Ddl Sicurezza: populismo penale contro manifestazioni e dissenso

ddl sicurezza

Come il nuovo ddl Sicurezza criminalizza il dissenso e ha conseguenze negative sulle carceri

Il ddl Sicurezza prevede una trentina di interventi sul codice penale, seguendo una linea ben delineata dal governo Meloni: la panpenalizzazione e il populismo penale. Questo ha gravi conseguenze sulla libertà di espressione soprattutto per chi ha meno diritti e cerca di farli valere all’interno delle carceri.

“Le nostre prigioni”
-N. 2
Questo è il secondo numero della Rubrica di Rivista dal titolo “Le nostre prigioni”.

Un disegno di legge contro tutti

Lo scorso 18 settembre è stato approvato dalla Camera dei deputati il nuovo disegno di legge in materia di sicurezza pubblica (n. 1660), ora all’esame del Senato. È composto di 38 articoli e, secondo i calcoli di Pagella Politica, introduce una trentina tra nuovi reati, estensione della loro applicabilità e aumento delle pene. Secondo Valigia blu, su 24 interventi totali sono 13 i reati introdotti, spesso modificando norme già presenti.

Alcuni provvedimenti controversi sono stati subito attaccati, in quanto lesivi della libertà di espressione. In particolare si è parlato di “norma anti-Gandhi” in riferimento all’articolo 14, che modifica il reato di blocco stradale: un illecito amministrativo per cui è prevista una multa, inasprita nel 2018 fino a 4000 euro. L’intento è renderlo un illecito penale, per cui oltre alla multa si aggiunge la reclusione di un mese, con l’aumento dai sei mesi ai due anni se è presente l’aggravante di riunione. Il provvedimento attacca forme di manifestazione pacifica, colpendo soprattutto gli attivisti di Ultima generazione, come altre norme presenti nel ddl.

Per altri comportamenti erano già previste delle sanzioni, ma il governo ha voluto mostrare la propria posizione a riguardo. Alcuni esempi sono l’introduzione del reato di occupazione arbitraria di immobile, il divieto contro la cannabis light, l’ampliamento del reato di terrorismo, di truffa, di accattonaggio, di imbrattamento. Sono introdotti l’innalzamento delle pene per la violenza contro pubblico ufficiale e l’aggravante generica di vicinanza a metropolitane e stazioni. Tuttavia, le norme più repressive e pericolose riguardano le carceri e l’immigrazione. L’articolo 26 tratta, infatti, di “rivolta all’interno dell’istituto penitenziario”, e l’articolo 27 prevede lo stesso per i Centri di trattenimento e raccolta dei migranti. Si parla di “norme manifesto”, ma l’intero ddl sembra piuttosto un posizionamento sui principali temi di dibattito invece di un’azione legislativa sulla sicurezza.

Panpenalismo e populismo penale

Dall’inizio del suo mandato, il governo Meloni ha introdotto diversi reati, spesso in risposta a fatti accaduti a cui l’opinione pubblica si era dimostrata sensibile. Un esempio per tutti potrebbe essere il “decreto rave”, uno dei primi atti del governo, ma vale anche per la legge contro gli scafisti, la gestazione per altri considerata “crimine universale” e altri provvedimenti. Lo stesso si può riscontrare anche in legislature precedenti, da quelle giallo verdi a quelle giallo rosse. Si legifera su temi caldi, criminalizzando i comportamenti indesiderati. Questi atteggiamenti sono ascrivibili a due tendenze: il panpenalismo e il populismo penale.

Con “panpenalizzazione” si intende la tendenza alla creazione di nuovi reati e alla criminalizzazione. È il ricorso pressocché univoco allo strumento del codice penale per risolvere problemi che sono anche sociali e culturali. Con “populismo penale” si fa riferimento non tanto all’ambito normativo, bensì alla loro strumentalizzazione da parte della politica. Questa tendenza è di tipo comunicativo: non a caso il populismo può essere definito una “strategia comunicativa”[1], che si alimenta di desideri e paure delle persone.

Le “norme manifesto” nel ddl sicurezza

I reati introdotti dal ddl vengono definiti “norme manifesto” proprio sulla base di questa seconda definizione: il governo utilizza la criminalizzazione delle manifestazioni, delle proteste nelle carceri e di tutti i comportamenti citati per dare una risposta immediata alle paure e alle insicurezze dei cittadini. Ciò implica enormi problematiche. In primis la percezione della sicurezza non rispecchia necessariamente la realtà dei fatti (come sottolineano recenti analisi Istat e Ipsos). Inoltre, questa strategia è una risposta semplicistica a questioni che, se non accompagnati da adeguate riforme amministrative, sociali e culturali, non solo non vengono risolte, ma rischiano di essere aggravate da una comunicazione dannosa che alimenta percezioni distorte. Ma l’effettiva incidenza dell’aumento delle pene, sebbene smentita da molti studi[2], non sembra essere un problema del governo.

Il ruolo ambiguo del ministro Nordio

«Chi tende a intercettare una domanda di sicurezza degli elettori giocando con il rialzo delle pene alla fine non fa altro che ingrassare un populismo che in pochi mi sembra vogliono combattere davvero: quello penale».

Questa frase è stata pronunciata nel settembre 2022 dal ministro della giustizia Carlo Nordio, promotore del ddl “Sicurezza” insieme al ministro degli interni Matteo Piantedosi e a Guido Crosetto, ministro per la difesa. Nordio ha scritto anche un libro nel 2010[3], in cui sostiene che «L’idea di poter risolvere tutto con il codice penale è propaganda, demagogia». Il ministro sembra essere dunque contrario all’approccio del governo attuato nel disegno di legge, ma, come sottolinea il Post, è rimasto marginale nel dibattito.

La linea di Carlo Nordio è stata definita “garantista”. Questa posizione prevede, secondo Il Foglio, la garanzia dei diritti dell’indagato, della separazione dei poteri dello stato e l’impedimento del processo mediatico. Inoltre, riguardo l’aumento delle pene, Carlo Nordio sostiene la teoria che maggiori controlli e la certezza della pena abbiano maggiore impatto rispetto all’aumento delle pene.

Le posizioni di Nordio sembrano essersi scontrate con l’opposizione dei partiti di maggioranza da cui è sostenuto, come era accaduto nel 2022 con l’approvazione del cosiddetto “pacchetto sicurezza”. Il decreto legge mirava a contrastare il sovraffollamento nelle carceri attraverso misure di scarcerazione agevolata o anticipata, a cui Fratelli d’Italia e Lega sono profondamente contrari. Il risultato fu l’assunzione di 1000 nuovi agenti di polizia penitenziaria, la semplificazione di procedure necessarie per sconti di pena e la possibilità di accesso alle misure di comunità. Misure che, stando ai dati di oggi, non hanno contribuito in modo significativo a contrastare il sovraffollamento.

Riguardo il disegno di legge è plausibile che il ministro si sia trovato in una situazione simile, non riuscendo a imporre la propria linea.

Ddl sicurezza: impatto sulle carceri

Ogni nuovo reato introdotto e ogni innalzamento delle pene hanno un impatto diretto sulle carceri. Come sottolinea Susanna Marietti, coordinatrice nazionale di Antigone, l’azione del governo incide «su misure di lieve entità ma che hanno un peso quantitativo nelle carceri». L’impatto reale sulla sicurezza e sulle misure è dunque molto limitato, mentre è sempre più facile entrare in carcere, aggravando la situazione di sovraffollamento.

Il governo però non si è limitato a questo: ha scelto di dare una risposta netta, e repressiva, alle proteste di quest’estate nelle carceri. Con l’articolo 26 viene introdotto il reato di “rivolta all’interno dell’istituto penitenziario”, punito con la reclusione da 1 a 8 anni (ma con aggravanti fino a 20). Vengono puniti tutti coloro che organizzino sommosse, che commettano atti violenti o che attuino «forme di resistenza, anche passiva, all’esecuzione degli ordini impartiti». Le rivolte violente erano già punite dal codice penale. L’introduzione di questo reato è una chiara applicazione del “populismo penale”, che sceglie di non dialogare e di reprimere, senza attuare misure concrete per migliorare le condizioni nelle carceri e ostacolando ulteriormente la strada della rieducazione.

Un altro aspetto molto pericoloso è la repressione della resistenza «anche passiva», come accade per le norme contro manifestazioni pacifiche. L’articolo 26 aumenta infatti le pene per il reato di “istigazione a disubbidire alle leggi” (art. 415 del codice penale), reso più grave se commesso all’interno di un carcere. La resistenza passiva, tuttavia, non può essere criminalizzata. Secondo la sentenza della Cassazione riguardo alla resistenza a pubblico ufficiale è fondamentale «il compimento di atti positivi di aggressione o minaccia che impediscano al pubblico ufficiale di compiere l’atto del proprio ufficio» affinché sussista il reato.

Opposizioni e proteste al ddl

È stato osservato come il ddl “Sicurezza” sia controverso in tema di libertà di espressione, tanto da essere definito dal presidente dell’associazione Antigone, Patrizio Gonnella, «il più grande e pericoloso attacco alla libertà di protesta della storia repubblicana». Inoltre, come sottolinea Susanna Marietti, l’azione del governo mira a «rincorrere l’attualità, quello che il diritto penale non dovrebbe fare mai», in nome di una strategia comunicativa dannosa, volta alla propaganda.

Per questo il 25 settembre è stata organizzata dalle sigle sindacali CGIL e UIL una manifestazione su scala nazionale contro il ddl. Il sit-in ha coinvolto organizzazioni come Acli, Legambiente, Ultima Generazione e Libera, oltre ai partiti di opposizione. Le proteste si sono svolte a Milano, Venezia, Genova, Bologna, Napoli, Torino, Firenze. Le sigle sindacali protestano contro la criminalizzazione del dissenso, ma sottolineano anche il problema delle carceri: «peggiora le condizioni dei carcerati, senza dare risposte alle situazioni inumane in cui versano» sostiene Luca Stanzione, presidente della CGIL di Milano.

Patrizio Gonnella, in un articolo su Il Manifesto del 12 settembre chiarisce con tre esempi pratici l’impatto del ddl sulla vita quotidiana nelle carceri. «Caso A: tre giovani ragazzi detenuti non escono dalla cella di fronte alla richiesta di essere portati in isolamento. Caso B: tre detenuti si rifiutano di mangiare o bere per uno sciopero della fame o della sete. Caso C: tre detenuti si rifiutano di smettere di protestare con la battitura delle celle.» Queste 3 azioni quotidiane sono trasformate in delitti.

Gonnella sottolinea come il ddl violi gli articoli 13 e 27 della costituzione, per cui non dovrebbe essere approvato dalla Commissione di Giustizia. Ma, intanto, come sottolinea il presidente di Antigone: «chi ha a cuore lo stato di diritto (…) esprima la sua protesta e indignazione affinché il governo torni sui suoi passi».

Arianna Gurreri per Questione Civile

Sitografia

Per informazioni generali ed elenco delle norme del ddl:

  • www.ilpost.it
  • www.pagellapolitica.it
  • www.valigiablu.it

Per approfondimenti sul populismo penale e le conseguenze negative del ddl:

  • www.ilfoglio.it
  • www.editorialedomani.it
  • www.internazionale.it
  • www.valigiablu.it
  • www.antigone.it

Per gli studi sulla percezione della sicurezza:

  • www.istat.it
  • www.ipsos.com

Per le proteste contro il ddl:

  • www.editorialedomani.it
  • www.collettiva.it

[1]Per alcune recenti interpretazioni sul populismo si veda Giuliano Bobba, La comunicazione politica populista, in Gianpietro Mazzoleni (a cura di), Introduzione alla comunicazione politica, Il Mulino, Bologna, 2021.

[2]Per l’elenco degli studi si veda l’articolo del Post Aumentare le pene non è il sistema migliore per diminuire i reati, del17 Novembre 2023.

[3]Carlo Nordio, Giuliano Pisapia, In attesa di giustizia. Dialogo sulle riforme possibili, Guerini e Associati, 2010.

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