Cittadinanza nell’antichità: essere cittadini romani

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La tribù: elemento distintivo del cittadino romano prima della cittadinanza

Se pensiamo all’estensione che Roma raggiunse nei secoli e alla miriade di popoli che confluì nella sua orbita, chiedersi chi potesse definirsi un cittadino romano sembra assolutamente lecito. Per affrontare questo tema di storia giuridico-amministrativa il punto di partenza è da individuare in un elemento specifico: la tribù.

Le tribù altro non erano che una divisione della popolazione in gruppi, i quali in origine corrispondevano alle gentes (famiglie) di appartenenza. La finalità di questi raggruppamenti era facilitare la pratica del censimento della popolazione e, di conseguenza, procedere al reclutamento dell’esercito. Ogni cittadino romano poteva definirsi tale solo se iscritto in una di esse. Questo costituiva l’unico requisito che permetteva di avere ed esercitare non solo i propri doveri ma anche i propri diritti. Non è un caso se la troviamo specificata nella formula onomastica di tante iscrizioni che ci sono giunte.

Rimanendo sempre nella Roma dei re, ricordiamo che questo primo assetto cambia con l’azione riformatrice del re Servio Tullio (VI secolo a.C.). La tradizione gli attribuisce l’istituzione di quattro nuove tribù su base territoriale, a seconda del luogo di residenza e dell’ubicazione dei propri possedimenti. Ed è questa la grande novità, poiché da quel momento le tribù corrispondono alla divisione dell’area urbana in quattro zone: Suburana, Esquilina, Collina e Palatina, non più alla famiglia.

Ora, alla luce di quando detto, rispondere alla domanda iniziale sembra abbastanza facile e intuitivo. Si potevano definire cittadini romani gli abitanti della città che risiedevano in una delle quattro zone sopra indicate, che costituivano delle circoscrizioni territoriali chiamate tribù.
Vediamo come quella delle tribù è un’istituzione già operante in età regia, ma si svilupperà ulteriormente nella fase repubblicana. Esse diventano infatti unità di voto all’interno di assemblee popolari con propri ambiti di competenza, funzionamento e composizione.

La diffusione del modello romano e delle sue istituzioni in Italia

Ma che succede quando Roma inizia a estendere il suo controllo su tutta la penisola italiana? Come trattare le popolazioni sottomesse, alla pari dei cittadini dell’Urbe o solo come alleati? La risposta non è la stessa per tutti, saranno infatti riservati trattamenti diversi alle varie comunità italiche, le prime a dover affrontare l’ascesa della città di Romolo.
Molti avranno il solo status di socii (alleati), altri riceveranno la cittadinanza a pieno titolo, altri ancora otterranno il cosiddetto diritto latino. Quest’ultimo garantiva diritti come il libero commercio con Roma o il matrimonio con cittadini romani riconosciuto dalla legge. Tutto dipendeva da come esse decidevano di porsi nei confronti della potenza romana.

Durante l’età repubblicana quindi il numero dei cives (cittadini) aumenta, prima di tutto perché in molti territori conquistati vengono mandati coloni romani. È il caso delle colonie dedotte per i veterani dell’esercito o per controllare le aree limitrofe a zone conquistate. In secondo luogo, perché, come precedentemente accennato, la cittadinanza viene concessa a varie comunità già esistenti. A seguito di questa espansione, si decide di aumentare il numero delle tribù nelle quali iscrivere i nuovi cittadini; si arriverà a un totale di trentacinque.

La guerra sociale: uno scontro per la cittadinanza

La situazione però si complica nell’ultimo secolo (I a.C.) della res publica quando ormai l’Italia è una costellazione di centri eterogenei dal punto di vista giuridico. Parte di essi gode di tutti i diritti, altri solo di alcuni, non avendo la cittadinanza a pieno titolo. A tutti questi si aggiungono i socii, gli alleati italici, che hanno giocato un ruolo fondamentale nell’espansione, combattendo a fianco dei legionari come truppe ausiliarie.

Sono proprio questi che danno avvio a un conflitto, noto come guerra sociale (90 a.C-89 a.C.), ribellandosi a Roma con l’intento di essere ammessi alla cittadinanza, in modo da non dover sostenere solo oneri ma da ottenere anche diritti. Nonostante la loro presenza fosse stata in molti casi determinante come nelle guerre contro le popolazioni celtiche dei Cimbri e dei Teutoni, non avevano voce in capitolo in nessuna decisione politica. Nel momento in cui si spartiva il bottino di guerra gli italici non ricevevano lo stesso trattamento dei legionari. Erano sottoposti a punizioni più dure; non potevano ricoprire posizioni di comando; non potevano partecipare alle distribuzioni di grano o di terre.

In seguito a questa situazione di rivolta, Roma è costretta ad accettare la richiesta presentata dagli insorti e così tutta l’Italia entra a far parte dell’ager romanus (territorio romano), esclusa la Cisalpina (Italia settentrionale), che lo diventerà più tardi, dopo la metà del I secolo a.C.
Dopo il 50 a.C. l’intera penisola italiana sarà equiparata a livello giuridico, un’unificazione amministrativa che si afferma definitivamente sotto l’impero di Augusto (31. a.C.-14 d.C.) con la divisione in undici regiones. Per le province il trattamento sarà diverso, la cittadinanza a pieno titolo verrà estesa a tutti gli abitanti dell’impero solo nel 212 d.C. con l’Editto di Caracalla, anche noto come Constitutio Antoniniana, ma questa è un’altra storia.

L’attualità dell’antico: cittadinanza ieri e oggi

La guerra appena descritta consente di far luce su un aspetto che spesso non viene considerato e che invece permetterebbe di portare avanti delle analisi più lucide anche su questioni del presente. Siamo soliti guardare la storia antica come a un mondo lontanissimo con dei valori che non rispecchiano in nessun modo i nostri. Certo, la distanza è innegabile, ma allo stesso tempo molte battaglie che oggi sono proprie della nostra società hanno una storia millenaria.

Basti pensare a quanto il tema della cittadinanza sia attuale e discusso in ambito politico-sociale: tanti sono gli stranieri che risiedono in Italia senza poter godere di diritti come il voto. Non hanno quindi la possibilità di esprimere la loro voce, nonostante il loro contributo sia fondamentale per le casse dello Stato.
Gli insorti italici altro non chiedevano che questo, volevano anche loro un riconoscimento che gli permettesse di essere rappresentati per far valere le proprie richieste.

D’altronde nei secoli continuerà a essere una questione che infiammerà gli animi di molti. Per i coloni americani, che nel XVIII secolo si ribellarono alla madre patria inglese, sarà il famoso “no taxation without representation” (“nessuna tassazione senza rappresentanza”) che poi li condurrà fino all’indipendenza. Siamo sicuramente in un contesto diverso, storicamente moderno, ma è curioso come si riaffaccino sulla scena richieste e rivendicazioni non nuove, addirittura secolari nella storia dell’uomo. Oggi siamo approdati al famoso Stato di diritto, ma quanto effettivamente garantisce pari opportunità a tutti?

Giulia Di Domenico per Questione Civile

Bibliografia

Taylor, L.R., The voting districts of the Roman Republic. The Thirty-five Urban and Rural Tribes. With updated material by Jerzy Linderski. Papers and monographs of the American Academy in Rome, 34. Ann Arbor: University of Michigan Press, 2013.

Di Domenico, G., Italia meridionalis tributim discripta. Le tribù “minoritarie” delle regiones II e III, tesi di Laurea Magistrale, Università degli studi dell’Aquila, L’Aquila, 2023.

Geraci, G., Marcone, A., Storia Romana. Editio maior, Le Monnier Università, 2017.

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