rovesciare la restaurazione del vecchio continente. Il caos che ne é derivato fu tale da portare Vittorio Emanuele I all’abdicazione nei primi di marzo, in favore del fratello Carlo Felice.
Questi però si trovava a Modena. Di conseguenza c’é a reggenza di Carlo Alberto, già precedentemente convinto di poter essere mediatore tra i rivoltosi e la corona. Un’idea sbagliata in quanto ben presto i tumulti diventano tali da mettere il reggente sotto scacco. Egli é costretto quindi a concedere una Costituzione, riprendendo quella spagnola.
Un’esperienza costituzionale che però dura pochissimo; tornato Carlo Felice viene dismessa, e Carlo Alberto é costretto a fuggire.
I moti di Torino e la concessione dello Statuto Albertino
Dai fatti del 1821 trascorre un decennio preciso prima di veder Carlo Alberto di nuovo sul trono del Piemonte. Questa volta in maniera definitiva, successore del recentemente spirato Carlo Felice.
Si apre così oltre un quindicennio di regno che sarà fondamentale per le future vicende italiane.
In questo periodo la figura di Carlo Alberto diviene man mano sempre più invisa al mondo liberale, per cui le sue mosse erano troppo tentennanti. Una svolta la si ha nel 1847, di nuovo durante un periodo di gran fermento per tutto il mondo rivoluzionario europeo.
La timida apertura volta alla riduzione dei privilegi ecclesiastici, a una limitata libertà di stampa e all’eleggibilità delle cariche amministrative non era considerata sufficiente.
Il 1847 si stava chiudendo con uno scontro tra il monarca e i liberali, che rischiava di aprire una nuova stagione di crisi e violenze a Torino e in tutto il regno.
La soluzione, l’unica possibile, era iniziare a cedere su qualcosa, ma non era un processo immediato e semplice.
Ai primi di gennaio del 1848 l’idea del Consiglio di Conferenza, chiamato a esprimersi, era respingere ogni richiesta, chiudere alle possibilità di apertura. Un mese più tardi, al contrario, arrivava al Re parere favorevole di questi alla svolta Costituzionale.
Si partiva da un proclama in quattordici articoli volto a illustrare quelli che sarebbero stati i pilastri della nuova Carta, pubblicato in febbraio.
Lo Statuto entra ufficialmente in vigore il 5 marzo 1848 ovvero poco più di tredici anni esatti prima dell’Unità, che sarebbe arrivata ben dopo la morte di Carlo Alberto.
Tra le novità da segnalare quando si parla dello Statuto c’è la concessione di libertà di culto al popolo ebraico. Una libertà non da poco, né se si guarda al passato né se si guarda al futuro della Carta.
Lo Statuto dall’unità al Fascismo
Nel processo di unificazione italiana il ruolo piemontese è di primaria importanza.
Questo ha dato adito, nel corso dei decenni e poi dei secoli, a speculazioni, dubbi, ritrosie. Problemi che non hanno favorito la creazione di legami nazionali e che ancora oggi riecheggiano nei gruppi indipendentisti e separatisti, anche se meno che altrove.
Resta però il dato storico di cosa Casa Savoia fece, sia prima che dopo il 1861, per quel Regno d’Italia che già da tempo era tra i suoi obiettivi.
E l’allargamento dello Statuto a tutto il nuovo suolo nazionale, Carta Costituzionale del neonato Paese, è tra i primi atti. Non solo: per rimarcare la continuità tra il Regno di Sardegna e l’Italia unita anche la numerazione delle legislature non ricomincia da I. Si continua infatti a contare a partire proprio da quella del 1848, la prima successiva alla promulgazione della nuova Carta Costituzionale.
Dura un secolo preciso la storia dello Statuto Albertino, dal 1848 al 1948, quando entra in vigore la Costituzione Repubblicana.
In questi cento anni incontra anche il periodo Fascista, dal quale viene semplicemente dismesso.
Non c’è mai, infatti, una vera e propria abrogazione dello Statuto da parte del governo di Benito Mussolini. Solo un passarci sopra, quasi legittimo davanti una Carta che non richiedeva particolari forme per la sua modifica.
Lo Statuto Albertino resta così lettera morta per un ventennio, appassendo poco a poco mentre le Leggi Fascistissime diventavano la base del nuovo stato.
Con le leggi razziali si passa ancora una volta sopra la lettera dello Statuto. La Carta che aveva concesso libertà di culto al popolo ebraico rimaneva in vigore mentre l’Italia contribuiva allo sterminio ordito dal Nazismo.
Il testo studiato attentamente, voluto da Carlo Alberto e reso legge principale dello Stato dal figlio dopo l’unità, era ormai vuoto.
Lo Statuto Albertino e la Costituzione Repubblicana
Finita la guerra, finito il fascismo, gli italiani furono a chiamati a votare per la forma del nuovo Stato. Si tratta del famoso Referendum del 2 giugno 1946, quando si passò da Monarchia a Repubblica e le donne poterono votare.
In quella stessa occasione gli elettori ebbero la possibilità di eleggere i membri dell’Assemblea Costituente, che avrebbe dovuto dare al paese una nuova carta fondamentale.
Queste due votazioni erano figlie di un accordo antecedente la fine del conflitto ma successive la caduta del fascismo. Si tratta del così detto “Patto di Salerno”, incorso tra la Monarchia e le forze antifasciste già nell’aprile del 1944.
L’Assemblea Costituente iniziò i suoi lavori il 25 giugno successivo al Referendum, continuandoli per un anno e mezzo. Il 27 dicembre 1947 il capo provvisorio dello stato Enrico De Nicola promulgò il testo Costituzionale, che entrò definitivamente in vigore il Primo Gennaio del 1948.
Il nuovo testo Costituzionale, oggi ancora in vigore, è più lungo rispetto allo Statuto Albertino.
Figlio dell’esperienza della Resistenza Antifascista i suoi valori si incontrano subito all’inizio, nei primi dodici articoli, riassunto dei suoi caratteri fondamentali.
Diritti di uguaglianza e di liberà, soprattutto di culto e di credo politico, quelle che il Fascismo aveva soppresso in modo feroce legge dopo legge.
A questo si aggiunge il tentativo di autotutela del testo; l’articolo 138 introduce il sistema della doppia approvazione a maggioranza dei due terzi per la modifica degli articoli della Carta. E ancora il 139, l’ultimo prima delle disposizioni transitorie e finali, che recita “La forma repubblicana non può essere oggetto di revisione costituzionale”.
La storia centenaria dello Statuto, iniziata nella monarchia Sabauda, finiva così nell’Italia Repubblicana.
Un percorso lungo ben più di una vita di cui ancora oggi troviamo piccole tracce nel nostro vivere quotidiano, civile e istituzionale.
Francesca Romana Moretti per Questione Civile
Sitografia
www.treccani.it
www.museotorino.it
www.senato.it
Bibliografia
Augusto Barbera – Il governo parlamentare dallo Statuto albertino alla Costituzione repubblicana
Consultabile qui -> https://www.prefettura.it/FILES/AllegatiPag/1168/Pub2_dapag_033.pdf