Il 25 febbraio si è tenuta in Lussemburgo la prima udienza riguardo il protocollo Italia-Albania: in aula la discussione sulla designazione dei “paesi terzi sicuri“
Martedì 25 febbraio si è tenuta l’udienza interlocutoria sulla legittimità delle procedure adottate per i centri in Albania. Il nodo centrale del dibattito sono i paesi terzi sicuri, in particolare se è giusto che uno Stato membro possa designarli autonomamente. Ma si è discusso anche del rispetto della normativa europea sul diritto d’asilo.
Dalla posizione dell’avvocata della Commissione Europea, in linea con le tesi italiane, emerge un cambiamento della linea adottata finora dall’Unione. Sono attese le conclusioni dell’avvocato generale il 10 aprile e la sentenza definitiva entro giugno, che stabilirà la legittimità delle pratiche adottate dal protocollo Italia-Albania.
Paesi sicuri: si riunisce la Corte di giustizia europea
La Corte si è riunita in Lussemburgo per una seduta in grande sezione. Questa prevede un’udienza di fronte a quindici giudici su richiesta di una delle parti o per cause particolarmente importanti. In questo caso la procedura è stata avviata dal Tribunale di Roma, che ha richiesto un rinvio pregiudiziale. Quest’ultimo è un procedimento per garantire “un’applicazione effettiva ed omogenea della normativa UE”. Sulla base dei ricorsi di due cittadini del Bangladesh, parte del primo gruppo mandato nei centri di Gjader e Shengjin, i giudici hanno chiesto il parere della Corte.
Data l’urgenza della questione presa in esame, riguardante migrazioni e diritto d’asilo, è stato avviato il procedimento accelerato. Tuttavia, il caso deve passare attraverso due fasi, una scritta e una orale. Durante la prima, la Corte analizza la richiesta, decide se è di sua competenza e pubblica in Gazzetta Ufficiale i temi e le parti in causa.
La seconda può prevedere, su richiesta, un’udienza di discussione pubblica, come in questo caso. Essa avviene dinanzi al collegio giudicante e all’avvocato generale, che ascoltano gli avvocati delle parti e possono interrogarle.
Dopo qualche settimana l’avvocato generale deve infine presentare le proprie “conclusioni”. Per questo procedimento l’avvocato Richard de la Tour le esporrà in un’ulteriore udienza pubblica il 10 aprile. Il suo compito è quello di proporre la soluzione al problema in esame, avendo analizzato in piena autonomia e indipendenza tutte le fonti giuridiche. Le conclusioni non sono vincolanti, ma di frequente indirizzano la sentenza finale, che è prevista entro giugno.
I quesiti
La richiesta del Tribunale di Roma è analizzare la conformità delle procedure italiane al diritto comunitario in merito a quattro quesiti. Il primo riguarda la facoltà del legislatore nazionale di:
“designare direttamente, con atto legislativo primario, uno Stato terzo come Paese di origine sicuro”[1].
Si solleva poi il problema dell’accessibilità e della verificabilità delle fonti su cui si basa la sua decisione. Questo può inficiare il diritto di ricorso del richiedente asilo e la possibilità del giudice di valutare le condizioni e l’attendibilità della designazione. Con il terzo quesito si chiede infatti se il giudice possa avere accesso alle fonti dirette sui paesi designati in caso di procedura di frontiera accelerata.
Infine, si pone la domanda fondamentale: il diritto dell’unione impedisce che un paese terzo sia definito sicuro qualora vi siano categorie di persone per cui esso non soddisfa le condizioni descritte dalla normativa?
Il rinvio pregiudiziale ha quindi lo scopo di chiarire in primo luogo le competenze dello stato nella designazione dei paesi sicuri. Sono però oggetto di dibattito anche altri temi, ad esempio il ruolo dei giudici nella procedura di frontiera accelerata e la garanzia del diritto d’asilo per gli immigrati richiedenti. Tutti gli argomenti sono stati oggetto di confronto tra le parti: i legali che difendono i due richiedenti asilo, l’avvocatura dello stato italiano e quella della Commissione europea.
Quando un paese può definirsi sicuro: diverse interpretazioni
La direttiva di riferimento sui paesi sicuri è la 2013/32/UE, che istituisce un elenco comune di paesi di origine – o paesi terzi – sicuri. È particolarmente importante l’allegato 1 della stessa, l’oggetto principale del dibattito in aula, in quanto stabilisce “i criteri comuni” per la designazione dei suddetti paesi:
“Un paese è considerato paese di origine sicuro se, sulla base dello status giuridico, dell’applicazione della legge all’interno di un sistema democratico e della situazione politica generale, si può dimostrare che non ci sono generalmente e costantemente persecuzioni […] né tortura o altre forme di pena o trattamento disumano o degradante, né pericolo a causa di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale”.[2]
Il passaggio oggetto di diverse interpretazioni è la frase “generalmente e costantemente”. Una precedente sentenza[3] aveva infatti specificato che le condizioni devono essere rispettate per tutto il territorio nazionale. Ma rimane da chiarire se esse devono essere valide anche per tutte le categorie di persone del paese.
Si torna dunque al quarto quesito del Tribunale: un paese d’origine può essere definito sicuro anche se non lo è per alcune categorie di persone? Secondo la difesa solo l’interpretazione che vede i criteri validi su tutto il territorio e per tutte le categorie può garantire equità di trattamento tra i richiedenti asilo.
L’avvocato Dario Belluccio, che difende uno dei due ricorrenti, ha sottolineato la disparità nell’applicazione della norma, evidenziando che l’Italia considera sicuri 19 paesi, la Germania solamente 9. Belluccio ha criticato l’arbitrarietà delle decisioni dei paesi, che rende difficile la garanzia dei diritti dei migranti.
La legittimazione della designazione dei paesi sicuri
Di diverso parere è invece Lorenzo D’Ascia, che difende lo Stato italiano assieme ai legali Ilia Massarelli ed Emanuele Feola. Secondo la sua interpretazione della norma il concetto di sicurezza non va interpretato in senso assoluto, ma secondo il criterio della prevalenza. Questo significa che dall’espressione “egualmente e costantemente” si deduce che le condizioni di sicurezza debbano valere per la maggioranza della popolazione, non per tutti gli individui. Per D’Ascia infatti il concetto di paese sicuro in senso assoluto, sebbene auspicabile, è di fatto irrealistico.
Tuttavia la posizione che potrebbe dare una svolta al caso è quella dell’avvocata della Commissione europea, Flavia Tomat. La Commissione fino a questo momento si era dimostrata cauta nei confronti del protocollo che l’Italia ha stipulato con Tirana. L’avvocata ha invece mostrato un’apertura alla linea del governo italiano. Ha infatti sottolineato che la direttiva 2013/32 lascia un margine di valutazione agli stati membri, a patto che rispettino le condizioni dell’allegato 1. Sull’applicazione dei criteri stabiliti a tutte le persone, Tomat non esclude che la norma possa prevedere eccezioni per alcune categorie, purché queste siano chiaramente identificate.
Questo vuol dire che è possibile che un paese venga considerato sicuro nonostante non lo sia per tutti. Giornalisti, minoranze religiose, LGBTQ+ e altri gruppi possono infatti essere perseguitati sistematicamente anche in paesi generalmente sicuri, argomenta Tomat. La Commissione sarebbe quindi disposta ad accettare che gli stati membri possano designare paesi d’origine sicuri con eccezioni tra categorie di persone, a patto che queste vengano tutelate adeguatamente.
Le altre questioni: la legittimità della procedura accelerata
Il secondo tema di discussione è stato la garanzia del diritto d’asilo. Provenire da un paese sicuro è infatti una delle condizioni per essere sottoposto alla procedura accelerata di frontiera. Tuttavia l’articolo 46 della Direttiva sui paesi sicuri impone ai giudici nazionali di garantire un ricorso effettivo attraverso un esame completo e aggiornato.
Con la procedura accelerata per l’analisi della domanda, il tempo previsto per esporre un ricorso è di sette giorni. Secondo la difesa dei due richiedenti è un tempo troppo breve, che provoca un effetto pregiudiziale della procedura accelerata nei confronti delle richieste d’asilo.
L’avvocatura dello Stato italiano sostiene invece che la procedura accelerata non sia una deroga alle garanzie di protezione internazionale. Rappresenta piuttosto una forma di gestione più semplice per le domande che non necessitano di un’istruttoria complessa, garantendo ugualmente il diritto al ricorso effettivo.
La sentenza della Corte di giustizia dovrà dunque esprimersi in primo luogo sulle condizioni per attuare la procedura accelerata, stabilendo una volta per tutte se gli stati membri possano decretare i paesi terzi come sicuri. In secondo luogo dovrà giudicare la legittimità della procedura accelerata nell’ottica della tutela dei diritti dei richiedenti.
Arianna Gurreri per Questione Civile
Sitografia
www.agi.it
www.ansa.it
www.editorialedomani.it
www.curia.europa.eu
www.gazzettaufficiale.it
www.eur-lex.europa.eu
www.eurojustitalia.eu
[1]Testo del rinvio pregiuduziale del Tribunale di Roma, atto N° 45091/2024 R.G. Disponibile su www.eurojusitalia.eu.
[2]Testo della proposta di modifica della direttiva 2013/32 del 9/9/2015, con relativo elenco di paesi sicuri aggiornato. Disponibile su www.europa.eu.
[3]Sentenza del 4/10/2024 relativa alla causa C-406/22.