L’Impero romano e i popoli germanici: i protagonisti del Tardoantico
Quando parliamo di Tardoantico facciamo riferimento a un arco temporale che va indicativamente dalla fine del III al VI secolo d.C. È una definizione che nasce nel secolo scorso per descrivere un periodo di transizione tra l’antichità e l’era moderna, che di fatti inizia con il Medioevo. È bene, però, sottolineare che le periodizzazioni in storia sono sempre convenzionali, utili allo studio ma da non considerare rigidamente.
Già dal III secolo d.C., infatti, si delinea una situazione di instabilità politica, che si riversa anche sull’assetto economico e sociale. Ne è una chiara testimonianza la successione continua di imperatori nominati dai propri soldati, tanto che per questa fase si parla di anarchia militare. I vari generali, che ottengono dalle truppe il comando imperiale, non riescono a mantenere a lungo il loro potere, perché ben presto vengono scalzati via da un altro.
Per non divagare ulteriormente, la domanda che deve guidare questa riflessione è una: chi è il soggetto di questa decadenza? È l’Impero romano nella sua globalità, prima ancora che l’istituzione imperiale crolli in occidente. Era ormai diventato difficile gestire un territorio così grande, considerando le varie spinte centrifughe che lo attraversavano. Pensiamo in primis alla diffusione di una nuova religione. Il cristianesimo non può essere certo considerato come la causa scatenante di questa caduta. È, però, innegabile come abbia scosso gli equilibri dall’interno, creando delle fratture importanti.
Ma qui non si vogliono ripercorrere le tappe della caduta, lo sguardo è piuttosto rivolto ai confini di questo mondo, dove varie popolazioni si erano coagulate per poi oltrepassarli. Rappresentano infatti un altro elemento rilevante in questo quadro di crisi, per la pressione esercitata sui territori più esposti. È proprio lì che affondano le radici dell’Europa moderna.
Verso i confini dell’impero: i cosiddetti barbari
Per essere quanto più oggettivi possibili nel raccontare la storia, bisogna guardare gli eventi da più punti di vista.
La tardo antichità, infatti, non è solo il momento finale dell’impero. Essa segna anzi l’inizio di un nuovo assetto territoriale e sociale, ricco di svariati apporti culturali. La storiografia oggi tende, fortunatamente, a non considerare più questa fase solo come un’epoca buia e distruttiva. Ciò che noi siamo oggi lo dobbiamo proprio a quanto accaduto in questi secoli.
A scuola tutti studiamo le famose invasioni barbariche, come dimenticare Attila e gli unni che arrivano e devastano tutto. Ma chi sono questi barbari e perché chiamiamo tutte queste popolazioni così? Con questo termine i greci indicavano coloro che non parlavano la loro lingua ed erano sentiti culturalmente e socialmente inferiori. Una definizione che ha assunto fin da subito una connotazione dispregiativa nei confronti dell’altro e che, attraverso i romani, si è mantenuta fino ai giorni nostri.
Nella società contemporanea però non può essere ignorato il significato che si dà alle parole, per questo oggi sarebbe più corretto parlare semplicemente di popoli che penetrano nell’impero. Spesso con invasioni, ma non dimentichiamo che già dal III secolo d.C. molti di essi sono ben inseriti non solo nell’esercito ma anche nei ranghi più elevati, come ufficiali. Stilicone († 408 d.C.) ne è un perfetto esempio: un generale vandalo che ricoprì il ruolo di capo della fanteria e della cavalleria alla corte imperiale di Onorio a Ravenna.
I popoli germanici, gli attori principali del Tardoantico: storia dei loro rapporti con l’Impero
La presenza più importante sui confini tra il mar Nero e l’Europa centrosettentrionale era costituita dai Goti. Popolazioni germaniche, che nonostante i caratteri in comune, presentavano delle divisioni interne. Le fonti ci parlano di due grandi gruppi: Ostrogoti e Visigoti.
I rapporti con l’impero si intensificano durante il IV secolo d.C., quando cercano di entrare aldilà dei confini perché spinti dalla pressione di un altro popolo dalle steppe asiatiche, gli Unni. Un passo indietro è fondamentale per capire meglio. La pratica di assegnare dei territori come coloni a quelli che i romani definivano “barbari” è già testimoniata ai tempi di Marco Aurelio (imperatore dal 161-180 d.C.).
Dalla fine del II secolo sempre più gli imperatori romani fanno ricorso all’aiuto di contingenti germanici, ma è nel IV secolo che i Visigoti diventano a tutti gli effetti uno stato cliente dei romani, con il trattato di pace di Costantino nel 332 d.C.
Un punto di svolta cruciale, poiché comportò il primo insediamento di nuclei consistenti di queste popolazioni e del loro impiego in modo sistematico nell’esercito. Inoltre, in questo periodo i Visigoti si convertirono al cristianesimo, anche se nella dottrina ariana. Un cambiamento socioculturale di grande portata, che mostra come i rapporti nei secoli non siano stati solo conflittuali.
Al trattato segue un periodo di stabilità che viene messo in crisi solo quando i famosi Unni, di cui prima parlavamo, cominciano a spingere i Goti sempre più verso ovest. I Visigoti chiedono allora all’imperatore Valente di essere accolti in Tracia, per stabilirsi lì, offrendo in cambio aiuto militare.
Se in un primo momento l’accordo sembra raggiunto, le cose precipitano quando i Romani non forniscono il vettovagliamento necessario. Il passo successivo è quindi lo scontro. Nel 378 d.C. ad Adrianopoli (in Turchia) l’esercito imperiale viene sconfitto e lo stesso Valente trova la morte.
Una pace che dura poco
Di fronte a questa grave sconfitta, nel 382 d.C. viene siglato un trattato con il quale i Goti ricevono territori in Mesia e Tracia, diventando foederati (alleati). Una posizione di privilegio all’interno dei territori dell’Impero.
I rapporti però non rimangono a lungo amichevoli; alla morte dell’imperatore Teodosio nel 395 d.C. non viene stipulato un nuovo trattato con Alarico, il capo dei Visigoti. Quest’ultimi delusi, nonostante l’aiuto militare fornito a Teodosio contro un usurpatore, danno inizio a una rivolta. Diretti nell’area balcanica meridionale, occupano territori della Grecia, arrivando a distruggere il famoso tempio di Demetra a Eleusi. Arcadio, imperatore d’oriente, (mentre suo fratello Onorio reggeva l’occidente) cerca di ristabilire la pace conferendo ad Alarico il comando delle truppe romane nell’Illirico. Gli viene quindi concesso lo status di generale romano e territori in cui stanziarsi tra la Dacia e la Macedonia.
Il problema principale ora è costituito dal sentimento anti-gotico che inizia a diffondersi in Oriente, soprattutto a Costantinopoli. Infatti, vari funzionari imperiali, come il potente eunuco Eutropio di origine gota, che reggeva l’impero per conto di Arcadio, vengono assassinati. Così avviene anche per un generale poco dopo, quando nel 400 d.C., scoppia una reazione “anti-barbarica”, che porta a un massacro di intere famiglie residenti in città. Il fatto che ad Alarico e ai goti fosse stato concesso tanto non era sicuramente visto di buon occhio alla corte bizantina. O, meglio, non tutti accettavano questa commistione culturale ormai ben più che avviata.
A questo punto i goti vengono espulsi dall’esercito imperiale e Alarico decide di guidare la sua gente verso l’Italia. Non è chiaro se fu istigato dallo stesso Arcadio, proprio per far sì che la pressione in oriente si allentasse, lanciando la palla infuocata a suo fratello Onorio.
La svolta del 406 d.C.: l’arrivo di altri popoli germanici
Nel 402 d.C. la corte imperiale a Milano viene messa sotto assedio, al punto che Onorio decide di trasferirla a Ravenna. La città, ben fortificata e più facile da proteggere perché circondata da lagune, permetteva un’eventuale fuga sul mare.
Il generale vandalo Stilicone, capo delle milizie di Onorio, riesce a battere Alarico ma non in modo definitivo. I problemi inoltre crescono sempre più, dal momento che gli Ostrogoti, altro grande gruppo di popoli germanici, oltrepassato il Danubio, scendono in Italia e Stilicone è costretto ad affrontarli. Nel 406 d.C. vengono sconfitti a Fiesole, ma questo non basta perché sulla scena si profila una minaccia ben più grossa. Un’altra coalizione di popoli attraversa i confini sguarniti dell’impero e penetra in vari territori oltre il Reno, dalla Gallia alla penisola iberica. Svevi, Burgundi, Vandali, Alani.
Il 406 d.C. segna la nascita dei primi nuclei dei cosiddetti regni romano-barbarici, dove l’incontro di culture diverse ha dato vita alla nuova divisione dell’Europa.
Quelle che per secoli erano state province romane vengono progressivamente abbandonate, perché ormai indifendibili. La Britannia prima tra tutte, troppo lontana dall’Italia e dalla sede imperiale; diventa oggetto di occupazione da parte degli Angli e dei Sassoni. La componente germanica comincia quindi a essere quella preponderante a discapito di quella celtica. Quest’ultima resterà preservata soprattutto in Scozia e in alcune zone dell’Inghilterra come la Cornovaglia. Ovviamente l’arrivo di un nuovo popolo non significa automaticamente la scomparsa dell’altro e della sua cultura, salvo in casi particolari e di totale distruzione. Gli elementi di entrambi si fondono creando qualcosa di nuovo.
I nuovi assetti territoriali e la seconda ondata di invasioni tra la fine del Tardoantico e l’inizio di un nuovo mondo
Relativamente ai popoli prima elencati, essi diventano foederati (alleati) ottenendo la possibilità di stanziarsi nei territori occupati. I Burgundi nella media valle del Reno (da qui il toponimo Borgogna), i Vandali nella provincia iberica della Betica, gli Svevi nella Galizia e gli Alani nella Spagna Cartaginense e Lusitania (odierno Portogallo). Successivamente i Visigoti si stabiliscono nella Gallia sud-occidentale con città principale Tolosa.
Quanto appena descritto è solo il punto di partenza, poiché seguiranno ulteriori movimenti di popoli, soprattutto dopo la caduta dell’impero in occidente. A partire dalla fine del V secolo d.C. arrivano i Franchi, che a loro volta scacciano i Visigoti. Questi trasferiscono il loro regno aldilà dei Pirenei, costringendo i Vandali a lasciare la penisola Iberica per sportarsi nella provincia romana d’Africa. Verso la metà del VI secolo d.C. gran parte della Gallia era sotto il dominio franco e nel frattempo si affermano i regni anglo-sassoni in Britannia.
Anche l’Italia non ne è esente; prima il regno ostrogoto (493-535 d.C.) e poi l’arrivo dei longobardi nel 568 d.C. A più ondate i germani si stanziano nei territori romanizzati da secoli (pensiamo alla Gallia) prendendo da questo mondo ma restituendo anche molto altro.
Le lingue che oggi definiamo romanze ne sono la piena testimonianza, l’elemento latino e quello germanico si fondono, generando qualcosa di nuovo. Si pongono così le basi di quelli che saranno gli stati moderni, segnando la fine della tarda antichità.
Riflessioni sulle parole della storia
Il diverso, che chiamiamo ancora barbaro sui libri di scuola, è in realtà parte della nostra identità come popolo italiano, francese, europeo. Per questo riflettere sui nomi che diamo alle cose e alle persone può farci conoscere qualcosa di più di noi, come singoli ma anche come membri di una società. Compito della storia deve essere quello di individuare le diversità, non per accentuare un sentimento di odio o fastidio, bensì per valorizzarle. Tutto quello che noi costruiamo come genere umano viene dall’incontro con l’altro.
Giulia Di Domenico per Questione Civile
Bibliografia
Geraci, G., Marcone, A., Storia romana. Editio maior, Le Monnier Università, 2017.
Cresci Marrone, G, Rohr Vio, F., Calvelli, L., Roma Antica, il Mulino, 2014.
Cardini, F., Montesano, M., Storia medievale. Seconda edizione,Le Monnier Università, 2019