Ultimamente il cinema sta puntando i riflettori sulla cucina concettuale, tramite film e serie tv di grande successo che mirano a spiegare cosa si cela dietro la cucina che si fonde all’arte
Il focus sulla cucina concettuale di questi ultimi tempi segue quello per l’arte concettuale, ugualmente recente e accattivante per il piccolo e grande pubblico. Capiamo insieme cosa ci insegnano i prodotti cinematografici a tema cucina concettuale.
Cos’è la cucina concettuale
La cucina concettuale cerca di ricostruire corrispondenze gustative dopo aver azzerato quelle tradizionali. Per fare ciò lavora sugli elementi fondanti della cucina, annullando gli aspetti prevedibili e ricostruendo significati, rimettendo così in gioco il piano dell’espressione. La finalità è comunque quella di ricreare una nuova corrispondenza, pena la perdita del «senso unitario» del piatto stesso.
In particolare, è emblematico il lavoro sugli ingredienti, questi possono essere «smontati» per evidenziarne il nucleo fondamentale ovvero essi vengono ricondotti all’essenza, per esempio lasciati crudi o cotti senza condimenti per consentire di riconoscere la natura profonda; il sapore dominante o secondario, come ad esempio estrarre dal finocchio il sapore di anice o utilizzare il pomodoro come elemento acido) ed infine il valore cromatico, cioè utilizzare l’ingrediente soprattutto per il suo colore come elemento decorativo).
Caratteristiche
Per quanto concerne il lavoro sulla preparazione, si gioca con le manipolazioni e trasformazioni di stato, come le temperature, o le consistenze e declinazioni. Tale processo può essere chiamato «decostruzione». Si tratta di rendere percepibile le corrispondenze con il piatto di partenza dietro un insieme di manipolazioni inattese e in apparenza inappropriate rispetto a quelle tradizionali.
In realtà, i piatti della cucina concettuale possiedono al loro interno una dimensione narrativa più complessa di quella della cucina tradizionale. In essa i percorsi di manipolazione (la performanza in termini semiotici) sono visti solo nel loro risultato finale, condensati in una struttura del piatto che non prevede una sequenza per tappe: di solito ogni parte del piatto vale per tutto il piatto, ogni fetta di arrosto, ogni raviolo, ogni fetta di torta sono porzioni invariabili di un tutto unitario.
La cucina concettuale, invece, individua snodi narrativi relativi al rapporto piatto-oggetto e soggetto-degustatore, step previsti dalla struttura del piatto. L’operazione crea sequenze di ingredienti assemblati nel piatto secondo un ordine e relazioni prestabiliti, in modo molto più cogente rispetto alla cucina tradizionale.
L’ arte concettuale e la cucina concettuale
L’arte concettuale si fonda sullo stesso principio. L’idea di vedere un piatto come un’“opera d’arte”, fonda le sue radici proprio sull’arte concettuale. Siamo abituati a considerare arte un dipinto, una scultura, qualcosa che sia in un museo. Ma cos’è l’arte? Quando è un’espressione è artistica?
La domanda è complessa e la risposta ricercata da decenni, potremmo però azzardare che una produzione è arte se si ha un ritorno emotivo e/o concettuale, capace di rendere l’opera stessa familiare e vicina. La cucina nasce dalla necessità di soddisfare un bisogno fisico, ma si sviluppa nella percezione e nell’emotività: il passo verso l’arte, dunque, è breve.
Partendo dalla convinzione che l’arte è “l’espressione o applicazione della abilità creative e dell’immaginazione degli esseri umani, nella produzione di opere principalmente apprezzate per la loro bellezza e forza emotiva”, l’artista attraverso le sue opere cerca il coinvolgimento dello spettatore e non un semplice appagamento visivo. La cucina contemporanea sperimenta e innova, come si sperimenta e si innova in un atelier. Di seguito troviamo quelli che possono essere considerati i cinque fondamentali punti di contatto tra cucina contemporanea e arte:
- La cucina contemporanea, come l’arte, è fatta di ricerca e di idee;
- La cucina contemporanea, come l’arte, è associata ai sensi;
- La cucina contemporanea, come l’arte, è uno strumento volto a rievocare emozioni;
- La cucina contemporanea, come l’arte, affonda le sue radici nella tradizione;
- Un piatto non perdura nel tempo, così come molte opere d’arte contemporanea;
La cucina concettuale nella serie tv “The Bear”
Dopo il successo dello scorso anno, i cuochi e i camerieri del miglior ristorante televisivo sono tornati con la seconda stagione dell’amatissimo “The Bear”. La serie segue le vicende del protagonista Carmy (uno strepitoso Jeremy Allen White), un rinomato chef che cerca di trasformare il Beef (il diner-fast food ereditato da suo fratello) in un ristorante stellato.
Così, tra la ristrutturazione del locale, le decisioni da prendere sul menù e la gestione, i rapporti personali tra i personaggi si fanno ancora più conflittuali. Christopher Storer, al comando della serie come showrunner, sceneggiatore e anche regista di tre episodi, non ha bisogno di grandi idee per dare vita a una seconda stagione stellata.
Gli basta proseguire la scia e aggiungere qualche ingrediente, mantenendo salda l’identità dello show, ovvero quella del racconto del cibo come forma d’arte e di terapia, un antidoto alla costante narrazione del successo e della violenza psicologica del lavoro culinario.
È proprio su quest’ultima che si concentra “The Bear”. Il focus della serie tv (e il motivo del suo maggior successo) è il grande e ragionato spazio che riserva alla componente emotiva, di violenza psicologica, nell’ambito professionale e familiare.
Il percorso esistenziale dei protagonisti, nonché di Carmy, Sydney e Richie, si interseca e si amplia in direzioni diverse, permettendo allo spettatore di immedesimarsi, soffrire e porsi innumerevoli domande, tramite la scoperta del cibo, mezzo e fine ultimo. Sicuramente il cibo non è l’elemento principale della narrazione in “The Bear”, in quanto lo sono i personaggi e le loro storie, ma senza di esso è indubbio che nessuno di loro avrebbe intrapreso il proprio percorso di “redenzione”.
Ma “The Bear” non è un prodotto che si accontenta di scavare sulla superficie, esplorando solo due o tre personaggi essenziali, no. Esso ci mostra la storia, le paure, i dilemmi emotivi di moltissimi personaggi meravigliosamente caratterizzati, tra cui Marcus, Natalie, Tina, Ebraheim, Michael e tanti altri. Un’opera a tuttotondo che si merita certamente tutti i premi vinti, e che sappiamo continuerà ad emozionarci e sorprenderci anche nelle stagioni successive.
La cucina concettuale nel film “The Menu”
Un caso ben diverso è invece il recentissimo e molto discusso film “The Menu”(2022) di Mark Mylod, che si può considerare un corrispettivo del film “The Square”(che ha compiuto la stessa operazione denigrante, ma con l’arte concettuale). La pellicola è una feroce satira al mondo dei “Sì, chef” e della cucina non-cucina, la cucina concettuale, la cucina molecolare, la cucina dove si mangia poco o niente per la gioia dei critici gastronomici.
Tantissima carne al fuoco in una black comedy che ha un andamento narrativo a più strati, con cui affronta più tematiche e si nutre di una continua variazione di ritmo e di atmosfera. Il tutto per guidarci dentro una sorta di gioco al massacro dalle venature umoristiche persistenti.
Tutto ruota attorno a una cena esclusiva e ambita organizzata dal famoso Chef Slowik (un terrificante Ralph Fiennes), che nella sua esclusiva residenza è diventato un mito moderno. Per quella che dovrebbe essere una serata indimenticabile, si sono prenotati Tyler (Nicholas Hoult) accompagnato da Margo (un’impeccabile Anya Taylor-Joy) e altri ospiti danarosi, arroganti, male assortiti e che non immaginano di essere finiti in una cena dagli esiti tremendi.
Fin dal primo istante “The Menu” si pone come un racconto soprattutto visivo, formale, una strana dark comedy sul gioco tra detto e non detto, in cui la regia di Mylod riesce a intrappolare lo spettatore senza che questi se ne accorga.
Il cibo, questa creazione magica dell’uomo, la rivoluzione della materia che la nostra fantasia sa stravolgere e nobilitare, legando la morte alla creatività, qui diventa quasi un rito integralista, un’Inquisizione moderna contro la sua degenerazione morale sul piatto. In questo caso, a differenza di “The Bear”, il cibo è il vero protagonista indiscusso del film, un film in cui Ralph Fiennes, Anya Taylor-Joy e Nicholas Hoult guidano una satira tagliente e affascinante sull’ipocrisia della vita contemporanea.
Alice Gaglio per Questione Civile
Sitografia
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