Il convegno all’Hotel Parco dei Principi e la nascita della strategia della tensione in Italia
Nel 1965 ha luogo un convegno cruciale per la genesi della strategia della tensione in Italia presso l’Hotel Parco dei Principi a Roma. L’evento non è che l’inizio di quello che si configura come una delle più tragiche e terribili fasi storiche del nostro Paese. Esso rappresenta il momento di formulazione di una strategia che ha una specifica finalità: il contenimento del comunismo.
Le premesse del convegno: la Guerra Fredda
Lo storico Mirco Dondi mette al centro del significato storico del convegno la sua rilevanza come «peso» sull’agenda politica italiana, una chiave di lettura che comporta la necessità di dover analizzare l’origine e le motivazioni politiche che stanno alla base dell’evento. Estrapolandolo dal suo contesto e cornice, infatti, sarebbe impossibile comprenderlo e ci lascerebbe solamente confusi, persi o in preda a teorie incredibili: l’origine va individuata nel contesto della guerra fredda e dal mondo diviso fra il blocco occidentale e quello comunista. Mantenere unite e controllate le rispettive aree di influenza è uno dei cardini delle politiche sia degli Stati Uniti che dell’Unione Sovietica. L’Italia in questo schema si ritrova nel mezzo e la sua posizione strategica e le particolari condizioni politiche la pongono sotto stretta sorveglianza. Dondi afferma che la politica nostrana è profondamente condizionata, una situazione però accettata dalla classe dirigente in quanto ritenuta «funzionale» al mantenimento del potere.
L’anticomunismo
L’anticomunismo è il movente principale delle decisioni politiche del nostro Paese dopo il 1945 e sta alla base del convegno al Parco dei Principi. Esso diventa una vera e propria fede che crea una visione dei fatti esagerata e distorta che si esprime nella fobia del «colpo di mano comunista», una paura esaltata da parte di alcuni giornalisti, come Pino Romualdi, che parlano di comunisti infiltrati nell’esercito e di ipotetiche armate rosse nascoste. Pericolo che, però, viene individuato principalmente nell’apertura dei democristiani verso i socialisti, visti come un vero e proprio cavallo di troia del comunismo. Sulla base di questa fede anticomunista molti ex fascisti vengono reclutati prima dall’OSS[1] e poi molti negli stessi apparati di sicurezza italiani. Una linea politica ben accolta dalla Democrazia Cristiana sia per arginare l’avanzata del Partito Comunista che per togliere terreno ad una possibile invasione sovietica.
Per garantire questa fedeltà atlantica, però, non ci si accontenta di inserire anticomunisti nelle istituzioni legali ma si creano organizzazioni sotterranee e segrete. Un atteggiamento, quello dell’anticomunismo, che persiste a lungo entro le istruzioni e negli apparati di sicurezza dell’Italia. Queste posizioni si evincono dalle parole pronunciate dal senatore Giulio Andreotti sulla convinzione che molti uomini delle istituzioni si sentissero come in una «guerra santa». In questa visione della realtà la società è vista come malata e da curare tramite una giusta violenza per ripulirla dai vermi comunisti. In questo quadro apocalittico e organicistico nasce e viene formulata la strategia della tensione.
L’estrema destra in questa configurazione gioca un ruolo centrale, alimentando paranoie e creando sindromi da «quinta colonna». L’ansia di vedere comunisti ovunque alimenta ossessioni di accerchiamento che contagiano anche gli apparati dello Stato.
Guerra psicologica e guerra convenzionale
Il convegno all’Hotel Parco dei Principi non si può pienamente comprendere se non si analizzano i concetti di guerra psicologica e di guerra non ortodossa. Questi sono due «strumenti di azione» usati per combattere il comunismo in maniera nascosta e fuori dalle logiche convenzionali. Il conflitto aperto, date le circostanze e il rischio di guerra atomica, non può essere infatti combattuto. La guerra psicologica va intesa come «forma di persuasione che strumentalizza paura e pericolo», mentre la guerra non ortodossa come la «pianificazione di strutture paramilitari non note al nemico» e di «esecuzione di azioni coperte» all’oscuro dai Parlamenti alleati.
Per rendere effettivi questi strumenti nasce lo Psycologial Strategical Board, un organismo militare americano per gestire le operazioni di guerra psicologica all’estero. Le attenzioni di questo apparato si concentrano principalmente su Francia e Italia, i Paesi dove i partiti comunisti sono più forti. Gli accordi con i rispettivi governi e gli USA prevedono operazioni che devono rimanere segrete ai rispettivi Parlamenti. Per rispettare queste decisioni i vertici del SIFAR[2] devono in primo luogo essere graditi dall’amministrazione USA. Si viene quindi a creare un «doppio comando»: uno nazionale connesso al proprio governo e uno internazionale legato alla NATO.
Queste strutture coperte trovano nel piano europeo Stay Behind la loro realizzazione compiuta nelle varie declinazioni locali, fra le quali Gladio è la versione italiana, una guerra combattuta principalmente sul campo dei media e delle comunicazioni di massa, giocando sulla crescita di tensione e ansia a seconda del momento opportuno. Un conflitto che il presidente Dwight Eisenhower definisce per la mente e la volontà degli uomini una strategia quindi non solo politica, ma anche militare.
Il convegno
Il momento nel quale le strategie esposte precedentemente trovano riflessione teorica e unione di intenti in Italia è in un convegno dell’Istituto Pollio. Questo avviene a Roma presso l’Hotel Parco dei Principi. L’Istituto Pollio è fondato dal gen. Giuseppe Aloia, capo dello Stato maggiore della Difesa, promotore e finanziatore del convegno all’Hotel Parco dei Principi. Il curatore dell’incontro è Eggardo Beltrametti, collaboratore de «La rivista militare» e de «Il Borghese». I partecipanti sono ufficiali delle forze armate, magistrati, esponenti politici, dirigenti di azienda, alcuni studenti universitari e militanti della destra radicale. Fra quest’ultimi i più degni di nota sono Stefano Delle Chiaie (capo di Avanguardia Nazionale) e Pino Rauti (leader di Ordine Nuovo).
Per i partecipanti le guerre in Vietnam, Cuba e Algeria dimostrano che la terza guerra mondiale è già in atto ed è contro i comunisti. I partiti comunisti occidentali vengono visti, quindi, come la quinta colonna dell’URSS. In questo quadro si legge un attacco totale comunista che non avviene alla luce del giorno ma prettamente in maniera celata. La relazione del convegno verte sulla volontà e necessità di creare un fronte comune anticomunista per arginare l’offensiva. Carlo Digilio evidenzia, a posteriori, la crucialità di questo evento per «unire civili e le forze armate in funzione anticomunista».
Nel convegno ci sono anche intellettuali come Pio Filippani Ronconi, studioso di religioni orientali ed ex SS, che suggerisce un piano di intervento «inquietante». Esso prevede tre livelli: il primo è un livello di copertura e appoggio ai controrivoluzionari più attivi; il secondo è composto da una «forza di pressione» sul nemico e l’opinione pubblica; il terzo è rappresentato da piccole unità anonime destinate ad azioni eclatanti e pronte a scatenare il colpo di stato. Tutti i livelli devono essere coordinati da un consiglio che pianifica la strategia della guerra totale.
I giornalisti al Convegno
La presenza di numerosi giornalisti al convegno è l’aspetto più interessante che aiuta a comprendere la natura spuria e mediatica della strategia della tensione. Giorgio Pisanò, giornalista ex milite della X MAS e uno dei fondatori del MSI, afferma la necessità di sostituire la classe dirigente. Questo deve avvenire per mettere al potere persone capaci di usare la controguerriglia contro la guerriglia comunista.
Fra i giornalisti quello che spicca per le posizioni più interessanti e profetiche è Guido Giannettini. Egli esplicita la necessità di tenere le masse «sotto una costante pressione» ad intermittenza in «periodi opportunamente studiati». Per rendere effettivo questo bisogna usare atti terroristici imputando le responsabilità alla sinistra radicale con campagne stampa martellanti, atti che devono essere compiuti con infiltrati di destra che si fingono anarchici. La stampa per Giannettini deve creare dei «feticci da abbattere» da dare in «pasto alle masse», una violenza sistematica ad intermittenza il cui scopo è generare paura ed ansia per ricordare agli italiani il pericolo. Attentati che vedono come obiettivo sensibile i trasporti pubblici per via della loro potenziale facilità ad essere colpiti; in ultimo, attacchi selettivi per eliminare «individui ben determinati» per ostacolare il nemico e i moderati che vogliono impedire l’estremizzazione della lotta.
L’obiettivo strategico, a detta dello storico Paolo Corsini, è smascherare il PCI davanti alle masse e creare basi di appoggio sulle parti immuni all’intossicazione ateo-marxista. Alla luce della storia successiva, gli attentati avvenuti fra il 1969 e il 1974, le indicazioni di Giannettini si configurano come operative, pensate e coerenti. Corsini in merito aggiunge una riflessione interessante, ovvero il cambio di prospettiva nei rapporti fra Stato e neofascisti che avviene con questo evento. Per lo storico si passa, infatti, da relazioni basate su una logica di scambio ad uno che vede l’emergere nello Stato progetti antidemocratici autonomi.
Le finalità ultime del convegno
All’interno del convegno emergono chiare direttrici politiche che attraverso alcuni degli interventi riportati restituiscono un quadro profetico ed inquietante. Quello che emerge è una frangia golpista che prevede l’agire, a detta dello storico Angelo Ventrone, in due mosse simultanee. Si prevede, infatti, di cogliere di sorpresa il vertice politico per impadronirsene e imbrigliare la popolazione con la repressione. Tuttavia, la scena politica italiana è complessa e un colpo di stato «alla greca» difficilmente può funzionare: il PCI e la CGIL sono ben radicati nella società e manca nell’esercito una personalità abbastanza carismatica. Il tutto vede dietro a queste operazioni ed idee discusse al convegno un supporto e una corresponsabilità dei servizi USA e la NATO, un aspetto che sta emergendo negli ultimi filoni processuali sulla strage di piazza della Loggia. Questi vanno, però, inquadrati in una prospettiva che vede questi soggetti più come elementi di sostegno che come registi diretti.
Il convegno risulta quindi, a parere degli storici, come il momento di formulazione lucida della strategia della tensione in Italia. Un evento che segna nel profondo sia il nostro passato che il nostro presente.
Flavio Ferri per Questione Civile
Bibliografia
Francesco Apostoli, Igor Gabusi Monica Mazzi, Introduzione, in Ivan Giugno (a cura di), Noi sfileremo in silenzio i lavoratori a difesa della democrazia dopo la strage di piazza della Loggia, Ediesse, Roma, 2007.
Valter Bielli, Presentazione del convegno, in Bianca Bardini (a cura di), Storia sicurezza e libertà costituzionali, Centro Stampa del Comune di Brescia, Brescia, 2008.
Roberto Chiarini, Paolo Corsini, Da Salò a Piazza della Loggia. Blocco d’ordine, neofascismo, radicalismo di destra a Brescia (1945-1974), Franco Angeli, Milano, 1983.
Guido Crainz, Il paese mancato. Dal miracolo economico agli anni ottanta, Donzelli Editore, Roma, 2005.
Mirco Dondi, L’eco del boato. Storia della strategia della tensione 1965-1974, Editori Laterza, Roma-Bari, 2015.
Giuseppe de Lutiis, Storia dei servizi segreti: guerra fredda, stragismo e depistaggi, in Bianca Bardini (a cura di), Storia sicurezza e libertà costituzionali, Centro Stampa del Comune di Brescia, Brescia, 2008.
Guido Panvini, Ordine nero guerriglia rossa. La violenza politica nell’Italia degli anni Sessanta e Settanta (1966-1975), Giulio Einaudi Editore, Torino, 2009.
Angelo Ventrone, La strategia della paura. Eversione e stragismo nell’Italia del novecento, Arnoldo Mondadori editore, Milano, 2019.
[1] Office of Strategic Services, servizio segreto USA precursore della CIA attivo fra il 1942 e il 1945.
[2] Servizio Informazioni Forze Armate, servizio segreto militare italiano attivo fra il 1949 e il 1966.