Il mito come cardine delle culture mondiali e topos ricorrente
La definizione del lemma “mito” è rintracciabile in un qualsiasi dizionario di lingua italiana. Ma se ci chiedessero di spiegare cosa voglia dire la parola “mito”, come risponderemmo?
Il dizionario ci fornisce quattro definizioni. Analizzandole giungiamo alla risoluzione che il mito può essere la narrazione, più o meno fantastica, che sta alla base delle credenze religiose di un popolo.
Una narrazione che serve a spiegare in modo allegorico il perché di fatti tangibili, terreni. Un’estensione del termine potrebbe significare l’idealizzazione di un determinato fattore o comportamento di un determinato gruppo sociale in un determinato contesto storico o geografico. In questo modo entrerebbe a fare parte dell’immaginario collettivo. Prendiamo ad esempio l’idea dell’imperturbabilità degli inglesi, il loro distacco e la loro serietà nel conversare sono proverbiali. Oppure si tratta dell’idealizzazione di un singolo, che viene a stagliarsi e a distinguersi in un circoscritto campo. Infine, trasposto nel linguaggio quotidiano e nel gergo popolare, il termine può stare a significare qualcosa di irrealizzabile, concretamente non possibile.
Alle origini del Mito
Ma, per cercare di giungere almeno a un’accettabile spiegazione del termine “mito”, bisognerà andare alla radice del termine, che è greca. Il termine mythos significa “racconto” e stava a designare una particolare narrazione, la quale, attraverso contenuti fantastici, cercava di dare una spiegazione a diversi fenomeni. Già il fatto che il termine volesse dire racconto ha intrinseco dentro sé che fosse destinato alla comunicazione. Data l’antichità della necessità di fornire spiegazioni e data l’esistenza di miti presso le popolazioni di tutto il mondo, tale comunicazione sicuramente doveva essere orale.
Mito e tradizione orale si intrecciano, saranno innumerevoli i miti che sono andati perduti o hanno mutato veste nel corso dei secoli. Neppure possiamo contare sulla perfetta originalità dei miti a noi giunti attraverso fonti scritte, dal momento che una letteratura scritta nasce dopo una letteratura orale. Inoltre, durante i secoli precedenti al terzo millennio, momento della nascita della civiltà della scrittura, vi sarà stata una proliferazione massiccia di miti e storie. Questo perché il pensare per storie e la necessità di spiegazione sono insite alla natura umana, come la curiositas. Di conseguenzail mito, la creazione di una spiegazione, è il suo normale effetto.
Le caratteristiche
Caratteristiche del mito sono dunque l’oggetto della narrazione, generalmente una storia sacra, avvenuta in un tempo recondito e astorico, che serve a spiegare fenomeni inspiegabili. Un’altra caratteristica è il manto di sacralità e suggestione, infatti, abbiamo sempre la presenza nel mito di fattori fantastici e suggestivi. Infine, i metodi di creazione, trasmissione e penetrazione nella società.
Un mito, infatti, ha quasi sempre origini remote, ed è orfano di paternità autoriale. Infatti, trasmettendosi originariamente oralmente, era patrimonio collettivo della comunità e soggetto alla responsabilità intellettuale di chiunque lo raccontasse. Un mito diventa mito fissandosi alla base di una società, creando credenze e influenzando comportamenti e modi di vivere di popoli o gruppi sociali. Se per Feuerbach l’uomo è ciò che mangia, allora ogni società è il frutto di ciò di cui si sono nutrite le sue radici.
Il mito pagano e il mito cristiano
È innegabile che la religione cristiana coi suoi racconti, più o meno fantasiosi, abbia influenzato il modo di vivere e di pensare in svariati contesti. Ma se provassimo ad attribuire il termine “mito” al racconto dell’Annunciazione della Vergine Maria? O se provassimo a paragonare il mito greco della resurrezione di Ippolito alla resurrezione di Lazzaro o dello stesso Cristo? Quale Cristiano ortodosso, nell’accezione originaria del termine, non ne sarebbe indignato. Eppure, mettendo da parte le coordinate temporali e geografiche presenti nei miti cristiani del Nuovo Testamento, questi racconti hanno molto in comune.
Ippolito viene resuscitato dal medico Asclepio con l’aiuto di Artemide, dopo aver trovato la morte in un incidente mentre era alla guida del suo cocchio. Lazzaro invece viene resuscitato da Gesù, dopo ben quattro giorni dal sopraggiungere della morte per malattia. Alla madre di Gesù viene annunciato che avrebbe partorito un figlio senza giacere con nessuno, per volere di Dio. Danae, rinchiusa dal padre Acrisio in una prigione sotterranea con mura di bronzo, fu fecondata da Zeus, tramutatosi in pioggia d’oro.
Eppure, l’accostamento di queste storie non è poi così eretico. Basti pensare, ad esempio, all’Annunciazione di Beato Angelico, del 1426. Si nota in alto a sinistra un fascio di luce dorata, che irrompe nella scena, proveniente direttamente dalle mani di Dio. Secondo alcuni studiosi il fascio di luce ricorda nella sua rappresentazione proprio una pioggia dorata per il modo granuloso in cui viene rappresentata. Non sappiamo con certezza se Beato Angelico, frate di Mugello, conoscesse il mito greco, ma in caso affermativo forse avrebbe rappresentato diversamente la luce divina. In ogni caso resta suggestivo un possibile nesso tra le due diverse storie.
Perché il mito cristiano non è considerato mito?
Sia i sopracitati miti greci che quelli cristiani riflettono le caratteristiche del mito. Sono ammantati di un’aura di sacralità e sono compenetrati nella tradizione dei popoli presso i quali si sono espansi. Ma allora dove sta la differenza? Perché se ci riferiamo alla storia di Danae o di Ippolito è naturale che si venga a parlare di miti? Perché se ci riferiamo con il termine “mito” alle storie di Lazzaro e dell’Annunciazione risultiamo blasfemi? Analizzando stilisticamente i vari passi, si evince palesemente che i miti greci sono descritti in modo molto più suggestivo e fantastico. Zeus si metamorfizza in pioggia d’oro, passa attraverso le mura e la terra, Ippolito muore perché i cavalli si imbizzarriscono spaventati da un mostro marino. La dimensione è quasi divina, i personaggi sono di rango elevato. Danae è una principessa, Acrisio è un re che non esita a segregare la figlia, impassibile, sono piatti, statici.
Nella Resurrezione di Lazzaro e nell’Annunciazione i protagonisti fanno parte di un ceto poco abbiente. Lazzaro abita in un villaggio della Betania con le sorelle, muore per una malattia, non per una caduta da cavallo o in duello. La Vergine Annunciata è una contadina, promessa sposa di un falegname. Eppure, qui i personaggi hanno uno spessore. Maria di Betania si getta ai piedi di Gesù di ritorno dalla Giudea e piange e anche Gesù si commuove. Maria di Nazareth, alla vista dell’angelo Gabriele, nel Vangelo secondo Luca, rimane turbata. Forse è questo che ha conquistato la credibilità del popolo, che i protagonisti delle Sacre Scritture vivessero, palpitassero, cadessero e si rialzassero come reali. La loro umiltà li avvicinava al popolo, più dello sdegno e dell’imperturbabilità di Acrisio. Sarà nelle Sacre Scritture che ci sarà la commistione stilistica, in cui anche l’humilitas potrà corrispondere alla sublimitas.
Il mito come spiegazione del mondo
Sicuro è che l’invenzione del mito nasceva dalla necessità di spiegare il mondo in un particolare momento in cui non era possibile fornire risposte oggettive. E altrettanto sicuro è che molti dei miti appartenenti a culture diverse sono legati tra loro fraternamente. Pensiamo al mito della resurrezione, proprio anche della cultura egizia, o alla creazione dell’uomo plasmato dall’argilla, che la cultura cristiana condivide con quella greca.
La creazione di storie più o meno fantastiche per spiegare il tangibile o l’astratto nasce prima dell’invenzione della scrittura. Questo è alla base di tutte le società, anche di quelle appena abbozzate o ristrette. Infatti, è una necessità insita nell’uomo quella di darsi delle risposte a quello che non si sa spiegare. Tali risposte erano più facile da darsi nel momento in cui non si era ancora sviluppata la civiltà della scrittura. In un periodo storico in cui si pensava più concretamente e semplicemente, era più facile creare storie senza insidiare il tarlo della concezione astratta. Risposte che, più o meno romanzate, ricorrono alla base delle varie culture, pilastri di svariate tradizioni, universali umani accomunati dalla stessa funzione nella loro diversità.
Rosita Castelluzzo per Questione Civile
Bibliografia e sitografia
- Beato Angelico, Annunciazione, Madrid, Museo del Prado, 1426.
- G. de Santillana- H. von Dechend, Il mulino di Amleto. Saggio sul mito e sulla struttura del tempo, Edizione riveduta e ampliata, Milano, Adelphi Editore, 2011.
- La Sacra Bibbia, Roma, Conferenza Episcopale Italiana, 1989.
- lo Zingarelli minore. Vocabolario della lingua italiana, Bologna, Zanichelli, 2001.
- https://www.treccani.it/enciclopedia/danae
- https://www.treccani.it/enciclopedia/ippolito