Le miopatie: quando i muscoli si ammalano. La Duchenne e la Becker
Le miopatie sono quelle patologie che colpiscono i muscoli scheletrici e che determinano una compromissione della mobilità di un paziente.
Esistono diversi tipi di miopatie e molti criteri classificativi sono stati ideati per permetterne meglio lo studio e la categorizzazione. Una prima distinzione può essere quella tra miopatie genetiche e miopatie acquisite. Le prime sono causate da mutazioni genetiche che interessano proteine muscolari strutturali – come nelle distrofinopatie – o enzimi coinvolti nelle vie metaboliche del muscolo, ma non solo.
Le miopatie acquisite, invece, sono in genere suddivise in miopatie infiammatorie e non infiammatorie. Quelle infiammatorie sono spesso di natura autoimmune e interesse reumatologico, come la dermatomiosite. Esse, a volte sono di natura infettiva, altre rientrano in quadri più complessi di malattie sistemiche, come la sarcoidosi.
Le miopatie non infiammatorie, infine, possono essere causate da disordini endocrini o malattie sistemiche come la polimialgia reumatica, o la miopatia paraneoplastica.
Manifestazioni delle miopatie
La diagnosi di una miopatia è un percorso lungo e tortuoso, che impone rigore da parte del clinico e la collaborazione di più specialisti.
Come sempre si inizia con una valutazione clinica del paziente, facendo attenzione ad età e sesso, storia familiare, malattie neurologiche o infettive concomitanti. Si pone attenzione alla sintomatologia, al decorso e alla rapidità di insorgenza. Si cerca di obiettivare il deficit di forza muscolare con la scala Medical Research Council (MRC) che si compone di 6 livelli di gravità: da 0 (assenza di contrazione) a 5 (range of motion completo anche contro resistenza dell’esaminatore).
Gran parte delle miopatie ha un andamento simmetrico e prossimale negli arti. Determinano, dunque, difficoltà ad alzarsi dalla posizione prona (manovra di Gowers), a salire le scale, a correre o saltare, se sono interessati i muscoli del cingolo pelvico. Altri pazienti potrebbero avere problemi di deambulazione, come un’andatura anserina (per un deficit del medio gluteo), altri un ginocchio iperesteso per un deficit del quadricipite.
In alcune forme come la distrofia facio-scapolo-omerale si ha andamento asimmetrico, in altre un interessamento distale degli arti che si manifesta come piede cadente o incapacità a camminare sulle punte. Altri ancora potrebbero avere le scapole alate, per difetto del muscolo dentato anteriore.
Le miopatie possono anche manifestarsi con disturbi dei muscoli facciali, extraoculari, faringei, laringei e dare dunque diplopia (visione doppia), strabismo, disfagia (disturbi della deglutizione), disfonia (disturbi della fonazione) o disturbi della ventilazione (insufficienza polmonare restrittiva).
Nelle miopatie metaboliche possono poi esserci anche crampi, faticabilità. In quelle miotoniche si ha rigidità muscolare legata a un rallentamento nel rilasciamento del muscolo dopo contrazione.
Sono possibili anche manifestazioni extramuscolari: problemi neurologici, renali, cardiaci e così via.
La diagnosi delle miopatie
La diagnosi delle miopatie si fonda oltre che sulla clinica anche su alcuni esami di laboratorio e strumentali.
Tra gli esami di laboratorio:
la creatinchinasi è un enzima essenziale per immagazzinare energia nel muscolo scheletrico, cardiaco e nel cervello. È presente in tre isoforme (MM, MB e BB), di cui la più abbondante nel muscolo scheletrico è la MM. Quando le cellule muscolari muoiono liberano questo enzima che dunque aumenta nel sangue.
L’ammonio e il lattato sono cataboliti del metabolismo muscolare: l’ammonio deriva dagli amminoacidi e il lattato dalla fermentazione lattica che si instaura quando il muscolo è in anerobiosi o quando, come nelle miopatie mitocondriali, c’è un difetto nella catena respiratoria. In altri termini l’ossigeno c’è ma le cellule non riescono ad utilizzarlo.
Gli anticorpi, infine, si dosano per cercare malattie autoimmuni.
All’esame del sangue si aggiunge un esame delle urine. Queste ultime in alcuni casi sono scure per la presenza della mioglobina: una proteina simile all’emoglobina ma presente nel muscolo dove immagazzina l’ossigeno e ne costituisce una riserva. Come per la CK, in caso di morte delle cellule muscolari, la mioglobina viene immessa nel sangue, da cui finisce nei reni dove in parte filtra nelle urine, colorandole di marrone, in parte rimane intrappolata nei tubuli renali causando una necrosi tubulare acuta e insufficienza renale.
Tra gli esami strumentali: l’elettromiografia aiuta a distinguere le miopatie dalle malattie del sistema nervoso periferico. La RM permette di rilevare nella sequenza T1 il tessuto fibroadiposo che ha sostituito il muscolo sano e nella sequenza STIR l’edema nel muscolo infiammato. La risonanza ha una duplice utilità: aiuta a indirizzare meglio la biopsia e permette di valutare lo stato di muscoli profondi difficilmente accessibili in modo da riconoscere meglio pattern caratteristici di alcune forme di miopatie. In ultimo la biopsia e i test genetici.
Alcune miopatie genetiche
Tra le miopatie più comuni ci sono le distrofinopatie, come la distrofia muscolare di Duchenne e di Becker. Si tratta di malattie genetiche recessive X-linked, che si manifestano prevalentemente nei maschi, sebbene in alcune condizioni le femmine possano avere delle manifestazioni cliniche di gravità variabile.
Il quadro clinico della distrofia muscolare di Duchenne (DMD) è piuttosto complesso. Alla nascita il neonato è normale, ma presenta già livelli aumentati di CK. A 2-3 anni cominciano i deficit di forza della muscolatura prossimale degli arti inferiori, che si manifestano sotto forma di difficoltà ad alzarsi da terra, saltare o corre. Si osserva anche una retrazione del tendine di Achille con conseguente tendenza a deambulare sulle punte.
Dai 3 ai 6 anni cominciano a comparire segni di compromissione di altri distretti muscolari, come quelli del cingolo scapolare. Scapole alate e difficoltà a muovere le braccia sono comuni. Si osserva anche iperlordosi, andatura anserina, pseudoipertrofia dei polpacci, oltre a una debolezza dei muscoli del collo che non è presente nella distrofia di Becker (BMD).
A 10 anni i bambini con DMD tendono a camminare con l’ausilio delle stampelle, mentre già dopo 24 mesi sono obbligati a spostarsi in sedia a rotelle.
La posizione assunta fa sì che vi siano delle deformità scheletriche come la scoliosi. Le manifestazioni extramuscolari comprendono: disturbi della conduzione cardiaca con aritmie, disturbi del muscolo liscio con alterazioni della mobilità esofagea e intestinale, deficit cognitivo da lieve a moderato.
I pazienti muoiono per sovrainfezioni batteriche o per la cardiomiopatia progressiva.
La BMD ha decorso variabile, un esordio più tardivo (10-15 anni), e un corredo sintomatologico simile alla DMD. A differenza di quest’ultima la distrofina ha una funzionalità superiore al 5%. A volte oltre i sintomi già citati i pazienti presentano rabdomiolisi (necrosi muscolare) con mioglobina aumentata mimando una miopatia metabolica.
Le distrofie muscolari: diagnosi e trattamento
Le DMD e BMD sono dunque malattie simili sotto diversi punti di vista: geni coinvolti, fenotipo clinico, iter diagnostico e anche lesioni anatomopatologiche. Si tratta, infatti, di distrofie, ovvero malattie in cui il muscolo va incontro a necrosi e rigenerazione a partire dalle cellule staminali dette cellule satelliti. Alla biopsia si evidenziano fenomeni di atrofia e di rigenerazione – con fibre di diverse dimensioni – abbondante tessuto connettivo e centralizzazione dei nuclei.
La diagnosi si fonda, oltre che sulla clinica, su esami del sangue, EMG, test genetici, biopsia muscolare e Western Blot su muscolo per dosare il trascritto della distrofina distinguendo le due forme di distrofie analizzate (sopra il 5% BMD, sotto DMD).
La terapia è sintomatica, ma si stanno provando terapie geniche con potenzialità curative come: l’exon skipping che permetterebbe di saltare l’esone mutato riconfigurando la cornice di lettura adeguata e permettendo la sintesi di una proteina funzionante. Per raggiungere questo obiettivo si utilizzano degli oligonucleotidi antisenso che colpiscono il trascritto patologico. Un’altra nuova strategia terapeutica è il gene delivery che consiste nell’utilizzare un vettore virale per veicolare un gene che codifica per una mini-distrofina in grado di vicariare la funzione del gene mutato.
Conclusioni
Le miopatie sono molte e complesse e costituiscono un capitolo vasto e ancora poco decifrato della neurologia. Rappresentano una sfida sia per essere diagnosticate sia per essere trattate. Ad oggi, purtroppo, ancora molte sono le criticità legate al trattamento di queste patologie e la maggior parte sono incurabili.
La ricerca si sta comunque ogni anno raffinando e ci sta permettendo, grazie alle tecniche di genome editing, gene delivery ed exon skipping e molte altre, di rendere queste gravi patologie sempre più curabili.
Francesco Lodoli per Questione Civile
Bibliografia
La Neurologia della Sapienza, Alfredo Berardelli, Società editrice Esculapio.