Combattere il sessismo nel mondo dell’arte: la rivoluzione femminista delle Guerrilla Girls
“Le donne devono essere nude per entrare nei musei?” L’immagine che si può vedere in copertina rappresenta l’opera più iconica, nonché il motto, delle Guerrilla Girls. Stiamo parlando di un collettivo femminista dedito a combattere il sessismo e il razzismo nel mondo dell’arte e della cultura popolare.
“Crediamo in un femminismo intersezionale che lotta per i diritti umani di tutte le persone. Miniamo l’idea di una narrazione mainstream rivelando il sottobosco, il sottotesto, ciò che è trascurato e ciò che è decisamente ingiusto”.
Attraverso poster, libri, striscioni stradali e mostre, le “cattive ragazze dell’arte” mostrano tutta la loro rabbia nei confronti della quasi totale assenza di donne nelle gallerie e nei musei. Assenza colmata esclusivamente dalla presenza del corpo nudo femminile come soggetto prediletto da sempre nella storia dell’arte. Lo slogan si basa infatti su percentuali evidenti: l’85% di nudi presenti nei musei di arte contemporanea è femminile, ma meno del 5% degli artisti che espongono è donna.
Oggi possiamo ammirare le opere delle Guerrilla Girls nei più importanti musei di arte contemporanea al mondo, come Il Centre Pompidou di Parigi o la Biennale di Venezia.
L’atto di nascita delle Guerrilla Girls

Il collettivo nasce a New York nella primavera del 1985. Sette donne lanciarono il primo blitz a seguito dell’indignazione causata dalla mostra“An international Survey of Recent Paiting and Sculpture” aperta un anno prima al MoMa. Scopo del’esposizione era quello di presentare i più importanti scultori e pittori del periodo su un’area di diciassette paesi. Su centosessantacinque nomi di artisti nell’elenco, solo tredici erano di donne. Gli artisti presentati erano oltretutto quasi esclusivamente bianchi, americani o europei.
La protesta che ne seguì vide la città tappezzata di volantini che denunciavano l’azione del Moma. La popolarità fu così grande e inaspettata che permise loro di iniziare a raccogliere fondi per le loro azioni.
I primi movimenti del collettivo consistettero nella diffusione di slogan, volantini e poster nei bagni dei musei e nelle strade delle grandi metropoli. Progressivamente hanno diversificato i mezzi per diffondere il loro messaggio di rivendicazione, attraverso libri, video, conferenze ed esposizioni. L’inclusione della lotta al razzismo, oltre quella al sessismo, nel loro progetto artistico-politico ha ampliato l’attenzione che tutto il mondo ha rivolto sul gruppo. Nel corso degli anni la popolarità del collettivo arriva oltre New York, consentendo loro di affrontare la battaglia femminista e anti-razzista a livello nazionale ed internazionale.
Man mano che la loro reputazione è cresciuta hanno abbracciato obiettivi al di fuori della sfera artistica, come Hollywood, i politici di destra e il matrimonio tra persone dello stesso sesso.
Humor e satira nell’arte delle Guerrilla Girls

Oggi il collettivo è composto di circa cinquanta donne che nasconodno la loro identità dietro una maschera da gorilla per evidenziare il messaggio che vogliono trasmettere. L’aria minaciosa delle faccie da gorilla che coprono il vero volto delle artiste è un riflesso della rabbia che muove ogni loro azione. Celare la propria identità è anche un modo per distogliere l’attenzione di chi ascolta dall’aspetto fisico. La scelta del gorilla deriva dall’assonanza con la parola spagnola “guerrilla”.
La decisione di rimanere anonime è strettamente legata alla storia delle donne nell’arte. Negli anni ’80 infatti molti corsi di storia dell’arte non includevano una sola artista donna.
La teatralità sta anche nell’adozione di uno pseudonimo per onguna di loro che ricordi artiste importanti come Frida Kahlo, Gertrude Stein e Käte Kollowitz. L’umorismo è infatti la chiave per comprendere l’opera del collettivo femminista.
Uno dei poster più iconici da loro diffuso è quello del 1988 che elenca, satiricamente, i vantaggi dell’essere un’artista donna. Tra questi: lavorare senza la pressione del successo; essere coscienti che la propria carriera potrebbe decollare dopo gli ottant’anni. E ancora: potere scegliere tra carriera e maternità; non dover affrontare l’imbarazzo di essere chiamate geni; potere apparire nelle riviste d’arte con il travestimento da gorilla.
Le tattiche di marketing delle Guerrilla Girls erano più sofisticate di quelle di qualsiasi precedente campagna femminista. Imitando la pubblicità e facendo appello all’occhio del consumatore di massa istruito, hanno coinvolto con il loro divertente sarcasmo un pubblico molto più ampio.
Come scrisse la critica d’arte del New York Times Roberta Smith: “Hanno preso la teoria femminista, le hanno dato un tocco populista e l’hanno scatenata per strada”.
Ammettendo solo donne, ed esclusivamente su invito, il gruppo rispecchia i circoli di potere nel mondo dell’arte dominato dagli uomini.
L’arte delle Guerrilla Girls
Muovendosi tra la pratica pop dei poster e la poeticità ironica dei manifesti, il collettivo crea un’arte dalla forte pregnanza sociale. Con performance attivistiche che sembrano tradire l’eredità teatrale e sociale dei Living Theatre, le partecipanti creano un progetto con un’estetica ben riconoscibile. Da un errore di battitura nasce l’idea di fare di delle maschere da Gorilla il loro simbolo.
I loro poster, sempre affissi in punti strategici, fanno loro il linguaggio pubblicitario, imprimendo una direct action riflessiva negli spettatori. Criticando la commercializzazione dell’arte e la sua riduzione a oggetto di consumo, il collettivo condivide la stessa ottica dell’arte concettuale. Emersa nella seconda metà del XX secolo l’arte concettuale poneva l’attenzione non sull’oggetto artistico in sé, bensì sulla sua idea e sul suo messaggio.
Il collettivo negli anni ha reinventato numerose celebri opere d’arte, tramutandole in tasselli per la loro lotta. Per criticare la rappresentazione sessualizzata delle donne nella sculta classica, viene presa in causa dal gruppo l’immagine della venere di Milo. La famosa scultura classica diviene mezzo per parodizzare il ruolo di donna quale oggetto di desiderio invece che soggetto attivo nell’arte. Messaggio similare lo esprime la loro reinterpretazione de La Creazione di Adamo di Michelangelo. In tale interpretazione Adamo figura in una posizione di potere, suggerendo l’esclusione delle donne dai ruoli di potere e divinità nel mondo dell’arte. Anche l’iconografia romantica e sensualizzata della secessione viennese viene colpita. Le Guerilla Girls reinventano anche Il Bacio di Klimt, sollevando questioni di genere. Tale sovversione emana il dissenso del collettivo verso la mancanza di visibilità delle donne artiste nei musei e gallerie.
Reinterpretando e parodizzando alcuni tra i capolavori dell’arte, il gruppo illumina quelle disuguaglianze persistenti da sempre nell’ambiente artistico, mirando alla loro abolizione.
“Where are the women artists of Venice? Underneath the men.” Analisi dell’opera

“Dove sono le artiste di Venezia? Sotto gli uomini”.
L’opera denuncia la disuguaglianza intrinseca del mercato dell’arte nei confronti del genere femminile. Da sempre escluse dal sistema o presenti quali ombre, le donne vengono pedissequamente sottomesse alle presenze maschili.
Sullo sfondo illusorio di quella che appare una stanza da ballo, le Guerrilla Girls ci presentano una coppia ben vestita. Essa è composta da una donna, inginocchiata e abbigliata da un elegante vestito rosso, il suo volto è visibile di profilo. I suoi occhi sono chiusi in accondiscendenza e il suo naso è all’insù. La donna porta i capelli biondi sciolti con un taglio stile anni 50’. Sulla donna, che giace sul pavimento coperto di foto, una figura maschile si staglia dominante a cavalcioni. I suoi occhi sono rivolti verso il basso, verso il corpo della donna e sul suo viso si intravede un ghigno. L’uomo porta delle scarpe in cuoio e una camicia nera sotto ad un completo bianco. All’espressione divertita dell’uomo dominante si oppone quella resiliente della donna fisicamente sottomessa.
Alle loro spalle un ambiente chiuso, palesato in un negativo blu e viola, quale una sorta di illusione. Una coppia vista semi di spalle è presente sulla destra del poster, l’uomo cinge col braccio le spalle della sua partner. Nella sinistra del negativo è invece presente un uomo intento a ballare, il cui sguardo gioioso è rivolto alla camera. Dietro di egli una donna, immortalata di spalle, sembra voler uscire dall’inquadratura.
Denunciando la carenza immotivata di artiste donne, dovuta al sistema plagiato dal machismo, l’opera ne denuncia pure le sofferenze che il genere prova a causa della sottomissione al genere maschile. Ponendoci in relazione visiva con reference storiche, tale poster è volto alla riflessione sulla valenza sociale della donna, imprigionata dal suo essere subordinata all’uomo per valere.
Le Guerrilla Girls e il mercato dell’arte
Stanche di soffrire silenziosamente le discrepanze vigenti nel mercato dell’arte, le Guerilla Girls usano la propria arte come strumento per criticarlo.
Tramite l’espediente dell’ironia e frasi di forte impatto l’applicazione delle disuguaglianze sociali al mercato viene denunciata. La denuncia del collettivo non è unicamente di tipo visivo, le Guerilla Girls, di fatti, rifiutano la mercificazione del sistema del mercato dell’arte. Rimandando così al concetto di valore cultura dell’opera d’arte, teorizzato nel 2001 da David Throsby, evidenziandone la superiorità etica sul valore economico. Per valore culturale di un’opera d’arte si intende la qualità di un’opera di incorporare in sé un capitale che preserva e fornisce valore culturale aggiunto. Tale valore culturale dell’opera d’arte si staglia dunque al di là del valore economico che possiede.
A porre il gruppo in antagonismo con il mercato è, dunque, la loro volontà di voler preservare l’eticità dell’arte. In un mondo ove i musei americani vengono gestiti da uomini d’affari ricchi che nell’arte vedono unicamente un investimento, le artiste si ribellano. Le prerogative che in ambito di compra-vendita affliggono le donne, ma anche gli appartenenti alla comunità LGBTQ+ e a minoranze etniche, vengono messe in luce.
Il progetto rivela inoltre l’immoralità della valenza economica analizzando il caso degli artisti poco noti. Risulta un dato di fatto che la notorietà dell’artista implica ad oggi un valore di mercato aggiuntivo. La fama ha dunque una rilevanza maggiore rispetto al valore culturale di un artista non conosciuto? Oggi, che la mercificazione ha infettato la percezione della critica, la risposta è sì. Il collettivo quindi si ribella, critica musei, combatte contro il mercato e rifiuta il dizionario dell’economia.
Ginevra Tinarelli e Maria Domenica Ferlazzo per Questione Civile
Sitografia
www.centrepompidou.fr
www.guerrillagirls.com
romeartweek.com
www.tate.org.uk
www.theartstory.org