Quel che resta come insegnamento della filmografia di David Lynch
David Lynch, il grande regista statunitense scomparso il 16 gennaio 2025 a causa di un arresto cardiaco, è stato uno dei cineasti più influenti degli ultimi anni e della storia del cinema. La serie Twin Peaks e i lungometraggi The Elephant Man, Mulholland Drive e Blue Velvet sono solo alcuni dei titoli più noti e importanti della sua filmografia, non sempre di successo al botteghino, ma capace di creare un importante seguito di ammiratori. Oltre che cineasta era anche pittore, che fu la sua prima e principale espressione artistica prima di approdare al cinema. Infatti, diverse sue opere sono ancora oggi esposte presso il Museum of Modern Art di New York.
Gli inizi e gli studi di David Lynch
Nato a Missoula, in Montana, il 20 gennaio 1946, a causa del lavoro del padre per il Dipartimento dell’Agricoltura trascorre l’infanzia tra la costa ovest e la costa est degli Stati Uniti. Dopo alcuni corsi alla Corcoran School of Art di Washington, si iscrive alla School of the Museum of Fine Arts di Boston per un anno, per poi partire per l’Europa per studiare il pittore espressionista Oskar Kokoschka, che però non incontrò. Questo lo fece rientrare negli USA dopo solo due settimane.
Iscritto alla Pennsylvania Academy of Fine Arts di Filadelfia, inizia qui le prime esperienze con la macchina da presa girando il suo primo cortometraggio, nato dal suo desiderio di animare i suoi dipinti, dal titolo Six Men Getting Sick (1966), che, proiettato in loop su una scultura composta da sei teste, creava l’effetto di animare le membra umane scolpite.
La pittura è stata quindi fondamentale nell’approccio al visivo che terrà anche nella sua carriera cinematografica ed è il suo punto di partenza per approdare al cinema. Tra i suoi vari riferimenti artistici, uno fondamentale in questo periodo è Francis Bacon. I due stili, quello pittorico di Bacon e quello cinematografico di Lynch, sono intrinsecamente “cugini”.
Nel 1970 si trasferisce a Los Angeles e si iscrive all’American Film Institute Conservatory. Da loro ottiene una sovvenzione di 10.000 dollari per girare un lungometraggio che non completò mai, sostituendolo con un nuovo script che, dopo sei anni di produzione e riprese travagliate con scarse risorse finanziarie, portarono al suo primo lungo: Eraserhead (1977): divenne un enorme successo e avviò la carriera di Lynch, ricevendo il plauso da molti critici e registi come Kubrick.
La sintesi tra cinema e pittura contemporanea in David Lynch
Tutta la filmografia di Lynch, a cominciare da Eraserhead e proseguendo con The Elephant Man, Blue Velvet, Twin Peaks. Lost Highway, Mulholland Drive e Inland Empire, è debitrice di Bacon, uno tra i pittori più amati da Lynch. La scomposizione del corpo, la sua deformazione, l’incubo e soprattutto la trasformazione del reale in incubo, è profondamente affine alla poetica pittorica di Bacon.
Lo Studio su Innocenzo X o i Tre studi su Henrietta Moraes potrebbero benissimo essere una componente scenografica di uno spazio lynchiano o dei suoi personaggi. Il difforme, lo strano, il corpo che non è più così regolare e rassicurante, è altrettanto un elemento della poetica di Lynch, come ad esempio in The Elephant Man, che dietro l’apparente regolarità e linearità della trama, è uno dei lavori più rappresentativi di questa poetica della difformità, dove Merrick, dall’apparente fisico da mostro, si rivela più umano degli umani.


Dietro ciò che è umano c’è una componente di nevrosi, di dolore, di oscurità, di difformità e di materialità che spesso è scomposta. Non da meno, però, è la mente che a volte è una mente buona e semplice che si cela dietro un corpo difforme, oppure nonostante le apparenze di normalità, è completamente contorta, abbandonata al puro caso e quasi impossibile da decifrare.

Lynch ha portato molte istanze e orizzonti della ricerca pittorica a lui recente nella cinematografia, forse ben consapevole che il cinema altro non fosse che un’ulteriore estensione di questa forma d’arte.
Inoltre, non sempre ciò che si vede si vede con gli occhi. Spesso molte immagini sono frutto del sogno, dell’interiorità e del sostrato inconscio della mente che si manifesta anche in maniere sconclusionate o inquietanti.

L’insegnamento di David Lynch e la sua eredità cinematografica
Nell’epoca della riproducibilità tecnica dell’opera d’arte in cui, per Benjamin, l’opera d’arte perde la sua aura, Lynch dimostra che l’opera d’arte che è per natura più riproducibile, il cinema, contrariamente a quello che si può credere può avere una sua aura molto ben definita e donare al film unicità.
Unicità che non è solo l’originalità del montato finale come scelto dal regista, ma è qualcosa di oltre, qualcosa di profondamente indefinibile, se non semplicisticamente nell’aggettivo lynchiano, ma che non rende giustizia e non fa capire, da solo, il mosaico di sensazioni derivante dalla visione delle sue opere.
Lynch, quindi, cogliendo col cinema la natura profonda, totalmente caotica e oscura, della mente e dell’inconscio, non ha alcun interesse nel dare un senso, quanto dare sensazioni.
In un periodo dove il cinema è spesso accusato di essere schiavo delle logiche di mercato, Lynch restituisce l’aura di magico e sovrannaturale che deve essere proprio della manifestazione artistica, e che proprio il cinema, nonostante l’illusoria “scientificità” del suo realismo fotografico, può essere capace di dare in nuove forme.
Il cinema di Lynch è materiale come la pittura, materico per meglio dire: scompone il reale, lo sviscera e sviluppa nuovi orizzonti del percepire, esattamente come la pittura da quando ha perso il suo fine storico di descrivere il reale, quando comparve la fotografia. Rimarrà un riferimento unico per inseguire coraggiosamente nuove possibili forme di film e serie tv, per rispondere ancora, grazie all’arte, a profonde domande dell’animo umano.
Marco De Santis per Questione Civile
Bibliografia
Dottorini D., David Lynch. Il cinema del sentire, Le Mani, Recco-Genova, 2004.
Hughes D., The Complete Lynch, Virgin Virgin, 2002.
Lynch D., Rodley C., Io vedo me stesso. La mia arte, il cinema, la vita, Il Saggiatore,
2016.
Sitografia
www.treccani.it
www.francis-bacon.com