Gisèle Pelicot: in tribunale la vergogna cambia lato

Gisèle Pelicot

Gli stupri di Mazan: Gisèle Pelicot sceglie il processo a porte aperte

In Francia è in corso, a porte aperte, il processo per gli stupri ai danni di Gisèle Pelicot. Tra gli imputati il marito Dominique e altri cinquanta uomini, accusati di averla stuprata, aggredita e violentata tra il 2011 e il 2020.

“Termometro sulla parità di genere”
– N. 1
Questo è il primo numero della Rubrica di Area dal titolo “Termometro sulla parità di genere”, appartenente all’Area di Attualità

Le origini del caso: Dominique e Gisèle Pelicot

Siamo a Mazan, un paesino di seimila abitanti in provincia di Avignone, nel sud della Francia. Nel settembre 2020 il signor Dominique Pelicot viene sorpreso in un centro commerciale mentre cerca di filmare di nascosto sotto le gonne di tre donne. All’epoca è un pensionato di neanche settant’anni. Quando la moglie Gisèle, coetanea, viene informata dalla polizia, si mostra cautamente comprensiva verso l’uomo con cui è sposata da quasi cinquant’anni. Pensa che, se il marito deciderà di intraprendere un percorso di terapia, potranno restare insieme e salvare il matrimonio, ma quando una delle donne del centro commerciale sceglie di sporgere denuncia, l’iter procedurale si attiva e monsieur Pelicot finisce sotto indagine.

Indagando, la polizia scopre che sul PC del signor Pelicot ci sono migliaia di video personali. C’è anche una cartella con il titolo Abusi. All’interno la polizia trova circa ventimila foto e video di Gisèle stuprata e aggredita da molti uomini e da Dominique. In totale contano ottantatré uomini diversi nelle immagini; qualcuno lo ha fatto una volta sola, altri lo hanno fatto anche sei volte. Ad oggi, solo cinquanta di loro sono stati identificati e arrestati. Hanno un’età compresa tra i ventisei e i settantaquattro anni e tra loro sono stati riconosciuti dirigenti, facchini, commessi, un giornalista, un infermiere, una guardia carceraria e un ex vigile del fuoco. Alcuni single, altri sposati, altri ancora divorziati.

Gli abusi sono andati avanti per quasi dieci anni, tra il 2011 e il 2020. Nel computer di Dominique sono state trovate anche foto di Caroline Darian, una delle figlie, addormentata sul letto con indosso della biancheria intima non sua.

Le regole di monsieur Pelicot

Quando un uomo si presentava alla porta di casa di Dominique Pelicot, dopo aver preso appuntamento sul sito Coco.fr, doveva seguire alcune regole: doveva parcheggiare lontano dall’abitazione e arrivare a piedi; doveva avere un odore neutro (niente fumo o dopobarba, per non lasciare tracce dietro di sé); una volta in casa, doveva scaldarsi le mani su un termosifone e spogliarsi completamente in cucina. Solo al termine di questo rituale, l’uomo poteva entrare nella camera da letto di casa Pelicot.

Distesa sul materasso, c’era Gisèle. Nuda, drogata, in posizione fetale. Dominique era meticolosissimo. Se Gisèle si muoveva mentre era in corso uno stupro, ordinava all’aggressore di lasciare la stanza. Teneva un registro dettagliato, salvando video e foto di ogni uomo in cartelle classificate con il suo nome – se noto – o nickname. «In parte per piacere», ha spiegato in tribunale Dominique, «ma anche per la mia sicurezza». Riguardo la sicurezza della moglie, invece, era stato sorprendentemente disinvolto.

Alcuni uomini sono accusati, oltre che di aver stuprato Gisèle, anche di averla soffocata mentre il marito guardava, altri di averla colpita con degli oggetti. Dominique non ha chiesto a nessuno di loro di usare il preservativo. Un uomo sieropositivo ha violentato Gisèle in sei diverse occasioni, dicendo a Dominique che non avrebbe potuto mantenere l’erezione con il preservativo addosso. Nel corso del processo, un medico ha testimoniato che la donna era così pesantemente sedata da risultare più vicina al coma che al sonno. Prima degli abusi, infatti, Dominique drogava la moglie somministrandole in segreto dosi massicce di Temesta (farmaco conosciuto come Tavor in Italia). Nel buio del coma, e ridotta allo stato di preda, Gisèle non si accorgeva di quello che le facevano.

Gisèle Pelicot o la storia infinita

L’effetto del Lorazepam con cui Dominique drogava Gisèle era così forte che, al risveglio, la donna aveva dei vuoti di memoria. Ripresi i sensi, non ricordava nulla e si spaventava. «Ho qualcosa che non va al cervello, ho paura di avere l’Alzheimer» diceva al marito. Quando Gisèle aveva cominciato a lamentare strani sintomi fisici – oltre ai blackout, cita notevole perdita di peso, caduta dei capelli e difficoltà a muovere le braccia – Dominique l’aveva portata dal medico, ma non aveva mai smesso di drogarla e abusare di lei. Quando gli aveva detto di avere problemi ginecologici inspiegabili, lui l’aveva accusata di tradirlo. Per un caso fortunato, Gisèle è risultata negativa a HIV ed epatite, ma ha comunque contratto quattro malattie veneree a causa degli stupri subiti. «In cinquant’anni», ha affermato riferendosi al marito, «non ho immaginato neanche per un secondo che potesse essere uno stupratore».

Nel libro Et j’ai cessé de t’appeler papa (JC Lattes, 2022), Caroline Darian, figlia dei Pelicot, ha descritto la disuguaglianza che c’era nella coppia: «Mia madre aveva un lavoro stabile da dirigente. Questo le ha permesso di avere un alloggio aziendale in un quartiere esclusivo della periferia parigina».

Il padre, invece, elettricista col rimpianto di aver abbandonato gli studi, si era spesso imbarcato in imprese economiche fallimentari e gravose per le finanze familiari. Tuttavia, Dominique non riceveva denaro dagli stupratori che reclutava tramite la chat room À son insu – ovvero, A sua insaputa. Anche Caroline Darian scrive che agiva per puro piacere. Di Gisèle, infatti, Dominique ha detto: «Era il contrario di mia madre, era un’indomabile ribelle». Così, l’ha stuprata e fatta stuprare da oltre ottanta sconosciuti per dieci anni. L’ha fatto per piacere e per compensare lo stato di inettitudine e impotenza a cui si sentiva relegato dalla propria realtà.

Il processo a porte aperte: Gisèle Pelicot rinuncia all’anonimato

Il 19 giugno 2023 il giudice istruttore del tribunale di Avignone ha richiesto il rinvio a giudizio di Dominique Pelicot e altri cinquanta uomini. Uno degli imputati non era presente all’apertura del processo perché latitante; altri due sono morti prima del suo inizio, il 2 settembre 2024. In tribunale Dominique Pelicot ha ammesso la propria colpevolezza: «Sono uno stupratore, come tutti quelli che sono in quest’aula» ha detto. Degli altri imputati, solo quattordici hanno confessato. La maggior parte ha continuato a dichiararsi innocente, sostenendo di aver creduto di partecipare a un gioco erotico tra marito e moglie. Eppure, su Coco.fr, Dominique prendeva specificamente appuntamento con questi uomini invitandoli ad abusare di sua moglie addormentata e drogata. Quello di Gisèle Pelicot è un caso senza precedenti ma anche tristemente familiare. Se ne siamo a conoscenza è grazie a lei, che ha scelto di rinunciare al proprio diritto alla privacy.

Di norma la giurisprudenza tutela le vittime di violenza garantendo loro l’anonimato: così, i dettagli del processo e i nomi delle persone coinvolte restano riservati, mentre udienze e dibattimenti si svolgono a porte chiuse. In questo caso, è stata Gisèle Pelicot a scegliere di rendere pubblica la vicenda. Voleva – ha spiegato il suo avvocato, che la vergogna cambiasse lato e che ad avere la reputazione rovinata fossero gli uomini accusati di averla stuprata e aggredita, non lei. La sua scelta di presentarsi al processo a volto scoperto e di consentire l’accesso ai giornalisti ha attirato una forte attenzione sugli imputati. Erano così tanti che prima di entrare in aula dovevano mettersi in fila, curvi e silenziosi come in coda per la cassa al supermercato. Sono stati loro a dover nascondere la faccia.

Il doppio standard in tribunale

Durante il processo, in aula, gli avvocati della difesa – più di quaranta – hanno fatto il possibile per contestare le affermazioni di Gisèle Pelicot. «C’è stupro e stupro» ha detto un difensore, insinuando, come molti imputati, che Gisèle e suo marito fossero scambisti dediti a elaborati giochi sessuali. «No, non ci sono diversi tipi di stupro» ha risposto lei. Inizialmente i giudici hanno respinto la richiesta dell’accusa di mostrare in tribunale i video degli abusi affermando che ciò avrebbe compromesso la dignità degli imputati. Eppure, hanno permesso agli avvocati difensori di mostrare ventisette immagini dei genitali di Gisèle, oltre che del suo volto con gli occhi apparentemente aperti. Sempre i legali della difesa hanno domandato alla donna, in aula, se fosse in realtà un’alcolizzata con una segreta inclinazione per l’esibizionismo.

È per questo motivo che Gisèle ha sottolineato di essere stata intenzionalmente umiliata ogni giorno dall’inizio del processo. Ha dichiarato di aver compreso le ragioni per cui la maggior parte delle vittime di stupro non sporge denuncia e si è detta totalmente distrutta. Non stupisce. Questo genere di violenza reiterata nei confronti delle vittime di abusi è lo standard dei tribunali di tutto il mondo. Tuttavia, le specificità del caso Pelicot hanno reso inutile ogni tentativo di mescolare le carte e confondere i fatti. Stavolta gli accusati di stupro erano troppi e ognuno di loro era stato ripreso da una videocamera. Alla fine, i filmati che documentano gli stupri sono stati mostrati in aula.

Chi sono gli imputati

Uno degli imputati, un ex vigile del fuoco e camionista di 72 anni, è stato descritto da amici e familiari come gentile, attento e disponibile. In aula ha dichiarato di avere un profondo rispetto per le donne, aggiungendo che persino la sua ex moglie avrebbe concordato. Ciononostante, è accusato di aver stuprato una donna priva di sensi.

Un altro imputato ha spiegato di aver capito che quello che stava facendo era sbagliato quando Gisèle si è mossa e Dominique ha fermato tutto: «Quando sono uscito in giardino ho pensato di denunciare» ha detto in tribunale, durante il processo. «Poi la vita ha ripreso il suo corso, il giorno dopo sono andato al lavoro molto presto, ed è finita lì».

Un terzo accusato, un infermiere, è stato descritto come estremamente empatico con i pazienti, che considerava la sua famiglia.

Un altro, un muratore, era un padre meraviglioso. I suoi amici hanno testimoniato che era una persona rispettosa e composta. Mai neppure una battuta oscena alle feste.

Un altro ancora è stato definito dalla sua compagna, con la quale ha un figlio, un uomo dal cuore d’oro.

Alcuni degli uomini hanno confessato di essere stati abusati da bambini.

Durante il processo, i profili psicologici degli accusati sono stati sapientemente umanizzati, eppure questi uomini sono stati filmati mentre partecipano allo stupro di una donna svenuta. Un corpo immobile. Dominique Pelicot ha dichiarato che tutti gli uomini sapevano che la moglie non aveva acconsentito ad essere narcotizzata. Per lui la Procura ha chiesto 20 anni di reclusione, dunque il massimo della pena. Per gli altri imputati, tra i 4 e i 13 anni.

“Je suis Gisèle Pelicot”

Anna Toumazoff, giornalista e attivista femminista, ha coniato l’espressione «la banalité di mâle»: un gioco di parole, perché «mal», «male», si pronuncia come «mâle», «maschio». L’ha coniata appositamente per gli uomini implicati nel caso Pelicot e per le loro vite apparentemente normali. Non sorprende che i giornali francesi abbiano parlato degli imputati come di Monsieur Tout-le-Monde. Si tratta di una vicenda che ha sconvolto la società civile occidentale e mobilitato la comunità femminista. Durante lo svolgimento del processo – che si concluderà il prossimo 20 dicembre – in Francia e in tutta Europa Gisèle Pelicot è diventata un simbolo di lotta identitaria. In suo nome, manifestazioni e sit-in si sono susseguiti in moltissime città francesi. Ogni giorno del processo una folla radunata davanti al tribunale di Avignone applaudiva Gisèle, per sostenerla e ringraziarla.

Adesso i media di tutto il mondo sono pieni delle foto di lei, con gli occhiali da sole e il suo caschetto di capelli rossi, che entra ed esce dalle aule di tribunale. Anche se nel frattempo ha divorziato, ha scelto di mantenere per tutta la durata del processo il cognome Pelicot del marito. L’obiettivo è di non lasciare spazio a dubbi: si tratta proprio di lui e di lei.

È un atto di rivendicazione.

Dove c’è stato stupro, la difesa ha parlato di gioco.

Dove c’era sottomissione chimica, ha insinuato compiacenza.

«Oggi il mondo conosce Gisèle Pelicot, sa chi è» ha detto la donna. «No, non cambierò il cognome, perché adesso è associato a una battaglia per la giustizia».

Francesca Chiti per Questione Civile.

Sitografia

www.lemonde.fr

www.lefigaro.fr

www.liberation.fr

www.politis.fr

www.internazionale.it

ovd.unimi.it

www.nytimes.com

www.bbc.com

www.washingtonpost.com

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