L’epilogo del sistema proporzionale: i referendum elettorali e il crollo della “Prima Repubblica” (1991-1993)
Negli eventi che, in Italia, all’inizio degli anni ‘90, hanno portato al collasso della cosiddetta “Prima Repubblica”, a giocare un ruolo di primaria importanza furono senza dubbio i referendum elettorali del 1991 e 1993. Questi, nati da un’idea dell’allora deputato democristiano Mario Segni, in breve tempo ottennero un successo senza precedenti. Successo, che farà da detonatore della crisi, comunque già in atto da tempo nel Bel Paese, e allo stesso tempo, darà il via alla tanto agognata “rivoluzione maggioritaria” e con essa alla cosiddetta “Seconda Repubblica”.
La crisi del consociativismo
Se è vero che la legge elettorale proporzionale costituì la colonna portante del sistema politico della cosiddetta “Prima Repubblica”, altresì vero che fu responsabile o quanto meno, corresponsabile dei suoi caratteri negativi. Tra questi l’invadenza dei partiti e soprattutto l’assenza dell’alternanza.
Bisogna tener presente che, per quasi un cinquantennio, dal 1948 al 1993, in Italia, le elezioni politiche si svolsero con metodo proporzionale. Modello che nei decenni repubblicani era riuscito a garantire la necessaria democraticità e stabilità al sistema politico italiano, traghettandolo, però, verso un lento ma progressivo processo di cristallizzazione. Questo, perché è vero che il proporzionalismo garantisce una rappresentanza politica a tutti i diversi gruppi sociali che compongono il paese. Ma è pur vero che, eliminando ogni forma di alternanza tra maggioranza e opposizione, favorisce, di fatto, un predominio dei partiti sul Parlamento.
Pertanto, nel caso in cui un sistema politico presenti un’ampia rappresentatività a livello partitico, l’assenza dell’alternanza, può portare ad una situazione di ingovernabilità e di conseguenza ad un depotenziamento della progettualità governativa. Condizione che, nel contesto politico italiano della “Prima Repubblica”, si delineò in maniera sempre più evidente tra la fine degli anni Settanta e l’inizio degli anni Ottanta. Laddove, una volta falliti i tentativi di formare un “Governo di solidarietà nazionale” tra PCI e DC, si darà vita al c.d. “Pentapartito”, una coalizione molto ampia ed eterogenea in cui a dominare sarà un contesto di totale instabilità politica.
A riprova, saranno, nel corso di tutto il decennio Ottanta, i continui strappi interni alla maggioranza. Questi, malgrado la breve parentesi degli esecutivi Craxi, porteranno ad un susseguirsi di crisi ministeriali e con ciò ad un totale immobilismo delle forze governative. A dominare sarà soprattutto l’autoreferenzialità delle compagini di governo, le quali, non saranno più in grado di rispondere alle istanze di rinnovamento provenienti dalla società.
Verso i referendum elettorali: il primo governo Craxi e il fallimento della “Commissione Bozzi”
Tale stato di cose, influenzerà profondamente il rapporto tra partiti e “società civile” che, sempre meno ideologizzata, iniziava a guardare alla politica come un qualcosa di estraneo.
Ad ogni buon conto, come accennato in precedenza, nel corso del primo Governo Craxi (1983-1986), le compagini parlamentari cercarono di dar vita ad un dialogo costruttivo e insieme ad esso porre le basi per una vera e propria rivoluzione del sistema politico e istituzionale. In tal senso, dopo un’importante consultazione, nascerà, sul finire del 1983, la “Commissione Bozzi”. Una commissione parlamentare, formata dai rappresentanti di tutti i gruppi partitici, il cui compito fu quello di formulare proposte di riforma costituzionali e legislative. Sebbene, le intenzioni furono delle migliori, nella natura dei fatti, la “Commissione Bozzi”, non portò a nulla di concreto. La totale indisponibilità e autoreferenzialità delle compagini parlamentari a lavorare in maniera concorde, portò ad un ridimensionamento del ruolo della Commissione e, di fatto, al fallimento del processo riformista avviato con l’avvento del primo governo Craxi.
Gli anni successivi, confermeranno quanto detto finora, laddove a dominare sarà un continuo susseguirsi di avvicendamenti alla guida dei governi, i quali, provocheranno una reale stagnazione del processo riformista. Condizione che non solo influenzerà l’azione di governo, ma faciliterà l’ormai definitivo allontanamento della politica dalla “società civile”.
Sarà in tale contesto che, iniziò a farsi strada l’idea che per dar vita una concreta rivoluzione sia politica che istituzionale, bisognava metter mano al sistema elettorale. Ponendo, di fatto, fine all’ormai obsoleto modello consociativo e creando, con ciò, le basi per un sistema fondato sull’alternanza. Questa sarà la visione del deputato democristiano Mario Segni, il quale, insieme ad un folto gruppo di parlamentari di diversa estrazione partitica, si batterà per portare questo tema all’attenzione di tutti.
Dalla Politica al cittadino: i referendum elettorali e la fine della “Prima Repubblica”
Nonostante l’impegno profuso, il tema della riforma elettorale non riuscì mai ad ottenere una rilevanza all’interno del dibattito parlamentare. Trovando costantemente la strada sbarrata dalla strenua opposizione operata, nei confronti della riforma, dalle dirigenze democristiane e socialiste.
Motivo per cui, Segni e il gruppo da lui guidato, convinti che, solo attraverso l’introduzione di una nuova legge elettorale si sarebbe potuto donare nuova linfa al sistema politico, decideranno di spostare il teatro delle decisioni dalla politica al cittadino. Con ciò, sfrutteranno l’istituto giuridico del referendum e si prodigheranno per organizzare una prima raccolta firme.
Pertanto, il gruppo guidato dal democristiano Mario Segni, agevolato dal mutamento del contesto internazionale dovuto alla caduta del Muro di Berlino, nel novembre del 1989, deciderà di sfidare apertamente le dirigenze governative. Persuasi dal fatto, di poter trasformare il dissenso del cittadino nei confronti della classe politica dirigente in consenso nei confronti dei referendum elettorali.
Tant’è che nell’ aprile del 1990, daranno vita alla prima raccolta firme per i referendum elettorali, la quale, contro ogni pronostico otterrà un successo importante. Da qui in avanti, per i referendari di Segni, la strada si farà quasi tutta in discesa. Il 9 giugno del 1991, arrivò la prima vittoria, quella sull’introduzione della preferenza unica, probabilmente la più importante. Difatti, i referendari, attraverso il primo dei due referendum elettorali, oltre ad esser riusciti ad ottenere un considerevole coinvolgimento della “società civile”, giunsero nell’ impresa di metter, per la prima volta, mano alla legge elettorale. Ed infine, agevolata anche dal clima di diffidenza creatosi intorno alla classe politica dopo il caso di “Mani Pulite”, la vittoria del secondo referendum elettorale nel 18 aprile 1993. Questa, darà il via per l’introduzione di una nuova legge elettorale a prevalenza maggioritaria e di fatto alla cosiddetta “Seconda Repubblica”.
Gli effetti dei referendum elettorali sul sistema
Arrivati a questo punto, bisogna domandarsi, quanto realmente abbia inciso la vittoria dei referendum elettorali sul sistema. Insieme ad esso, se la legge Mattarella, riflesso diretto dell’esito referendario del 18 aprile 1993, abbia creato le condizioni per una maggiore “governabilità” e stabilità dei governi. Rendendo così più efficace l’attività legislativa del Parlamento.
Sicuramente, l’iniziativa referendaria rappresentò uno dei momenti più importanti dello sforzo di riforma istituzionale, in cui si riuscì a creare un’unità senza precedenti. Certamente, ebbe il merito di conferire la necessaria importanza politica a idee e tematiche che, diversamente sarebbero rimaste nel dibattito culturale o quantomeno sarebbero state oggetto di Bicamerali sterili e infruttuose. E infine la vittoria del 18 aprile 1993, darà il via alla tanto decantata “rivoluzione maggioritaria”. Concretizzatasi, nel mese di agosto, con l’introduzione di un sistema misto, a turno unico, maggioritario per il 75% dei seggi e proporzionale per il restante 25% e con soglia di sbarramento al 4%.
Le nuove regole elettorali determineranno un importante cambio di rotta. Per prima cosa, nei rapporti tra partiti ed elettori. Difatti, attraverso l’adozione del collegio uninominale, elemento centrale della riforma elettorale del 1993, i cittadini acquisteranno per la prima volta il vero diritto di scelta del governo e del suo leader. Per seconda cosa nei rapporti tra partiti, indirizzando il sistema verso una sorta di bipolarismo. In sostanza, si passerà da un modello di competizione basato sulla formazione di coalizioni post-elettorali senza alternanza ad uno basato su coalizioni preelettorali con alternanza. Presupposto che portò ad un sistema incentrato su un polo di centro ad uno che funzionava su due poli.
Detto questo, comprendiamo quanto sia stata fondamentale la stagione referendaria, rappresentando, in quel frangente, l’unica occasione in cui si cercò di porre realmente le basi per un profondo rinnovamento del sistema.
Leonardo Gastaldi per Questione Civile
Bibliografia
Segni M., La rivoluzione interrotta. Diario di quattro anni che hanno cambiato l’Italia, Milano, Rizzoli, 1994.
Sabatucci G., Le riforme elettorali in Italia (1848-1994), Milano, Unicopoli, 1995.
Colarizi S., Storia politica della Repubblica 1943-2006, Roma-Bari, Laterza, 2007.
Carusi P., i partiti politici italiani dall’Unità ad oggi, Roma, Studium, 2014.
Armaroli P., l’introvabile governabilità: le strategie istituzionali dei partiti dalla Costituente alla Commissione Bozzi, Padova, Cedam, 1986.
Fonte immagine di copertina: “La Repubblica”