Doomscrolling e surfscrolling: le cattive notizie

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La dipendenza da cattive notizie: il fenomeno del doomscrolling

In un’era in cui giornali e telegiornali ci bombardano di brutte notizie, e dopo l’esperienza della Pandemia da Covid-19, un nuovo fenomeno ha iniziato a farsi largo tra la gente comune: il doomscrolling (o surfscrolling) che, dall’inglese si riferisce alla compulsiva ricerca di cattive notizie online.

Lo scrolling quotidiano

Con il termine scrolling, ci si riferisce all’azione di scorrere le notizie, i post o le notifiche su internet. È un termine, ed un comportamento, che nasce con l’avvento dei social e fa riferimento proprio al movimento delle dita sullo smartphone. Tuttavia, può riferirsi anche alla ricerca su siti internet, pagine google, giornali online o all’uso di pc e tablet. Si potrebbe equiparare al cosiddetto “zapping” televisivo.

L’avvento dei social ha cambiato il modo di dare e leggere notizie. Prima, attraverso il telegiornale, il canale privilegiato di comunicazione era quello orale/uditivo: le notizie si ascoltavano. Attraverso il giornale, le notizie si leggevano e questa modalità di comunicazione è rimasta attiva nei primi anni di internet e con l’avvento delle prime versioni dei social, con notizie che venivano erogate attraverso post scritti.

I social sono poi cambiati nel tempo, con l’avvento delle immagini, dei video e ad oggi dei reel. I reel sono video molto brevi, nati nel contesto dell’app TikTok ma che oggi sono compresi anche nei post di Instagram e Facebook. Ciò è dovuto sia alla moda e alla competizione tra i vari sociali, ma anche ad una necessità del fruitore: infatti i social ci hanno abituato a mano a mano ad una fruizione di contenuti sempre più brevi, dobbiamo sapere tutto e subito. Non abbiamo più tempo di leggere un intero articolo di giornale, cartaceo o digitale, né tantomeno di vedere un intero video.

Il doomscrolling come strategia

Lo scrolling è un comportamento che mettiamo tutti in atto quotidianamente, a scopi diversi. C’è chi lo fa per distrazione e chi lo fa in maniera compulsiva proprio per cercare notizie negative. In questo caso si parla di doomscrolling.

In alcuni casi, lo scrolling è quasi alienante: siamo troppo stanchi dalla frenetica vita di tutti i giorni. Le nostre energie cognitive sono prosciugate ed è anche per questo che non riusciamo a concentrarci su video o letture. I reel in questo caso ci vengono in aiuto: dandoci poche notizie in meno di un minuto. Lo scrolling, ci fa essere attivi nel movimento di scorrere lo schermo dello smartphone, ma ci anestetizza la mente: ci richiede il minor sforzo cognitivo possibile.

Inoltre, le comunicazioni da parte dei tradizionali telegiornali non sono sempre confortanti. Al contrario, adottano spesso delle modalità di comunicazione catastrofiche.In questo senso il doomscrolling assume un doppio significato: da un lato, rassicurante in quanto siamo noi stessi a cercare le notizie con le parole che ci risultano più chiare e confortanti.

Questo processo ci aiuta a fare delle valutazioni sulle notizie, al contrario ascoltare una notizia detta con toni sbagliati può far sopra valere il senso di ansia su quell’argomento e, non farci ragionare lucidamente. Il secondo significato del doomscrolling diventa quello del controllo: cercare ossessivamente delle notizie ci dà l’illusione di avere un controllo su di esse.

Doomscrolling durante il covid-19

Si sa che l’essere umano non è abituato a tollerare l’incertezza, e non è un caso che il fenomeno del doomscrolling si sia diffuso proprio a partire dalla pandemia da Covid-19: quando la situazione peggiorava quotidianamente, non si sapeva cosa sarebbe successo, se e quando l’emergenza sarebbe finita.

L’unica cosa certa era il bollettino delle 18, con cui avevamo dei dati per capire come stava andando la situazione. In questo modo, si è creata una vera e propria dipendenza da questo appuntamento: alle 18 tutti si fermavano per ascoltare gli ultimi aggiornamenti, così come ogni qual volta c’era una conferenza stampa che forniva aggiornamenti sullo stato d’emergenza o sul lockdown.

Terminata, per modo di dire, la pandemia sono iniziate le notizie sulla guerra, sull’aumento dei prezzi e sull’inflazione, che continuano a farci restare in uno stato di incertezza. Ma quali sono i motivi per cui finiamo nella “trappola del doomscrolling?”. Riguardo i social, non possiamo negare il ruolo degli algoritmi di navigazione che ci ripropongono le notizie più viste e ricercate, o quelle su cui ci siamo fermati maggiormente, creando un vero e proprio contagio di doomscrolling.

Il ruolo dei bias nel doomscrolling

Dal punto di vista psicologico le nostre scelte quotidiane sono spesso guidate da euristiche cognitive, o bias. Si tratta di strategie che ci permettono di fare delle valutazioni, dei ragionamenti in tempi brevi per un risparmio delle energie cognitive. Inoltre, ci aiutano a tollerare maggiormente l’incertezza e ad avere un controllo su alcune situazioni. I bias cognitivi maggiormente presenti nel contesto del doomscrolling sono il bias di conferma e il bias di ottimismo.

Con il bias di conferma, si intende la tendenza a ricercare notizie, informazioni che confermino il nostro pensiero. Questo ci dà un senso di tranquillità e di sollievo e può essere tipico di persone ansiose soprattutto legata alle malattie, le quali ricercano informazioni sul fatto che andrà tutto bene. Tuttavia, può anche essere tipico di pazienti affetti da depressione, i quali tendono ad avere delle distorsioni cognitive e dei pensieri tutto o nulla che necessitano di essere confermati, come il pensiero di non valere nulla e che tutto andrà inevitabilmente male.

Il bias di ottimismo invece riguarda la credenza che gli eventi negativi possono colpire gli altri, ma non noi stessi. È ad esempio il bias che non permette di smettere di fumare, nonostante è noto che si vada incontro ad alcune malattie, ma anche quello che ostacolava l’uso delle cinture di sicurezza perché gli individui tendono a pensare “non mi può succedere niente”.

Infine, degno di nota è il bias dell’ancoraggio. Ancora una volta questo bias agisce in contesti di incertezza, in cui abbiamo poche informazioni su ciò che accade. In questi casi ci “aggrappiamo” alle uniche informazioni che abbiamo, che in alcuni casi corrispondono alle prime informazioni che abbiamo ricevuto sul tema e che costituiscono la nostra “ancora”, da cui il nome bias dell’ancoraggio.

Chiara Manna per Questione Civile

Sitografia

  • www.stateofmind.it
  • www.humanitas.it
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