Fiabe popolari, un genere a metà tra l’oralità e la letteratura
Quando si sente parlare di fiabe popolari, il primo pensiero solitamente corre a capolavori immortali talvolta premiati anche da fortunate trasposizioni cinematografiche, come per esempio Le avventure di Pinocchio di Carlo Collodi o La sirenetta di Hans Christian Andersen. Si tratta, tuttavia, di un errore, almeno dal punto di vista dell’antropologia e degli studi delle tradizioni popolari. Le fiabe popolari, infatti, costituiscono un genere testuale con caratteristiche proprie, diverse da quelle che immaginiamo sotto influenza dei capolavori disneyani.
Con questo articolo, inauguriamo quindi una nuova rubrica, in cui indagheremo in profondità i vari aspetti di questi testi, sempre da una prospettiva antropologica. Non mancheranno gli inevitabili riferimenti a discipline e generi affini come la letteratura e la mitologia, con cui l’antropologia ha numerosi punti di contatto. Ma proprio per questo è necessario stabilire fin da ora un punto fermo, senza equivoci: la fiabe popolari sono un genere a sé stante.
Fiabe popolari (e non solo): elementi di base
La distinzione tra fiabe popolari e fiabe letterarie non è sempre di facile definizione. Per poter individuare il “confine” tra queste due tipologie di fiabe, può essere tuttavia utile partire dagli elementi fondamentali che compongono una qualsiasi fiaba. Questi sono:
- la trama, termine che indica genericamente l’insieme degli eventi di un racconto. Il concetto di trama è stato spesso criticato per la sua ambiguità, in quanto può riferirsi sia alla fabula (cioè alla narrazione di eventi secondo il loro ordine logico e cronologico) sia all’intreccio (cioè alla narrazione di eventi secondo un ordine deciso dall’autore, che può per esempio servirsi di analessi e di prolessi);
- il motivo, cioè un segmento specifico con un significato ben preciso, che si può ritrovare anche in narrazioni diverse. Per esempio, sono motivi ricorrenti nelle fiabe europee la lotta tra fratelli o la presenza di un aiutante che sostiene l’eroe principale. Il motivo, quindi, è una sorta di mattoncino riutilizzabile in più trame, ma non costituisce una trama a sé stante.
Questi due elementi costituiscono l’ossatura non solo delle fiabe, ma anche di tutti quei testi che prevedono la narrazione di eventi. Trame e motivi si ritrovano infatti anche in testi diversissimi tra loro, capaci di attraversare tutte le età della storia umana dal racconto epico di Gilgamesh fino alle agiografie medievali e oltre.
L’origine delle fiabe popolari
L’equivoco cui si accennava nell’introduzione di questo articolo è probabilmente dovuto all’ambiguità dell’espressione fiabe popolari. Infatti, in italiano “popolare” può essere sinonimo di “famoso”, ma anche indicare “ciò che è del popolo”. Di quest’ambiguità non si trova invece traccia nell’equivalente inglese folk tales, dove folk deriva in ultima analisi dal protogermanico *fulką (“popolo”, ma anche “tribù”). L’asterisco indica che si tratta di una forma ricostruita, cioè non attestata da fonti scritte ma ipotizzabile sulla base delle attuali conoscenze linguistiche e filologiche.
L’espressione inglese ha dunque il pregio di indicare in modo incontrovertibile che le fiabe popolari sono “creazioni del popolo”. Si tratta, infatti, di trame e motivi che descrivono la vita della povera gente, le sue credenze, ma soprattutto i suoi rapporti con il potere. Contrariamente a quanto siamo abituati a credere, infatti, le fiabe non nascono per un pubblico infantile, ma come intrattenimento per adulti. Basti pensare in proposito che nei secoli scorsi molte fiabe sono state recuperate grazie alle testimonianze di contadini, pastori e pescatori. Proprio questo ruolo nevralgico nella vita delle comunità analfabete ha suscitato l’interesse di ceti sociali via via più elevati, fino ad arrivare alle corti reali. Sono stati poi questi ceti a donare all’umanità gli scrittori che, partendo da trame e motivi popolari, hanno rielaborato questi elementi e creato nuove fiabe.
Semplificando estremamente il discorso, si potrebbe dunque dire che la differenza sostanziale tra fiabe popolari e fiabe letterarie è tutta qui. Le prime, infatti, avrebbero avuto origine nella trasmissione orale di piccole comunità, trasformandosi nelle seconde in seguito alla raffinata trascrizione e rielaborazione di autori colti.
Fiabe popolari e fiabe letterarie in Italia…
Una delle più antiche raccolte di fiabe e favole è il Pañcatantra (pronuncia: “Panciatàntra”), composta in India tra il II e il VI secolo d.C. Si tratta di un’opera la cui struttura sarà ampiamente riutilizzata in molte letterature e opere successive: le settanta fiabe di cui si compone, infatti, sono calate all’interno di una cornice narrativa più ampia, esattamente come accade – per fare un esempio noto ai più – nel Decameron di Giovanni Boccaccio.
Non sappiamo se Boccaccio conoscesse questo capolavoro della narrativa indiana o se addirittura ne abbia tratto ispirazione. La prima edizione europea, infatti, si deve a una traduzione in latino di Giovanni da Capua, attivo durante il pontificato di papa Bonifacio VIII (1294-1303). Considerando che Boccaccio è morto nel 1375, l’ipotesi è plausibile, ma si tratta di una bella suggestione difficile da dimostrare. Il modello boccaccesco, comunque, è ripreso ne Le piacevoli notti di Giovanni Francesco Straparola, una raccolta di fiabe e novelle pubblicata per la prima volta nel 1550 a Venezia. Nella sua opera, Straparola utilizza ancora lo stratagemma della cornice narrativa, ma introduce alcune novità nel genere novellistico: una su tutte, l’elemento folkloristico.
In Italia l’inclusione dell’elemento folkloristico si traduce anche nell’impiego del dialetto, a ulteriore testimonianza della provenienza popolare di certi materiali. Questa tendenza è ricorrente in Straparola, che usava correttamente il bergamasco e il padovano, ma trova il suo centro nevralgico nella città di Napoli, autentico scrigno di tradizioni popolari. Infatti, nel Seicento escono due grandi raccolte di fiabe scritte in napoletano: Lo cunto de li cunti overo lo trattenemiento de peccerille di Giambattista Basile (1634) e la Posilecheata di Pompeo Sarnelli (1684). Non ci si lasci ingannare dal riferimento ai “peccerille” nel titolo del capolavoro basiliano: la complessità dell’opera esclude del tutto un possibile pubblico di bambini.
…e nel mondo
Bisogna tuttavia attendere l’Ottocento affinché i materiali popolari catturino l’attenzione anche della comunità degli studiosi. Il secolo del Romanticismo, infatti, vede intellettuali e accademici di tutta Europa impegnarsi nel recupero di tutto ciò che la cultura “alta” aveva snobbato e scartato nei secoli precedenti. Epicentro di questo movimento è la Germania dei fratelli Jacob e Wilhelm Grimm, che scandagliarono le terre tedesche a caccia di racconti. Intervistarono così numerose persone – di ambiente più borghese che rurale – registrando numerose fiabe popolari, che poi pubblicarono migliorate nello stile e nella resa. Le cosiddette “fiabe dei fratelli Grimm”, quindi, sono in realtà fiabe popolari tedesche ed europee e non l’invenzione di due individui, come erroneamente si crede. Basti pensare, per esempio, al famoso caso della Cenerentola dei fratelli Grimm, evidentemente influenzata da La gatta Cenerentola del già citato Basile.
Questa operazione, forse non particolarmente onesta, non fu però isolata. Nel medesimo secolo, infatti, raccolte simili apparvero in diversi Paesi europei, tra cui Francia, Italia, Regno Unito, Russia e penisola iberica. Questo fervore interessò anche aree fino ad allora marginali, come la Scandinavia e la penisola balcanica, estendendosi anche al di fuori dei confini continentali. Qui però è opportuno specificare una cosa. Mentre in Europa questo interesse era spontaneo e rispondeva a un desidero di riscoperta delle radici culturali dei popoli, altrove era decisamente meno “genuino”. In contesti come l’Africa e il Medio Oriente, infatti, il recupero di materiale popolare avvenne ad opera dei colonizzatori, interessati a qualunque cosa potesse aiutare nella comprensione di culture tanto lontane dalla propria.
Cosa caratterizza le fiabe popolari?
Dire quali siano le caratteristiche delle fiabe popolari è un’impresa che necessiterebbe di un intero corso universitario, anche perché stiamo parlando di un fenomeno globale. Qualche elemento, comunque, possiamo comunque provare a indicarlo già adesso.
Innanzitutto, bisogna sgomberare il campo da un possibile equivoco. Per quanto trame e motivi possano essere ricorrenti, non esistono fiabe o favole uguali. Possono esserci molte similitudini, ma vi sarà sempre almeno un elemento capace di distinguerle una dall’altra. In tal caso, si parla di varianti, un elemento su cui ha ragionato molto il grande folklorista russo Vladimir Propp e su cui torneremo più avanti in questa rubrica.
Lo stesso Propp, tra l’altro, ha argomentato che molte fiabe popolari presentano elementi ricorrenti sia tra i personaggi (eroe, antagonista, aiutante, etc.) sia nelle strutture narrative. Gli elementi narrativi ricorrenti, come per esempio il superamento di un certo numero di prove da parte dell’eroe, prendono il nome di funzioni di Propp. Come vedremo nei prossimi articoli, queste funzioni rappresentano l’ossatura di base di molte fiabe note.
Un’ultima caratteristica che vale la pena citare ora riguarda la funzione eziologica di alcune fiabe, che nascono cioè nel tentativo di spiegare un fenomeno altrimenti ritenuto inspiegabile. La funzione eziologica, tra l’altro, risulta condivisa anche con molti miti, cosa che talvolta rende difficile distinguere tra mito e fiaba. Di un racconto eziologico sull’origine del mondo, tra l’altro, abbiamo già discusso il mese scorso in un podcast dedicato ai miti delle popolazioni amazzoniche, di cui trovate il link dopo i riferimenti bibliografici.
Argomenti trattati in questa rubrica
Quanto detto finora va considerato una semplice introduzione al vastissimo mondo della narrativa e delle fiabe popolari. Proprio questa vastità impone però di chiarire alcuni concetti fondamentali, prima di addentrarsi nel discorso narrativo.
I prossimi articoli saranno perciò dedicati innanzitutto a illustrare il significato di parole ed espressioni usate talvolta in modo improprio, come folklore, cultura popolare e molte altre. Successivamente, si passerà a illustrare più nel dettaglio la differenza tra fiabe e favole, le loro tipologie e le loro strutture. Infine, gli ultimi articoli saranno dedicati alla ricostruzione storica della genesi di alcune fiabe popolari particolarmente famose.
Francesco Cositore per Questione Civile
Bibliografia
- Croce, B. (a cura di) (1891). Lo cunto de li cunti (Il Pentamerone) di Giambattista Basile: Testo conforme alla prima stampa del MDCXXXIV-VI (Vol. 2). Trani, Pei tipi de V. Vecchi.
- Mancinelli, L. (a cura di) (2016). Jacob e Wilhelm Grimm: fiabe; tr. it. A. Cocito. Edizioni Mondadori.
- Pirovano, D. (2006). La fiaba letteraria di Giovan Francesco Straparola. In “Rivista di letteratura italiana: XXIV, 1, 2006, Pisa, Istituti editoriali e poligrafici internazionali.
- Propp, V. (1928). Morfologija skazki. Leningrad: Academia. (trad. it. G. Bravo, Morfologia della fiaba, G. Einaudi, Torino, 1966).
- Sanga, G. (2020). La fiaba: morfologia, antropologia e storia. CLEUP, Padova.
- Sarma, V. (2006). The Pancatantra. Penguin, UK.