L’evoluzione dell’arte americana tra gli anni ’30 e ’40: dalla tradizione europea alla ricerca di una nuova identità artistica
Negli anni ’30 del Novecento, in America gli artisti iniziano a distaccarsi dai modelli europei, pur mantenendo una forte connessione con le avanguardie che dominavano il panorama culturale del Vecchio Continente. Sebbene l’arte americana stesse crescendo in originalità, continuava a confrontarsi con il surrealismo e l’astrattismo europeo.
Un’arte moderna e sperimentale: la nascita di un nuovo linguaggio in America
Verso la fine degli anni ’20, un gruppo di intellettuali e artisti americani avanzò l’idea di un “Rinascimento americano”: una proposta per definire una specifica identità per l’arte degli Stati Uniti. Questo movimento intendeva basarsi su soggetti e iconografie che richiamassero la storia e la cultura della nazione, in una ricerca di autenticità che rispecchiasse l’esperienza americana. Un esempio di questa ricerca si è avuto con il programma del New Deal, che mirava a identificare una forma di arte che fosse distintamente americana, ma anche capace di rispondere alle sfide sociali e politiche del tempo.
Il dibattito sull’identità dell’arte americana si concentrerà sulle tematiche emotive e sugli stili da adottare. Questo portò ad una crescente attenzione verso il realismo, con una generazione di pittori che si avvicinò a temi sociali, politici e culturali. La pittura doveva rispecchiare non solo una visione nazionalista, ma anche una modernità estetica che poteva parlare al popolo.
Con l’inizio degli anni ’30, si fece sempre più forte l’esigenza di un’arte che non si limitasse a un’impronta nazionalista, ma che cercasse invece una modernità che fosse anche una forma di sperimentazione estetica. In questo contesto, nacquero le iniziative come “Modern American Painters”: un movimento volto a promuovere la creazione di un gruppo di avanguardia.
L’arte americana e la rottura con il surrealismo
A partire dalla seconda metà degli anni ’30, il dibattito sull’arte americana si fece più intenso, con un’accentuata riflessione sulle implicazioni politiche e ideologiche che accompagnavano l’attività artistica. L’arte americana si stava evolvendo sotto l’influenza di fattori politici e istituzionali, ma questo non impediva agli artisti di sviluppare una nuova sensibilità. Secondo Guilbaut, questo processo di distacco dai canoni tradizionali si realizzava attraverso una demarxizzazione, che implicava una presa di coscienza del ruolo sociale dell’artista, delle sue responsabilità e inoltre implicava un giudizio negativo sul sistema americano.
Nel 1938, un manifesto Per un’arte rivoluzionaria indipendente, redatto da Trotsky, André Breton e Diego Rivera sosteneva l’idea di un’arte rivoluzionaria e indipendente, capace di preparare la rivoluzione ma allo stesso tempo di rivendicare l’autonomia dell’artista. In quel periodo, artisti come Edward Alden Jewell, Forbes Watson e Sam Kootz invitavano i giovani artisti ad affrontare la situazione sociale e politica del momento, senza limitarsi a riprodurre forme artistiche europee. La sfida era quella di trovare un nuovo linguaggio che non fosse ancorato al surrealismo europeo, ma che invece rispecchiasse una nuova realtà culturale. Kutz, in particolare, sollecitava i giovani a “fare qualcosa di nuovo”, suggerendo che le gallerie d’arte non offrivano più stimoli freschi e che fosse necessario dar vita a una nuova forma d’arte, originale e priva di legami con le avanguardie.
Nel 1943 si verifica un distacco definitivo dall’influenza surrealista, un processo che trova espressione nelle posizioni assunte dagli artisti Mark Rothko e Jack Gottlieb. In una lettera inviata a un critico del New York Times, il quale aveva espresso la sua difficoltà nel comprendere opere come Il rapimento di Persefone e Il toro siciliano, affermano che per capire la pittura ci si debba approcciare ad essa con una mente sgombra e priva di pregiudizi per riconoscere la relazione tra forme.
Il ritorno al primitivismo: l’influenza delle culture indigene
Nel corso degli anni ’40, si sviluppa un forte interesse per l’arte primitiva, che si riflette sia nella ricerca di Rothko e Gottlieb di connettersi alla pittura arcaica, sia nell’opera di Jackson Pollock. Questi artisti prediligevano il grande formato e cercavano di attribuire significati antropologici alle loro opere, ricollegandosi alla tradizione primitiva e al “primitivismo”. A partire da quel periodo, si rafforza una corrispondenza tra l’arte dei nativi americani e il mito greco tragico. Tra il 1940/41, il Museum of Modern Art (MoMA) di New York ospita una serie di mostre dedicate all’arte delle popolazioni native americane, proponendo un legame tra le espressioni artistiche di queste culture e quelle “primitive”. Si passa così da un atteggiamento di curiosità a uno di comprensione più profonda dell’arte primitiva, influenzata da una visione più rispettosa e integrata delle cultura.
Pollock e il fascino per l’Arte Primitiva: dalla Sabbiatura alla Trance
Anche Pollock, negli anni ’40, dimostra un notevole interesse per l’arte primitiva. Tuttavia, il suo approccio si manifesta su due piani distinti: inizialmente si avvicina a iconografie ispirate a simboli o miti primitivi. Nel 1941, per esempio, Pollock sperimenta la tecnica della pittura con la sabbia, utilizzata dagli stregoni in stato di trance. La sabbia colorata veniva versata su superfici piatte, spesso a terra. Pollock stesso afferma che i suoi riferimenti a quest’arte non fossero “viventi”, ma piuttosto il frutto di ricordi lontani, evocando un collegamento con le pratiche ancestrali. Inoltre, il dripping – la tecnica che diventerà il marchio di fabbrica di Pollock – gli sembrava simile al metodo usato dagli sciamani per lavorare sulla sabbia. La familiarità con le culture native americane derivava anche dai suoi viaggi, che gli permetteva di entrare in contatto diretto con le varie culture e tradizioni.
La libertà del Gesto: La tecnica del Dripping
Successivamente, Pollock manifesta la volontà di distaccarsi tanto dai modelli primitivi quanto da quelli moderni, pur mantenendo tracce di influenze da entrambe le tradizioni. Per Pollock, dipingere diventa un modo per entrare in contatto con le energie trascendenti e per stabilire un legame tra il sé e l’irrazionale. Le relazioni iconografiche con l’arte dei nativi americani vengono assorbite attraverso un’attenzione particolare al gesto stesso del dipingere. L’arte di Pollock trova la sua essenza nell’esuberanza del gesto e del segno, e questa esuberanza rappresenta una via per superare il concetto tradizionale di “soggetto”. La sua opera diventa un esempio di come le pulsioni legate ai temi del mito, insieme alle precedenti influenze surrealiste e astratte, possono portare la pittura a trattare il tema del soggetto in un modo completamente nuovo.
Superare il soggetto: l’Arte del Gesto
Nel 1947, Pollock perfeziona la tecnica del dripping, un approccio che si evolve a partire da forme più definite, che successivamente vengono “cancellate” dalla sovrapposizione di colori, creando intensità e fluidità diverse. L’atto del dipingere diventa così un’azione in sé, dove il soggetto coincide con il gesto. Nel 1945, Pollock si trasferisce a Long Island per trovare un ambiente più naturale tranquillo e isolato, dove inizia a produrre opere caratterizzate da un forte impatto cromatico e da una ricerca di figure dalle caratteristiche più naturalistiche. Questo periodo segna un distacco dalla ricerca di una forma interiore o emotiva, e una riflessione più distesa sul rapporto con la natura e lo si vede nelle opere Tea cup o The Key. Nella serie Sounds in the grass perde qualsiasi referente esteriore.
Pollock, che aveva sperimentato queste tecniche su carta anni prima, diventa uno dei protagonisti di un cambiamento radicale nel linguaggio pittorico. Alcuni dei suoi dipinti saranno anche documentati dall’amico e fotografo tedesco Hans Namuth nel 1950.
Pollock oscilla continuamente tra la tecnica del dripping e altre modalità espressive, come il cut-out (il taglio di sagome nella tela per poi riposizionarle altrove). L’idea della composizione su grande formato gli viene suggerita da Peggy Guggenheim, che lo incoraggia a lavorare su murales. Questo gli permette di creare senza limiti, in un orizzonte pittorico senza un centro definito, un momento che può essere visto come un passaggio verso la realizzazione delle grandi tele che lo renderanno celebre. Con i murales, Pollock trova finalmente la libertà di esprimersi senza confini.
Elisa Diana Baldi per Questione Civile
Bibliografia
F.Tedeschi, La scuola di New York. Origini, vicende, protagonisti, Vita e Pensiero, 2009
F.O’Hara, Jackson Pollock, a cura di Luciano Malaguti, Francesco Rognoni, Abscondita,2020