L’etica della cura: un paradigma morale differente

etica della cura

La nascita dell’etica della cura con Carol Gilligan

Nella tradizione filosofica attuale ritroviamo la parola “cura” in tutta la sua complessità semantica. Sentendo pronunciare tale termine viene subito in mente l’ambito medico- sanitario, laddove la cura è un rimedio o una pratica volta a guarire da una malattia. Tuttavia “curarsi di qualcuno” può indicare anche l’interesse verso la protezione e l’attenzione di una persona più fragile, come i bambini o gli anziani. Questa parola è dunque l’emblema del carattere relazionale dell’essere umano: ognuno di noi dipende dagli altri a livello fisico, sociale e affettivo. L’etica della cura è dunque una pratica che richiama alla responsabilità nei confronti degli altri e al rispetto delle diversità.

Questo nuovo paradigma teorico è inaugurato dalla psicologa statunitense Carol Gilligan con la pubblicazione nel 1982 della sua opera principale: In a different voice. Tale volume offre le basi per un radicale ripensamento della morale in una prospettiva opposta rispetto a quella individualista dominante nella nostra società.

Etica della giustizia ed etica della cura. Due paradigmi a confronto

Gilligan parte dagli studi sullo sviluppo morale dell’individuo propri del suo maestro Lorenz Kohlberg e di Jean Piaget ma approda a tutt’altro esito. Per Kohlberg la morale è coerente assunzione di principi etici e razionali sotto forma di giudizio normativo. Proprio per questo, secondo la tradizione psicanalitica, i maschi risulterebbero più capaci nell’elaborazione di giudizi morali rispetto alle donne.

Riprendendo l’impostazione del maestro, Gilligan individua i vari stadi dello sviluppo morale nelle ragazze ma ribaltandone il quadro valutativo ed individuando un nuovo paradigma morale: quello della cura responsabile dell’altro e di sé. Sulla base di numerose ricerche sul campo ed interviste ad individui di entrambi i sessi in merito a scelte morali complesse, l’allieva dimostra dunque che non esiste una concezione univoca della moralità ma individua due differenti modelli etici.

Il primo è quello dell’etica della giustizia, privilegiato dagli individui di sesso maschile, secondo cui la riflessione morale deve distanziarsi dalle situazioni concrete per fare riferimento a principi ideali validi universalmente.

Il secondo paradigma morale è quello deifnito come etica della cura, maggiormente incentrato sulla connessione con gli altri nelle loro particolarità e diversità. Questo secondo modello tipicamente femminile mette in primo piano la dimensione relazionale e vulnerabile dell’essere umano, dunque qui la morale assume una dimensione ancora più ampia.

Il campo di applicazione ritenuto come il più naturale per i lavori di cura è quello sociale.

Gli invisibili attori sociali che vediamo protagonisti del lavoro di cura sono le donne; archetipicamente considerate come predisposte naturalmente al lavoro domestico. Ciò ha portato a svalutare questo tipo di attività, considerato come un costo più che come un contributo all’individuo innanzitutto e alla società tutta poi. È dunque mal sopportato, accettato per necessità.

La cura in campo sociale

Il lavoro di cura non produce infatti profitto e risulta dunque inutile alla luce della logica sottostante al mercato capitalista attuale. Le ristrettezze delle risorse economiche e il carattere personale del lavoro fanno sì che si esprima una forte pressione nei confronti dei lavoratori affinché rendano il più possibile. In tal modo i lavoratori vengono a trovarsi in conflitto tra le esigenze di rendimento massimo e quelle di un lavoro di cura che richiede un’attenzione nei dettagli e nell’intimità delle persone.

Quella della cura responsabile è dunque un’attività legata tradizionalmente al ruolo naturale che svolge la donna nella società, riproduttivo e non produttivo nel senso marxista del termine. È considerato inoltre “naturale” pagare meno le donne nelle loro mansioni lavorative o dare per scontato lo sforzo produttivo e riproduttivo delle loro attività quotidiane.
A seguito di tale svalutazione assistiamo nel corso della storia a numerose battaglie delle donne per un salario al lavoro domestico.

L’etica della cura spinge ad una profonda revisione della logica che sta alla base della società: da una parte riconoscendo pubblicamente che l’attività di cura svolta tra le mura domestiche costituisce un vero e proprio lavoro sociale e che in quanto tale deve essere riconosciuto e pagato e dall’altra lottando affinché tali tipi di attività siano equamente ripartite con gli uomini.

Ad oggi le lotte femministe hanno contribuito molto nel progresso della ripartizione equa di tale tipo di lavoro; tuttavia, vediamo ancora oggi che nella maggior parte dei casi le attività di cura sono a carico quasi esclusivo delle donne.

Critiche e valore dell’etica della cura

Alcune femministe tuttavia hanno visto nelle teorie di Gilligan una riaffermazione inconsapevole di una prospettiva binaria di tipo patriarcale secondo cui il maschio è razionale e la femmina sentimentale.

Altre studiose evidenziano invece come Gilligan non voglia proporre un’etica esclusivamente femminile ma solo presentare un diverso modo di guardare alla moralità a partire dall’importanza della dimensione relazionale nella vita di ciasun individuo. L’etica della cura si proporrebbe in questo senso come un’alternativa alla morale tradizionale: una visione morale che rispetti sì i principi deontologici della giustizia formale ma che sia fondata sull’idea di un soggetto  bisognoso di cura e al tempo stesso capace di curarsi degli altri. Un soggetto dunque in cui la dimensione relazionale venga prima di quella razionale.

L’etica della cura è una disciplina che ha assunto una particolare importanza dopo il 2020, a seguito della pandemia di Covid-19. Di fronte ad una condizione di isolamento e solitudine abbiamo avuto modo di riflettere sull’importanza della dimensione relazionale. In una società dominata dall’ipersicurezza della tecnica la potenza di un virus invisibile ci ha messo in faccia la verità della fragilità e dell’empatia umana. Siamo divenuti consapevoli del fatto che prendersi cura di sé e della prorpia anima non può essere disgiunto dal prendersi cura degli altri e della società.

L’etica della cura contribuisce dunque a far sorgere un prototipo di essere umano più vicino alla realtà dei fatti: vulnerabile e fragile. Le persone sono ontologicamente bisognose di relazioni dalla nascita alla morte, è necessario ricevere e dare cura, nei confronti degli individui e del pianeta. Ecco perché il lavoro di cura andrebbe valorizzato e non più sminuito.

Ginevra Tinarelli per Questione Civile

Bibliografia

C. Gilligan, Con voce di donna. Etica e formazione della personalità, Feltrinelli, 1991

Sitografia

www.it.pearson.com

www.c3dem.it

www.arcadia.sba.uniroma3.it

www.mondodomani.org

www.ilpunto.it

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