Peteano: la strage dimenticata e il caso Vinciguerra

Peteano

La strage dimenticata di Peteano e il caso Vinciguerra, un episodio apparentemente marginale della Strategia della tensione

La strage di Peteano è uno di quegli episodi della Strategia della tensione maggiormente dimenticati di quel periodo storico. Rappresenta però un momento dal punto di vista giudiziario e storico importante in quanto portò all’arresto di Vincenzo Vinciguerra. Il più famoso pentito della destra eversiva di quegli anni.

La contestualizzazione

La strage di Peteano, nei pressi di Gorizia, è una delle stragi che ha segnato gli anni ’70. L’episodio è interessante poiché, come detto dallo storico Aldo Giannulli, questo evidenzia «le compromissioni» di Ordine Nuovo con i servizi segreti e i carabinieri. Legami talmente evidenti  che spinsero il reo confesso Vincenzo Vinciguerra a denunciare l’uso politico dei neofascisti da parte dello Stato. Nonostante le finalità di denuncia dello stesso attentato, esso in realtà fece scattare la macchina del depistaggio. Questa si attiva per una ragione: nascondere gli imbarazzanti legami fra pezzi di Stato e ambienti eversivi della destra radicale.

Questo episodio criminoso si inserisce quindi nell’ampia eversione attiva nel Triveneto che si lega alla rete anticomunista di Gladio e alla strategia della tensione. Un episodio avvenuto, forse, per semplice iniziativa di una cellula di Ordine Nuovo, stufa di essere strumentalizzata da quello Stato che diceva di combattere. La conseguenza è però essere ingranaggio di un sistema volto a dirottare l’opinione pubblica verso una destabilizzazione per stabilizzare la società in senso autoritario. Uno schema che nel 1972 è ancora ben lungi dalla crisi visti gli episodi successivi della Questura di Milano e piazza della Loggia.

Un anno, il 1972, segnato da altri episodi violenti ascrivibili a quel clima particolarmente rovente e oscuro. Il ritrovamento del cadavere di Giangiacomo Feltrinelli e l’omicidio del commissario Luigi Calabresi sono due eventi cruciali dei mesi precedenti della strage. Momenti che fanno presagire quell’anno come torbido e crocevia di sommovimenti nascosti che possono far presagire un’aria da golpe e da sovversione.

La strage di Peteano

Sono le 22.35 del 31 maggio 1972, una chiamata anonima segnala ai carabinieri la presenza di un’auto nei pressi di Peteano. Gli agenti giunti sul posto, dopo aver visionato sia l’esterno, ove riscontrano dei fori di proiettile, che l’interno del mezzo aprono il bagagliaio, innescando l’esplosione. Tre carabinieri: Franco Dongiovanni, Antonio Ferraro e Donato Poveromo muoiono,  due invece rimangono feriti.

Dalle successive inchieste e dalle parole del reo confesso Vinciguerra emerge che i colpevoli sono:  lui, Carlo Cicuttini e Ivano Boccaccio. Tutti appartenenti ad Ordine Nuovo e al Movimento Sociale Italiano. Cicuttini si rivela essere colui che ha chiamato i carabinieri, oltre che il detentore  dell’arma usata per sparare al cofano del mezzo. Un’azione dimostrativa che vuole, a detta dello storico Mirco Dondi, dare un messaggio a coloro che orchestrano la strategia della tensione. La cui finalità è quindi «sganciare» l’organizzazione nera dalla «violenza stragista di Stato».

Un evento che non riesce a guadagnare i titoli di apertura per diversi motivi come la collocazione periferica della vicenda ed alcuni eventi internazionali contigui. Le stesse dinamiche avvenute con Piazza Fontana rimangono marginali, per quanto le testate cercano di azionare la macchina del fango verso il «movente rosso». Uno dei più accesi su questa linea è il «Secolo d’Italia», la testata del MSI, che aizza odio anticomunista.

Nel giro di alcuni mesi però la pista rossa non porta da nessuna parte, gli inquirenti allora si orientano verso la malavita di Gorizia. La tesi, che si rivela assai risibile, presuppone una vendetta della criminalità contro i carabinieri e lo Stato. Giorgio Almirante e il suo partito sono però a conoscenza degli autori reali e il segretario si attiva personalmente per contribuire alla latitanza di Cicuttini. La verità inizia a circolare però su più livelli, ma non giunge alla stampa e al pubblico dominio.

I depistaggi e il loro significato politico

Caso unico di questa strage è il raggiungimento di una verità giudiziaria già nel 1989 con la condanna degli esecutori e dei depistatori. Questi ultimi sono uno degli elementi che pongono la strage all’interno dello schema più ampio della strategia della tensione. La mole dei depistaggi compiuti per tenere i responsabili lontano dagli inquirenti è enorme. Nel caso di Peteano è avvenuto quello che il magistrato Gabriele Ferrari afferma essere una «congiura contro la verità» che vide tutti uniti i poteri dello Stato. Un quadro che trova come ulteriori prove le inchieste che cercarono di far trasferire Felice Casson, il magistrato incaricato delle indagini, di ufficio.

La necessità quindi di impedire la verità è secondo Giannuli una via obbligata per alcuni esponenti dello Stato, nella fattispecie dei carabinieri e del MSI. Il rischio politico è quello di fermare la messa fuori legge dei partiti della sinistra radicale ed infrangere il mito della destra come «partito dell’ordine». In ultimo attirare attenzioni scomode sui rapporti fra carabinieri e destra radicale eversiva. Politicamente vi era quindi il rischio di spingere i moderati verso la sinistra. Queste sono le profonde ragioni politiche che hanno impedito per molto tempo l’emergere della verità e hanno alimentato i depistaggi.

Un elemento che si aggiunge riguarda l’esplosivo che fa calare il sospetto di intrecci con la rete Gladio. Infatti in un nascondiglio, situato nella regione Friuli, connesso a tale organizzazione sparirono diverse casse di esplosivo e armi. Una scomparsa che gli inquirenti imputano alla rete neofascista friuliana di ON. Una prospettiva però, a detta del saggista Paolo Morando, che contraddice le posizioni di Vinciguerra e la sua supposta purezza ideologica.

Il ruolo di Vinciguerra

Da sempre Vinciguerra ha lucidamente rivendicato la propria militanza e la paternità della strage, usando in maniera consapevole tutte possibilità per rivendicare la propria integrità. In occasione dell’intervista con il giornalista Sergio Zavoli nella trasmissione La notte della Repubblica, rivendicò pienamente le proprie azioni. Un attentato che a detta sua non voleva scatenare alcuna «reazione popolare» ma essere un messaggio verso «il mondo a cui appartenevo». Uno Stato che per Vinciguerra è colpevole in quanto ha lavorato per «non far emergere la verità» e quindi non degno.

Il motivo che lo spinse a prendere queste posizioni e assumersi la piena responsabilità sono date anche dal «vuoto politico» della Penisola. Fin dal 1984 le sue dichiarazioni sono cruciali in quanto da uomo interno alla struttura di ON accusò direttamente l’organizzazione delle stragi. A cui aggiunge l’influenza e la direzione esterna da parte delle strutture di sicurezza dello Stato. Un meccanismo che genera la copertura dei mandatari, come nel caso di Peteano all’insaputa e fuori dal controllo dello stesso stragista. Interessante anche la sua non volontà di fare nomi, rivendicano però altri attentati da lui orditi ed eseguiti, tutti nel Triveneto. Azioni che non sono esenti da legami con l’ufficio politico della questura di Udine, che difatti teneva contatti diretti con gli eversori. Indagini  spesso dirottate verso la sinistra radicale e che quindi entrano pienamente nei depistaggi ed operazioni a cui fa riferimento la strategia della tensione.

Conclusione

Giorgio Almirante e il suo partito non solo sono a conoscenza dei fatti, in quanto contribuiscono direttamente alla latitanza dei terroristi. Le accuse in ogni caso verso il segretario sono decadute in seguito ad un’amnistia fortuita della quale decise di avvalersi.

Se inizialmente la strage è imputata a dei non meglio definiti «balordi», la svolta arriva nel 1979 grazie alle rivelazioni del Sismi. Queste coinvolgono Cicuttini a seguito di una sua strana operazione alle corde vocali, compiuta essenzialmente per evitare l’accusa. Le rivelazioni dell’agenzia portano all’apertura dell’inchiesta veneziana che finisce con la condanna per i due terroristi neri Vinciguerra e Cicuttini.

Una volta incarcerato, nel 1979, Vinciguerra inizia negli anni successivi a fare dichiarazioni. Molte di queste ultime assai rilevanti ai fini della lettura degli avvenimenti che videro coinvolti il terrorismo nero e insanguinarono tutto il decennio. Uno dei motivi di questa sua collaborazione è stata individuata da Casson come risposta al crollo del suo mondo a seguito dei numerosi arresti. Interessante altresì notare come il reo non abbia mai coinvolto altri nelle sue dichiarazioni, assumendosi sempre le proprie responsabilità in nome di una integrità morale.

Una vicenda quindi torbida dove le stesse istituzioni lavorano contro la verità. Lo scopo delle trame è la tutela dell’apparato golpista e criminale su cui fanno affidamento e collaborano in funzione anticomunista.

Flavio Ferri per Questione Civile

Bibliografia

  • Mirco Dondi, L’eco del boato. Storia della strategia della tensione 1965-1974, Editori Laterza, Bari-Roma, 2015.
  • Aldo Giannuli, La strategia della tensione. Servizi segreti, partiti, golpe falliti, terrore fascista, politica internazionale: un bilancio definitivo, Ponte delle Grazie – Adriano Salani Editore, Milano, 2023 [prima ed. 2018].
  • Aldo Giannuli, Elia Rosati, Storia di Ordine Nuovo. La più pericolosa organizzazione neo-fascista degli anni settanta, Mimesis Edizioni, Milano-Udine, 2017.
  • Paolo Morando, L’ergastolano. La strage di Peteano e l’enigma Vinciguerra, Editori Laterza, Bari, 2022.

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