Vita privata, passioni, vizi, eccessi e lati oscuri di Nerone, una delle personalità più controverse della Roma imperiale.
Nerone è uno dei protagonisti più amati, ma anche odiati, della Storia romana. Personaggio complesso, per certi versi teatrale e per altri scandaloso, enigmatico e despota megalomane, Nerone fu l’ultimo imperatore della dinastia Giulio Claudia, noto ai posteri per le sue contraddizioni, gli eccessi e i miti che ancora oggi aleggiano intorno alla sua figura.
Nerone, figlio della Storia
Nerone Lucio Domizio nacque ad Anzio nel 37 d.C. da Agrippina Minore e Gneo Domizio Enobarbo. Imparentato con gli uomini e le donne più importanti e influenti della Storia antica, il futuro imperatore di Roma era a tutti gli effetti frutto del potere imperiale. La sua discendenza partiva da Augusto, suo trisnonno materno, passando a Tiberio, suo prozio e Claudio, suo patrigno. Germanico, era invece suo nonno materno e Caligola suo zio, fratello di Agrippina. Anche il lignaggio paterno è degno di nota: Gneo Domizio era infatti figlio di Antonia Maggiore, figlia di Marco Antonio e Ottavia, quindi pronipote di Augusto. In altre parole, Nerone era figlio della Storia.
Nonostante il notevole lignaggio, Nerone non sarebbe dovuto diventare imperatore. La sua corsa al principato fu dovuta a sua madre, Agrippina, donna vanagloriosa e spietata, la quale si preoccupò di insegnargli le strade degli intrighi e del potere, dei quali poi sarebbe rimasta vittima. Grazie all’aiuto di Pallante, uno dei liberti più influenti di Claudio, riuscì a sposare l’imperatore nel 49 d.C., nonostante fosse suo zio e la legge romana vietasse questo tipo di unione. Al fine di contrarre matrimonio con sua nipote, Claudio convinse il Senato ad emanare un decreto Senatorio per rimuovere facilmente questo ostacolo. Dopo il matrimonio, la nuova moglie lo indusse ad adottare suo figlio Nerone che, in questo modo, diventava il primo discendente erede al trono in linea di successione, scavallando Britannico, figlio naturale di Claudio nato dalle sue precedenti nozze con Messalina.
L’ascesa al potere
Subito dopo l’adozione di Claudio, Nerone venne investito di tutti gli onori che si addicevano ad un futuro imperatore: divenne Princeps iuventutis, carica onoraria che lo poneva a capo della gioventù aristocratica, fu insignito del consolato che gli permetteva di esercitare il potere preconsolare fuori dalle mura della città e per rendergli omaggio vennero elargiti donativi ai soldati. Nonostante l’eco dei suoi onori risuonasse in tutto l’Impero, la posizione di Nerone era tutt’altro che al sicuro. In molti, sia all’interno della corte che in Senato sostenevano la causa di Britannico il quale, al compimento del quattordicesimo anno di età, sarebbe stato certamente reintegrato nei suoi diritti da suo padre Claudio.
Era il 54 d.C. quando Claudio morì improvvisamente. È davvero difficile non considerare un coinvolgimento di Agrippina nella morte estemporanea di suo marito, tanto difficile che molti contemporanei riferirono ben presto l’intrigo, con tanto di dettagli, ordito dalla sua consorte. Mentre i figli di Claudio venivano trattenuti con la forza nel palazzo, Nerone veniva condotto agli alloggiamenti delle guardie dove venne acclamato imperatore, pare dopo aver promesso loro 15.000 sesterzi. Il testamento di Claudio non venne mai letto. Agrippina aveva ottenuto ciò per cui aveva sempre lottato: porre suo figlio sul trono più importante del mondo antico.
Un’educazione degna di un princeps
L’educazione di Nerone aveva seguito l’iter canonico destinato ai rampolli dell’aristocrazia romana. Prima del matrimonio di Agrippina con Claudio, l’ammaestramento di Nerone era stato affidato a Berillo e Aniceto, rispettivamente un uomo libero greco e un liberto. Si ha anche notizia di un certo Alessandro di Ege, un filosofo della scuola peripatetica, e di Cheremone, massimo esponente della scuola stoica. Tuttavia, fu Seneca il magister più famoso dell’imperatore. Nominato direttamente da Agrippina nel 49 d.C., il filosofo, dietro le raccomandazioni dell’imperatrice, avrebbe dovuto fornire un’istruzione completa a suo figlio, con delle limitazioni per quanto riguardava le lezioni di filosofia.
Ma, qual era il motivo dietro questa decisione? Svetonio si limita a dirci che Agrippina considerava la filosofia un insegnamento inadeguato; tuttavia, pare che questa scelta celasse una ragione più concreta: Nerone era un giovane intelligente, sveglio, appassionato delle arti, ma anche recalcitrante e ostinato. Se a ciò si fosse aggiunto l’amore per la filosofia c’era il rischio che potesse subordinare le esigenze imposte dal suo ruolo a questa nuova, ma soprattutto influente, inclinazione.
Il compito di Seneca fu, quindi, quello di iniziare il giovane all’arte della retorica e di fornirgli consigli utili sul comportamento confacente al successore di Augusto. Eppure, secondo quanto raccontato da Tacito, Seneca non fu un semplice magister e consigliere ma, insieme a Burro, prefetto del pretorio, si occupò di amministrare e gestire l’impero e i rapporti con il Senato, soprattutto nei primi anni di governo. Pare infatti che Nerone non nutrisse un vero e proprio interesse per la politica e, secondo Tacito, non sviluppò mai del tutto l’arte oratoria, a tal punto che tutti i discorsi pronunciati dall’imperatore, come quello tenutosi in occasione del funerale di Claudio, erano frutto dell’opportunismo retorico di cui Seneca era maestro.
Nerone l’artista
Che ogni imperatore romano avesse degli interessi culturali ce lo conferma Svetonio; ma, le inclinazioni di Nerone esulavano dalle passioni canoniche dell’aristocrazia. Egli, infatti, si definiva un artifex. Amava la poesia, il teatro, il canto, la musica, la pittura e la scultura, discipline non degne di un nobile romano e del tutto inusuali per il suo rango, oltre che per la sua età. Per diventare un cantante provetto, Nerone chiamò a corte i migliori precettori: Terpno e Menecrate, maestri di canto. L’imperatore lavorò duramente per perfezionare le sue doti canore, non risparmiandosi nessuna delle fatiche che toccavano ai professionisti come, ad esempio, placche di piombo sul torace per irrobustirsi e i lassativi per la purificazione dell’artista. Dopo la morte della madre, gli interessi del princeps, fino ad allora praticati nella sfera domestica e privata, sfociarono in quella pubblica. Nerone l’artista, poteva mostrarsi al mondo.
L’imperatore, amante della poesia, pubblicò i propri carmi e liriche nel libro Liber Dominicus, rese gli Iuvenalia delle manifestazioni pubbliche, istituì delle feste in stile greco chiamate Neronia, celebrate con cadenza quinquennale, e nel 64 d.C. esordì pubblicamente come attore a Napoli. L’imperatore era, inoltre, un fervente appassionato di corse dei cavalli, a tal punto da diventare un ottimo auriga. Per questi motivi, raddoppiò il numero delle gare nelle giornate di corsa, che si protraevano fino a tarda notte, e ridusse il numero di giri di pista. Anche in questo caso, l’imperatore di esibì personalmente nel circo di Nerone, nel Circo Massimo e anche durante il suo viaggio in Grecia.
Panem et circenses
Oltre a queste passioni, pare che il “Cesare spensierato” nutrisse anche altri piaceri edonistici, come attività sessuali dissolute e di grande versatilità e un gusto perverso per le risse di strada, di cui si rendeva protagonista sul ponte Milvio, luogo di ritrovo per le sue avventure notturne. Nonostante i suoi interessi peculiari, Nerone andava a genio a gran parte dei romani del suo tempo. Roma, infatti, non era più una Repubblica, ma una monarchia edonistica, fondata su feste e fasti, esibizioni e divertimento. Era dunque dovere del princeps esaudire i desideri delle grandi masse, offrendo divertimento al suo popolo, nutrendolo appunto di panem et circenses.
Per giunta, le feste e gli spettacoli ai quali assisteva anche l’imperatore erano una buona occasione per conoscere lo stato d’animo della plebe, per valutarne i gusti e per avvicinarla al loro princeps, che se ne ingraziava le simpatie e il favore. L’errore più grande di molti imperatori, infatti, era stato quello di non conoscere la plebs urbana, che non amava vedere quanto l’aristocrazia disprezzasse i suoi divertimenti. Nerone non aveva bisogno di fingere che le corse, il circo e gli spettacoli fossero di suo gradimento, né disprezzava i bassifondi di Roma, dove si aggirava con il favore delle tenebre sin da ragazzino. Tuttavia, uno dei suoi errori più grandi, che gli costò gran parte della sua cattiva fama, fu di attribuire maggiore importanza ai plausi in teatro, al divertimento e all’hedoné, che alla stima del Senato e ai doveri connessi al suo governo.
Il grande incendio di Roma del 64 d.C.
Ancora oggi, la figura di Nerone è inevitabilmente associata a un elemento: il fuoco. Per molto tempo, si è creduto che egli, l’imperatore incendiario, avesse dato fuoco alla sua città, guardandola bruciare mentre intonava uno dei suoi canti. Tuttavia, oggi molti studiosi tendono a confutare questa tesi per svariate ragioni. Innanzitutto, Roma era una città sovrappopolata e in pessime condizioni, con strade strette e vicoli tortuosi. Già all’epoca di Costantino, infatti, Roma contava poco più di 1500 domus e oltre 38.000 insulae, ovvero abitazioni altissime simili ai moderni condomini. Entrambe, le strade anguste e sporche e la continuità e densità delle insulae, erano condizioni ideali per i roghi, molto frequenti e già attestati sotto Augusto e Tiberio. Inoltre, a peggiorare la situazione, era il caldo afoso e umido della capitale.
Il fuoco scoppiò nel Circo Massimo, probabilmente a causa di una fiammella rimasta accesa e avviluppò violentemente, distruggendo tutto quello che aveva davanti, inghiottendo le case delle Vestali, il tempio di Vesta e quello di Giove Statore e tutta la zona a sud della via Sacra. Per cinque giorni e cinque notti l’inferno si abbatté su Roma e solo all’alba del sesto giorno i vigiles riuscirono a placare i roghi. Il bilancio era disastroso: oltre alle migliaia di vittime, dei quattordici distretti in cui era divisa la capitale solo quattro non erano stati inghiottiti dalle fiamme.
Nerone, la leggenda dell’imperatore incendiario
Al momento dello scoppio dell’incendio, Nerone si trovava ad Anzio, ma si precipitò verso la sua città dopo aver appreso la notizia. Tuttavia, una volta sopraggiunto, era ormai impossibile fermare l’avanzata delle fiamme che serpeggiavano in ogni vicolo. Nerone, però, tentò di aiutare la popolazione: aprì i giardini del suo palazzo per offrire rifugio, e fece arrivare da Ostia e da altre città limitrofe ogni genere alimentare per sfamare gli sfollati. Tutto ciò, però, non fu sufficiente ad evitargli l’etichetta di imperatore incendiario che gli sarebbe rimasta addosso per secoli. In un momento così tragico, Roma aveva bisogno di un colpevole. Le accuse ricaddero su Tigellino e Nerone. A favore di questa tesi, c’era il fatto che Nerone aveva più volte detto di voler ricostruire la città e che avesse in mente la realizzazione della Domus Aurea, costruita all’indomani dell’incendio.
Ad alimentare le dicerie fu Tacito circa mezzo secolo dopo. Lo storico non confermò l’autenticità delle malelingue, ma avanzò delle illazioni circa il coinvolgimento di Nerone. Anche Svetonio e Cassio Dione avrebbero avanzato ipotesi sempre più perentorie sull’accaduto, accusando Nerone di aver mandato dei sicari ad appiccare il fuoco mentre egli, cantando, guardava la sua città bruciare. Questi racconti sono chiaramente frutto di una visione distorta, amplificata e anche inventata della realtà. Nerone era senza dubbio un personaggio complesso, amato da tanti e odiato da molti, ma non esistono prove a favore di queste tesi né motivazioni valide per credere che fu il colpevole del grande incendio di Roma. Tuttavia, la necessità di estirpare le dicerie e di trovare a tutti costi un colpevole indussero Nerone a inventarne uno: un gruppo di cristiani, tra i quali si trovava l’apostolo Pietro, condannati a morte.
Con ogni probabilità, l’accusa che Nerone avesse causato l’incendio fu avanzata retrospettivamente da oppositori politici e successori.
Il lato oscuro Nerone, matricida e omicida
Capriccioso, megalomane e ambizioso, Nerone fu anche un temibile omicida e un matricida. Tra i delitti più efferati del suo governo spiccano quelli commissionati dall’imperatore in persona. Pare che, il primo a cadere nella sua trappola mortale fu, nel 55 d.C., Britannico, figlio di Claudio e legittimo erede al trono, nel corso di un banchetto. Non sappiamo con esattezza chi fosse il mandante dell’omicidio, ma sussistono più motivi per imputare l’imperatore. Britannico, infatti, avrebbe rappresentato uno scomodo impedimento al consolidamento del potere imperiale negli anni a venire; rischio che Nerone non volle correre.
Successivamente, nel 59 d.C., la cattiva sorte toccò ad Agrippina, sua madre. Sembra che i rapporti tra madre e figlio iniziarono ad incrinarsi subito dopo l’ascesa al potere di Nerone. Agrippina era una donna volitiva e astuta, ma anche una figura ingombrante nella vita del giovane imperatore. Non sopportava gli eccessi del figlio, le frivolezze, né i suoi passatempi libertini, ma a sancire l’allontanamento tra madre e figlio sarebbe stato l’amore di Nerone per Atte, una giovane liberta. Agrippina si opponeva a questa relazione, in quanto avrebbe potuto mettere in crisi il matrimonio del giovane imperatore con Ottavia, un’unione che aveva un’importanza politica rilevante. Nerone era stanco e oltraggiato dalle continue pressioni della madre, a tal punto ordinarne la morte.
Successivamente, nel 62 d.C. toccò a Ottavia, sua ex moglie. Dopo la morte della madre, Nerone accusò Ottavia di sterilità, ripudiandola, e sposando Poppea al posto suo. Fu proprio quest’ultima a incoraggiare Nerone a commissionare l’omicidio di Ottavia, la quale venne uccisa dai sicari impietosi dell’imperatore. Anche Poppea, però, non sarebbe risparmiata dalla follia omicida di Nerone che la uccise, sferrandole un calcio all’addome, durante un’accesa discussione coniugale.
La morte di Nerone, la fine di una dinastia
Dopo la morte della sua sposa, Poppea, e di Seneca, costretto al suicidio dopo la congiura pisoniana, Nerone era rimasto solo a governare l’impero. Tuttavia, come di consueto, continuava a dedicarsi ai suoi passatempi preferiti, partendo per la Grecia in occasione dei giochi istimici. La sua assenza da Roma provocò parecchi malcontenti e fu l’occasione per l’insorgenza di numerose rivolte. Giulio Vindice, governatore della Gallia Lugdunense organizzò una rivolta, chiedendo appoggi militari anche a Servio Sulpicio Galba, governatore della Spagna Tarragonese (o Terraconense). Dopo la sconfitta di Vindice e il suo suicidio, il futuro di Roma era ormai nelle mani di Galba, apertamente appoggiato dal Senato.
Nerone stava perdendo il controllo e, abbandonato a se stesso, non aveva nessun consigliere che potesse aiutarlo in quella situazione, neppure Ninfidio Sabino, prefetto del pretorio, che si pronunciò a favore di Galba. Il 9 giugno del 68 d.C. Nerone venne condannato a morte dal Senato. Quella stessa sera, il reparto di pretoriani al suo servizio, i servi e i gladiatori abbandonarono il suo palazzo. Nerone fuggì e trovò ospitalità presso il liberto Faonte, nei i suoi possedimenti di campagna, dove ormai senza speranza, decise di togliersi la vita. Qualis artifex pereo, avrebbe detto Nerone prima di pugnalarsi. Con lui, ebbe fine la dinastia Giulio-Claudia.
Conclusioni
Nerone fu dunque uno dei personaggi più emblematici della Storia antica. Subdolo e a tratti folle, certamente poliedrico, Nerone visse la sua vita come il protagonista di una pièce teatrale, non priva di colpi di scena, sotterfugi e inganni. Nonostante le sue contraddizioni e i miti legati alla sua figura, ancora oggi difficili da estirpare, Nerone visse in un’epoca di enormi cambiamenti e avrebbe cambiato per sempre la Storia occidentale.
Marta Barbiero per Questione Civile
Bibliografia
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