Il melanoma cutaneo: dalla prevenzione primaria alla nuova frontiera dell’Immunoterapia
Con il termine “melanoma” solitamente si fa riferimento al melanoma cutaneo ossia al tumore maligno dei melanociti che insorge a livello della cute, ma in realtà il melanoma può insorgere ovunque ci siano melanociti come accade nel melanoma oculare, detto anche melanoma uveale, dove l’insorgenza riguarda i melanociti dell’iride, dei corpi ciliari e della coroide. Il melanoma oculare è una patologia molto seria, in primo luogo per la difficoltà di effettuare una diagnosi precoce rispetto al melanoma cutaneo, in secondo luogo per maggiore difficoltà nell’approccio terapeutico vista la sede di insorgenza del tumore. Dunque, ovunque ci siano melanociti nel nostro organismo, potenzialmente risiede la possibilità di sviluppare un melanoma.
Il melanoma cutaneo
Il melanoma cutaneo, al di là della frequenza maggiore di melanociti a livello della cute, è il più comune in quanto la cute è una barriera di protezione ed è l’organo più esposto a insulti di vario genere, come le radiazioni UV che vanno a danneggiare i melanociti.
È bene ricordare la struttura dell’epidermide che presenta dal basso verso l’alto i seguenti strati:
- strato basale;
- strato spinoso;
- strato granuloso;
- strato lucido;
- strato corneo.
Dallo strato basale fino allo strato corneo si assiste alla maturazione delle cellule che, man mano che proliferano subiscono un processo di differenziazione. Le cellule salgono dallo strato basale verso gli strati più superficiali con un andamento di proliferazione di orientamento verticale.
La lesione melanocitaria
A livello dell’epidermide le cellule principali sono i cheratinociti e i melanociti: questi ultimi si trovano nello strato basale, ma quando iniziano la loro proliferazione, tendono a migrare negli altri strati ed è in questa fase che si possono cominciare a evidenziare le prime lesioni benigne o maligne.
Nel momento in cui parliamo di una lesione melanocitaria, essa interessa sia dal punto di vista numerico, per l’aumento dei melanociti coinvolti, sia per quanto riguarda la sede del tumore, che non è più limitata allo strato basale dell’epidermide. Infatti il melanoma cutaneo è un tumore maligno ad elevata aggressività biologica: fino a quando non sono stati compresi i meccanismi molecolari sottesi al melanoma, l’aggressività biologica è stata un problema molto serio nell’approccio terapeutico.
Quest’ultima è data dal numero di mitosi, dal grado di approfondimento interno al derma misurato in millimetri, dalla presenza o meno di ulcerazioni e infine dalla presenza o meno di infiltrato linfocitario.
La lesione può comparire su una cute sana, ovvero che non presenta nessun tipo di lesione precedente o da una lesione pigmentaria benigna rappresentata dai nevi già presenti che possono trasformarsi in melanomi. È per questo motivo che durante le visite dermatologiche viene infatti attenzionata non solo l’evoluzione dei nevi già presenti, ma anche la formazione di nuovi nevi nel corso della vita.
Dal melanoma in situ al melanoma invasivo
Se da un lato si rileva una progressione della lesione in senso verticale verso il derma, allo stesso tempo si può evidenziare anche una diffusione orizzontale. Infatti il melanoma, come tutti i tumori, progredisce per gradi acquisendo tutta una serie di mutazioni e alterazioni durante le varie fasi.
In una cute normale i melanociti sono localizzati nell’epidermide, tuttavia quando iniziano ad aumentare e a localizzarsi nella parte superiore del derma, abbiamo la formazione del nevo che è dato da un accumulo di melanociti. Per questo motivo negli strati più superficiali si inizia ad osservare la pigmentazione.
Un nevo di per sé può diventare displastico, sia per aumento di melanociti sia per le alterazioni dal punto di vista istologico che portano ad uno stravolgimento del derma sottostante. Se i melanociti iniziano ad approfondirsi verso il derma senza superare la membrana basale, se ne evidenzia un accumulo, che prende il nome di melanoma in situ.
Quando invece viene superata la membrana basale, si riscontra un’infiltrazione a livello del derma e dunque si parla di melanoma invasivo. Il melanoma è infatti molto pericoloso per la sua aggressività biologica dal momento che la cute, essendo estremamente irrorata da piccoli vasi sanguigni e linfatici, può fare in modo che il melanoma in situ, dopo l’invasione e l’infiltrazione degli strati sottostanti, diventi invasivo e dunque dia luogo alla metastasi.
La progressione radiale e verticale nel melanoma
Nelle lesioni benigne le alterazioni aprono la strada ad una progressione verticale o radiale, ma fino quando la progressione radiale non oltrepassa la membrana basale, il melanoma è ancora in una fase displastica di melanoma in situ. Le fasi di crescita radiale e verticale sono regolate da alterazioni diverse che in questo caso coinvolgono le caderine, delle molecole di adesione cellulare:
Le E-caderine sono molecole coinvolte nel caso della progressione radiale, mentre le N-caderine sono interessate nella progressione verticale. I diversi step di crescita del melanoma sono infatti legati alle specifiche alterazioni molecolari: le più frequenti sono le alterazioni dei fattori di trascrizione e delle sequenze regolatorie, mentre le altre modifiche riguardano prevalentemente la struttura del DNA, con modifiche a carico degli istoni e alterazioni della struttura tridimensionale della cromatina.
L’epidemiologia
Il melanoma ha una maggiore incidenza nella razza caucasica, poiché dipende strettamente dal fototipo. Infatti ben l’85% dei melanomi cutanei interessano pazienti di origine caucasica, prevalentemente in Nord-America, Europa e Oceania.
In Italia il melanoma è il secondo tumore più frequente negli uomini e il terzo nelle donne, ma anche per essi la frequenza sta aumentando nell’età più giovane intorno ai 40 anni.
Nel nostro Paese si attestano oltre 12 mila nuovi casi con un trend di incidenza in aumento: questo è dato dal fatto che c’è molta più attenzione alla prevenzione negli ultimi anni e quindi sono molte di più le diagnosi di melanomi in situ ossia nelle prime fasi, dunque si può ritenere un motivo di successo terapeutico.
La prevenzione primaria
Alcune attenzioni possono ridurre il rischio di contrarre il melanoma e rientrano nelle misure di prevenzione primaria: in primo luogo è raccomandato di evitare l’esposizione solare in maniera incontrollata e di evitare le scottature. Infatti la scottatura è legata all’esposizione alle radiazioni UV e testimonia che è avvenuto un danno cellulare. Se il paziente ha una storia di scottature o di esposizioni passate il fattore di rischio aumenta notevolmente.
La seconda raccomandazione da parte dei dermatologi risiede nell’evitare le lampade solari, le quali non danno alcun effetto di preparazione all’esposizione solare, ma al contrario inducono un danno cellulare.
Ci sono inoltre dei fattori di rischio tra cui:
- lo stile di vita e i fattori ambientali, come l’esposizione solare acuta e intermittente con radiazioni solari UVB;
- la familiarità: geni di suscettibilità al melanoma familiare;
- un pregresso melanoma o la presenza pregressa di alterazioni cutanee, quali il nevo displastico o i nevi congeniti giganti;
- la presenza di tanti nevi, poiché si dispone di un maggior substrato con possibilità di degenerazione;
- alcune patologie legate al deficit di riparo del danno cellulare;
- le patologie legate all’ipersensibilità dei raggi UV, come lo xeroderma pigmentoso;
- il fototipo I e II: a seconda del fototipo, il paziente ha una maggiore o minore capacità di produrre melanina che agisce come una barriera verso le radiazioni UV.
Regioni cronicamente esposte e non cronicamente esposte
Un aspetto importante del melanoma è stato compreso unendo le recenti scoperte relative alle alterazioni molecolari con l’esposizione di alcune regioni del corpo alle radiazioni UV, le quali abbiamo visto essere il principale fattore di rischio.
Le regioni cutanee cronicamente esposte sono rappresentate da testa e collo, mentre quelle che non sono cronicamente esposte riguardano tutto il resto del corpo. I melanomi che insorgono in regioni cronicamente esposte presentano delle alterazioni molecolari su geni diversi rispetto ai melanomi che insorgono in regioni non cronicamente esposte. Le differenze riguardano quindi sia le diverse alterazioni molecolari, sia la diversa età di insorgenza:
- Nel melanoma delle regioni cronicamente esposte, il rischio di melanoma aumenta in modo direttamente proporzionale con l’aumentare dell’età. La presenza di mutazioni è notevole e riguarda tanti geni come NRAS, C-KIT e BRAF in posizione V600K.;
- Nel melanoma delle regioni non cronicamente esposte è differente anche l’età di insorgenza. Infatti il melanoma è presente in età più giovane, raggiunge un picco e poi l’incidenza scende in età senile. Per quanto riguarda le alterazioni molecolari, non si riscontra lo stesso carico mutazionale presente nel melanoma delle regioni cronicamente esposte CSD; l’unico gene mutato è BRAF, la cui mutazione però cade in una posizione diversa, V600E.
L’immunoterapia: una nuova frontiera del melanoma
Nei recenti approcci farmacologici è fondamentale la caratterizzazione molecolare della lesione tumorale, per identificare il farmaco giusto. La nuova frontiera della farmacologia oncologica risiede oggi nella farmacogenomica e sconfina nell’ambito dell’immunoterapia.
Questo approccio prevede la stimolazione del sistema immunitario affinché riconosca ed elimini le diverse forme tumorali. Infatti se fino a pochi anni fa con la sola chemioterapia l’aspettativa di vita media per il melanoma metastatico era di soli 9 mesi dalla diagnosi, oggi il melanoma metastatico grazie all’immunoterapia è diventato una malattia cronica con cui il paziente riesce a convivere. Grazie all’utilizzo di immunoterapici combinati, ben il 48% dei pazienti con melanoma sopravvivono a 7 anni dalla diagnosi.
Il ruolo dei vaccini terapeutici
Non tutte le persone però rispondono positivamente alle cure e per questa ragione la ricerca si sta concentrando nel tentativo di trovare nuove strategie per migliorare l’effetto dell’immunoterapia.
Questo è il caso dei vaccini terapeutici a mRNA. I vaccini, infatti, non hanno solo una funzione preventiva, bensì stimolando il sistema immunitario, possono svolgere anche una funzione terapeutica. L’utilizzo dei vaccini a mRNA ha proprio come obiettivo quello di stimolare la produzione di anticorpi e cellule immunitarie in grado di riconoscere particolari proteine poste sulla superficie delle sole cellule tumorali.
Giulia Marianello per Questione Civile
Sitografia
www.fondazioneveronesi.it
www.aimac.it