Necessaria storicizzazione del caso Mortara
A noi più o meno giovani, abituati all’ecumenismo, all’umanitarismo e al pacifismo di Papa Francesco, certi passaggi del cosiddetto «caso Mortara» possono apparire incomprensibili. Eppure – e questo è il tragico cardine della questione – il caso Mortara non fu un’eccezione: fu anzi la punta dell’iceberg, l’emblema (fortunatamente) entrato nella coscienza collettiva, di una stagione che vide lo stato pontificio ergersi a nemico della libertà e dei principi – paradossalmente cristiani – di eguaglianza e fratellanza.
Si trattò per altro di una stagione le cui propaggini superano la metà del secolo scorso. Come dimostra un novero di recenti pubblicazioni basate sulle ultime acquisizioni archivistiche, il sostegno al fascismo e la propaganda anti-ebraica connotarono strutturalmente il pontificato finanche di Pio XII.
Fu solo con il Concilio Vaticano II, voluto da san Giovanni XXIII (1881-1963), che la Chiesa (ufficiale) assunse il volto che ha oggi. E in ogni caso si ebbero alcune imbarazzanti ricadute soprattutto sotto il pontificato del conservatore e iper-politicizzato Giovanni Paolo II (1920-2005), feroce avversario dei diritti civili e anti-comunista di ferro. Né si possono ignorare, oggi, le numerose spinte anti-conciliari da parte di fedeli tradizionalisti; spinte che, divampate soprattutto in seguito ai pontificati «moderni» di Ratzinger e Bergoglio, si avvicinano pericolosamente alle posizioni intolleranti e antigiudaiche sostenute dalla Chiesa negli anni del caso Mortara.
Il caso Mortara: perché?
È proprio da antigiudaismo e intolleranza, costitutivi della Chiesa ottocentesca, che nasce il caso Mortara. Di cosa si trattò? Di un rapimento.
Il giovane Edgardo Mortara – bolognese, classe 1851 – la sera del 23 giugno 1858 fu prelevato dalla gendarmeria pontificia. Venne quindi condotto a Roma, alla casa dei Catecumeni, dove rimase recluso fino al 1870, anno della liberazione dell’Urbe. I genitori lo visitarono una sola volta – e per giunta in un parlatoio sorvegliato da ecclesiastici.
Chi non ha esperienza di onomastica ebraica o non ha visto il bel film Rapito, probabilmente si starà domandando il motivo di questo rapimento.
La risposta a questa domanda ha dell’incredibile non solo per un cittadino dell’Italia contemporanea: persino nelle poco democratiche, ma un filo liberali, nazioni dell’Europa dell’epoca la notizia venne accolta con sdegno.
Il rapimento di Mortara, infatti, fu ordinato dalla Santa Inquisizione, in quanto Edgardo, di famiglia ebraica, era stato battezzato dalla domestica all’età di sei mesi: allorquando il piccolo aveva contratto una polmonite da cui poi era guarito.
Secondo la legge pontificia – Bologna avrebbe conquistato l’indipendenza nel 1859 –, infatti, un bimbo battezzato doveva crescere in un ambiente cattolico. E qualora così non fosse – come nel caso del piccolo Edgardo, che continuò a vivere con la famiglia ebrea –, il battezzato veniva considerato – paradosso dei più arditi – rapito dai suoi stessi familiari.
Il battesimo in articulo mortis
Ci si potrà chiedere il motivo del battesimo impartito ad Edgardo in articulo mortis. Secondo le testimonianze della stessa battezzante, Anna Morisi, la governante di casa Mortara – poco dopo licenziata poiché probabilmente rea di furto –, il sacramento venne somministrato per sottrarre il giovane Edgardo, morente, a un’eternità nel limbo.
Questo, per i cattolici, sarebbe uno spazio ultraterreno (connotato da un alone sinistro) cui sono destinate le anime pie che non hanno ricevuto battesimo. Precisamente, era il caso del piccolo Edgardo.
Ciò che colpisce in questa vicenda è che la domestica, mentre conosceva alla perfezione i meccanismi di entrata nell’Aldilà e le canoniche formule battesimali (in una sorta di latino), non era solo analfabeta, ma neppure italofona.
Questa bizzarria rivela l’oppressione pontificia, difficilmente eguagliata in quegli anni negli stati europei, o quantomeno insuperata sul piano del controllo culturale e delle coscienze. A un analfabetismo diffusissimo, infatti, faceva (è il caso di dirlo) da contraltare, una forte religiosità popolare, non raramente impregnata di superstizioni. Si trattava, ormai non è più «peccato» dirlo, di un sapiente metodo per controllare le masse, mantenute in una contestuale ignoranza culturale e iper-specializzazione pseudo-teologica: così da negar loro ogni possibilità di sviluppare uno spirito critico e dunque un’azione politica.
L’inquisitore come Eichmann: l’intuizione di Bellocchio
Nel bel film Rapito, affidato alla regia di Marco Bellocchio, spicca una scena: quella del processo – realmente svoltosi dopo la liberazione di Roma – all’inquisitore di Bologna, monsignor Feletti (interpretato dall’ottimo Fabrizio Gifuni), imputato appunto di sequestro del giovane Mortara in quanto persona che ne diede l’ordine.
In questa scena l’avvocato di Feletti sostiene la non colpevolezza del suo assistito ricordando ch’egli aveva agito nel rispetto delle leggi, e che non era pertanto imputabile da una corte esterna.
Il rimando al processo Eichmann, consacrato dalle pagine de La banalità del male di Anna Harendt, è evidente. Affermare di aver semplicemente «applicato la legge» fu la linea difensiva adottata da Otto Adolf Eichmann, funzionario nazista deputato alla «logistica» degli ebrei destinati ai campi di concentramento e imputato di crimini contro l’umanità nel 1961. Mentre la difesa di Eichmann non potrò all’assoluzione, quella di Feletti – che ovviamente non si compara per gravità di colpe al nazista – fu efficace.
E del resto non vi era da stupirsi a motivo dell’antigiudaismo cattolico. Questo, anzi, si sarebbe inasprito ancor di più dopo il caso Mortara, cui l’allora pontefice Pio IX reagì con un arroccamento su posizioni intolleranti e illiberali.
Pio IX e Pio XII: dal caso Mortara ai silenzi su Auschwitz
Come dimostra David Kertzer, negli ultimi decenni del secolo XIX, nonché nei primi del secolo seguente, la stampa cattolica fu mezzo privilegiato per la diffusione a livello popolare di un sentimento di forte ostilità nei confronti degli ebrei.
Questi, di cui venne riproposta l’accusa di «deicidio» (di Gesù), vennero altresì apparentati a framassoni e socialisti: una «sinagoga di satana» che, secondo tali deliri complottisti, mirava a sovvertire l’ordine sociale e religioso.
Vi è infatti un filo rosso – come la mantellina papale, s’intende – che collega Pio IX, il papa sotto cui si svolse il rapimento di Edgardo Mortara, e Pio XII, il pontefice che rinunziò a ogni condanna pubblica del nazifascismo (mentre contro il comunismo si dimostrò tanto accanito da rispolverare, nel 1949, l’arma della scomunica).
Il pontefice che occultò i documenti con cui il suo predecessore, morto prima di poterne dare lettura, avrebbe rotto con le infami dittature di destra all’indomani della promulgazione delle leggi razziali in Italia.
Sia Pio IX che Pio XII erano intimamente convinti che la modernità – declinata nella versione liberale come in quella socialista – avrebbe portato alla fine del cristianesimo. Inoltre, entrambi identificavano gli ebrei come i più pericolosi catalizzatori di questa fine. Di qui l’adesione, pur non convintissima, di Pio XII al fascismo, e la sua benedizione della Seconda guerra mondiale, intesa, quantomeno al suo scoppio, come pseudo crociata del mondo tradizionale contro le forze liberal-socialiste.
Il destino di Edgardo Mortara
In tutto ciò, va ricordato un fatto curioso e in certo senso enigmatico: Edgardo Mortara, dopo la presa di Porta Pia, non solo rifiutò di tornare dalla sua famiglia a Bologna, ma decise persino di prendere gli ordini e farsi missionario. In particolare, si adoperò per la conversione degli ebrei (assumendo non di rado atteggiamenti quantomeno inopportuni: ad esempio tentare il battesimo in articulo mortis della madre, che coraggiosamente lo fermò).
Il motivo di una scelta così innaturale è, ovviamente, non del tutto comprensibile. E però l’ipotesi che qui si avanza è che il condizionamento subìto in età infantile dal piccolo Edgardo, imperniato – com’era imperniata la religione cattolica allora – sulla costante minaccia dell’inferno e sulla demonizzazione (in senso proprio) degli ebrei, abbia a tal punto agito da far scattare nel giovane le molle di una conversione avvertita come chiamata a redimere l’errore dei padri.
Né il Mortara fu l’unico a subire questa sorte (molte sono le storie di ebrei convertiti a forza e poi adoperatisi in ambito missionario); né, inoltre, va trascurata la componente di travaglio interiore che sicuramente Edgardo visse durante la sua carriera ecclesiastica, e che Bellocchio ha maestosamente esemplificato in una scena (pur non storicamente avvenuta) in cui Mortara dà l’assalto al carro funebre di Pio IX maledicendo quest’ultimo.
Andrea Monti per Questione Civile
Bibliografia:
E. Cecchinato, M. Isnenghi, Fare l’Italia: unità e disunità nel Risorgimento, Torino, UTET, 2008
D. I. Kertzer, Prigioniero del Papa re, Milano, Rizzoli, 2001
Id, Un papa in guerra, Milano, Rizzoli, 2022