Il perfezionismo, chimera dal passato sino al presente

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Il perfezionismo in epoche storiche diverse

Sin dall’antichità, Il concetto di perfezione ha dominato in culture ed epoche storiche diverse, attraverso l’attribuzione di sfumature e significati altrettanto diversi. In questo articolo, esploreremo il fenomeno dal passato al presente, partendo dall’etimologia del termine, il suo inserimento nella Storia, approfondendone infine l’aspetto psicologico.
Etimologicamente, il termine “Perfezionismo” risulta essere un derivato di “perfezione”, dalla radice latina “perfectio – onis” che significa “compiuto” (1). Dunque, per i latini, quando una cosa è compiuta, allora è perfetta.

Nel mondo greco, Parmenide intendeva l’essere “perfetto” in quanto eterno e immutabile, non suscettibile a cambiamenti e trasformazioni. Aristotele, d’altra parte, individuava tale stato nell’ente che aveva raggiunto il proprio scopo o finalità. (2)

Lo stesso San Tommaso D’Aquino definiva l’essere perfetti come realizzazione della propria essenza e piena attuazione delle proprie virtù. (3) Nella religione cristiana il concetto perfezione è legato a Dio come essere perfetto, e al desiderio umano di avvicinarvisi attraverso santità e virtù. Secondo San Paolo:

“…l’essenza della perfezione cristiana è l’amore di Dio e del prossimo” (Romani 13,10).

Essa è raggiunta attraverso le tre Vie: la purgativa, che mira ad evitare i peccati mortali; l’illuminativa, incentrata sulla pratica delle virtù cristiane; l’unitiva, in cui le virtù vengono messe in pratica con eroismo. Tutti i fedeli cristiani, indipendentemente dal loro stato, sono chiamati alla perfezione. (4)

Nel Rinascimento, l’architetto Leon Battista Alberti sviluppò il concetto di “bellezza ideale” come perfezione armonica delle forme, per mezzo l’imitazione della natura e l’applicazione di principi matematici. (5)

Il perfezionismo in psicologia

Il concetto di perfezionismo fu introdotto in psicologia nel ventesimo secolo, dapprima espresso nei lavori di Alfred Adler (1979) e Karen Horney (1950).  Negli anni ’70/’80 il tema viene poi approfondito da Hewitt e Flett (1991), i quali sviluppano una scala di misura del perfezionismo.

La MPS (Multidimensional Perfectionism Scale) consiste in un questionario composto da diverse sottoscale che misurano differenti aspetti del perfezionismo. Le sottoscale includono: la preoccupazione per gli errori, l’eccessiva esigenza verso se stessi, la preoccupazione per la critica altrui, la necessità di controllo, l’eccessiva organizzazione e l’insoddisfazione per i risultati.

Per una sintetica definizione, i soggetti perfezionisti possono essere descritti come individui caratterizzati dall’impostazione di standard eccessivamente elevati per le prestazioni, accompagnati da tendenze per valutazioni eccessivamente critiche del proprio comportamento.

Osservando la realtà che ci circonda, possiamo affermare quanto il soggetto perfezionista sia conforme al panorama sociale post-moderno. Basti pensare ai modelli proposti dallo scenario pubblicitario e dai social, con le continue condivisioni di canoni di bellezza standardizzati attraverso la frequente manipolazione dell’immagine; o ancora nei contesti aziendali dove si respira il culto della produttività e l’individuo cede la propria specialità personologica votandosi alla prestazione. Oppure si potrebbe pensare agli interventi chirurgici cui si sottopongono sempre più persone comuni, non più soltanto personaggi famosi, per rincorrere la chimera della perfezione.

Da uno studio osservazionale

Secondo uno studio pubblicato sulla rivista scientifica Psychological Bulletin, dagli anni ’80 sarebbe accresciuta l’inclinazione fra i giovani al perfezionismo, rispetto alle generazioni precedenti.

La ricerca, indagando l’andamento di ciascuna di queste dimensioni, ha rilevato che ad oggi il perfezionismo socialmente prescritto sarebbe aumentato del 33%; quello orientato verso l’altro mostrerebbe una crescita 16% e quello di tipo auto-orientato sarebbe cresciuto del 10%. Per quanto lo studio sia di tipo osservazionale, non spiegando le cause dell’incremento, i dati emersi sono comunque interessanti, offrendo spunti di riflessione e approfondimento.

Poiché il perfezionismo è costituito da dimensioni sia personali che sociali, ne vengono distinte tre forme:

  • Auto-orientato: implica standard personali estremamente elevati, aspirazioni di perfezione ed alta autocritica se non vengono soddisfatte tali aspettative;
  • Socialmente prescritto: convinzione che per gli altri sia importante la perfezione e che si aspettino da noi la soddisfazioni di tali aspettative, pena ricevere le loro critiche;
  • Orientato verso l’altro: aspettativa che gli altri siano perfetti e in questo caso la critica in caso di insuccesso è rivolta verso di loro.

Fra l’adolescenza, il perfezionismo e l’ambiente

L’adolescenza è il periodo dei grandi cambiamenti, in cui il corpo cambia velocemente: l’apparenza diventa elemento fondamentale per sentirsi accettati dagli altri e da sé. Difficilmente un adolescente che si guarda allo specchio sarà soddisfatto da ciò che vede:
si focalizzerà su quelli che considerano difetti e su quello che vorrebbero cambiare di sé.
Soprattutto cambiare per adeguarsi a modelli social proposti incentrati sulla bellezza e nello specifico su determinati canoni di bellezza troppo spesso irraggiungibili; la ripetuta esposizione immagini di corpi “perfetti”, influenza negativamente la soddisfazione verso il proprio aspetto estetico. Aumenta così anche la frustrazione per non riuscire a raggiungere quegli standard e quei modelli ideali.

Secondo i ricercatori, le cause del perfezionismo sono complesse. Un suo aumento deriva dal fatto di essere inseriti in una realtà sempre più competitiva, dove la provenienza sociale e le prestazioni contano eccessivamente. Anche genitori che esercitano troppo controllo e sono critici possono favorire lo sviluppo del perfezionismo; infine non va trascurato, come già detto, il peso dei social media, con post che mostrano vite irrealisticamente “perfette”.

Tra l’altro, si potrebbe confondere, erroneamente, l’ambizione con il perfezionismo. L’ambizione è il desiderio di eccellere e raggiungere obiettivi alti, mentre il perfezionismo è il desiderio di essere perfetti. Colui che si impegna con tutte le sue forze e possibilità per raggiungere un obiettivo, facendo le cose “per bene”, non è necessariamente un perfezionista.
La persona ambiziosa riesce a godere degli obiettivi raggiunti, delle capacità acquisite, continua a porsi obiettivi di crescita personale. Il perfezionista non ha uno scopo preciso, e si perde nel sistemare i dettagli senza raggiungere un fine più alto. Essere ambiziosi conduce al miglioramento e alla crescita e consente di ottenere riconoscimento sociale, prestigio e fama (cose che migliorano l’autostima); essere perfezionisti ostacola la crescita e intacca la salute psico-fisica.

Il perfezionismo associato ad altri disturbi

A livello psicopatologico, raramente il perfezionismo si manifesta da solo, essendo associato ad altri disturbi. Fairfun, Safran e Cooper (1999) hanno suggerito che il soggetto tende a rispondere meno al trattamento quando il perfezionismo va a sovrapporsi al disturbo psichiatrico. Un esempio: se pazienti con fobia sociale, manifestano anche il perfezionismo nel dominio relazioni sociali, quest’ultimo tende a mantenere stabile il disturbo psichiatrico inficiando un possibile trattamento.

Interessante è l’indagine di Bardone e collaboratori (2000) sulla relazione tra perfezionismo, autostima e insoddisfazione corporea. Lo studio, infatti, rivela che compresenza di queste tre variabili sia predittivo rispetto allo strutturarsi dei sintomi bulimici. In particolare, percepirsi in sovrappeso, avere alti livelli di perfezionismo e una bassa autostima, espone maggiormente al rischio di manifestare sintomi bulimici.

Alcune ricerche hanno evidenziato come il controllo psicologico in tenera età, predica un aumento del perfezionismo maladattivo nella tarda adolescenza. (Flett et al. 2002). Inoltre, quando eccessivo, il controllo sembra misconoscere l’indipendenza e la singolarità del bambino (Barbera e Harmon 2002, Kering 2003).

Dal punto di vista terapeutico Burns propone di fare un’analisi dei costi e benefici rispetto alle credenze perfezionistiche disfunzionali valutando i vantaggi e gli svantaggi. Fairbun, Safran e Cooper (1999) sostengono che la terapia debba partire dal riconoscere a livello cognitivo comportamentale il proprio perfezionismo come un problema. Questo per ampliare lo schema di auto-valutazione di sé introducendo domini non disfunzionali.

Caratteristiche del perfezionismo patologico e come contrastarlo

Il desiderio di fare bene, porsi obiettivi ambiziosi e raggiungere buoni risultati, prendersi cura del proprio aspetto, è legittimo; esso diventa patologico e sintomo di perfezionismo, quando sono presenti le seguenti caratteristiche:

  • – Ossessione ritualistica per ogni azione o dettaglio;
  • – Eccessivo rispetto delle regole e/o preparazione di liste di cose da fare;
  • – Il vivere ogni “mancanza” o “fallimento” con disagio e sofferenza psicologica;
  • – La procrastinazione per paura di non poter riuscire a completarlo alla perfezione;
  • – Considerazione maggiore del risultato piuttosto che del processo di apprendimento;
  • – Focalizzazione eccessiva e frequente sui dettagli del proprio corpo o dell’attività praticata;
  • – Ipercritica verso se stesso e gli altri e/o pretesa di elevato successo;
  • – Manie di controllo nelle relazioni.

La Dott.ssa Caron (2024) fornisce tre suggerimenti per contrastare il perfezionismo:

  • Prendere le distanze dai propri pensieri: il distanziamento è un modo per ridurre il nostro dialogo interiore e interagire con esso in modo diverso. Ad esempio, rimandando i pensieri al momento adeguato senza rimuginarci su eccessivamente; mettere i pensieri in prospettiva e chiederci se un errore di oggi avrà davvero importanza domani; utilizzare la seconda persona invece della prima persona nei propri pensieri perché questo aiuta a costruire un dialogo interno più costruttivo e positivo.
  • Accettare ciò che è abbastanza buono: il perfezionismo ci fa sembrare che niente sia mai abbastanza, ma la perfezione non esiste. Bisogna quindi spostare il proprio standard da “perfetto” ad “abbastanza buono”, imparando a lasciar andare, senza dare sempre e solo peso alla performance, piuttosto all’impegno.
  • Praticare l’autocompassione: se il perfezionismo è diventato parte della propria vita, possiamo immaginare che ci sia un motivo. Tuttavia, quando i costi superano i benefici bisogna riconoscerlo, accettarlo e andare avanti, verso il cambiamento ed uno stile di vita più gentile verso sé.

Maria Di Lanno per Questione Civile

Sitografia:

www.stateofmind.it

psicologo-prato.it

www.teresalongobardi.it

Per leggere l’abstract dell’articolo (in inglese) su PubMed:

www.ncbi.nlm.nih.gov

Note

1.Treccani, edizione on-line

2.Giovanni Reale, 2005

3.Garrigou-Lagrange, R., 1933)

4.(Concilio Vaticano II, Lumen gentium, 1964).

5.(Enciclopedia Treccani, 2022)

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