La “Prima Repubblica” in crisi: L’epilogo della “solidarietà nazionale” e l’esordio della stagione del Pentapartito (1978-1981)
L’assassinio dell’On. Aldo Moro, avvenuto il 9 maggio 1978, rappresentò uno degli episodi più drammatici della storia della “Prima Repubblica”. Un episodio che, in quell’Italia di fine anni Settanta, si ripercuoterà irrimediabilmente sulla politica. La fine della stagione della “solidarietà nazionale” ne fu la conferma. Una stagione che, malgrado le premesse inziali, non produsse risultati chiari e ben distinti. La definitiva accettazione del Partito Comunista nella maggioranza di governo non si concretizzò. Con essa fallì, anche, ogni possibilità di poter procedere verso una “democrazia compiuta”. Una sorta di occasione mancata, i cui effetti, saranno visibili sin dal principio.
La “Prima Repubblica” in crisi: la “difficile democrazia”
L’eccidio di via Fani e il conseguente assassinio, ad opera delle Brigate Rosse, del On. democristiano Aldo Moro, nel maggio del 1978, rappresentò uno spartiacque fondamentale nella storia “Prima Repubblica”. Una vicenda che, in quell’Italia di fine anni Settanta, lascerà un vuoto incolmabile.
Com’è noto, nel caos politico e sociale di quegli anni, dominato dal dilagare delle proteste operaie e studentesche e dalla piaga del terrorismo, sarà lo statista pugliese a guidare quella fase politica così delicata. Moro, comprese che per risolvere la gravità dei problemi del paese c’era bisogno di un fronte politico molto ampio, utile ad assicurare stabilità e promuovere riforme. Pertanto, dopo la crisi dei governi di centro sinistra di fine anni Sessanta, si farà portavoce della necessità di dover coinvolgere il Partito Comunista nella maggioranza di governo.
Un progetto ambizioso, contrario ad ogni direttiva atlantista. Nel quale, però, l’On. democristiano, attraverso l’incontro tra le “due chiese”, comunista e cattolica, vedrà la possibilità di salvezza per la “difficile democrazia” italiana e con essa l’opportunità di poter giungere ad una “democrazia compiuta”.
Malgrado, la diffidenza ed opposizione dei centri di potere statunitensi, la visione morotea, trovò risposta nella politica del nuovo segretario comunista, Enrico Berlinguer. La sua visione di costruire un modello occidentale di comunismo, riformista e democratico, lontano dalle posizioni di Mosca, rappresenterà una reale occasione per una piena legittimazione del PCI come partito di governo. In tal senso, lancerà la proposta di un “compromesso storico” tra le forze democratiche e popolari.
Dopo le elezioni politiche del 1976, si creerà l’occasione, per DC e PCI, di poter dar vita ad una fruttuosa fase di confronto. Ad ogni buon conto, la cosiddetta stagione della “solidarietà nazionale”, subirà i contraccolpi del caso Moro, lasciando un’eredità di divisioni profonde tra i protagonisti di quella vicenda.
La “Prima Repubblica” in crisi: la fine della “solidarietà nazionale”
Come accennato, gli strascichi lasciati dalla vicenda Moro saranno evidenti sin da subito. Il fallimento del quarto governo Andreotti, sorto il 16 marzo 1978, che vedeva l’appoggio esterno del PCI, subì le ripercussioni di una dialettica tutta interna alle compagini di governo.
Ad emergere saranno soprattutto le conclamate disparità di vedute tra i due partiti maggiori. L’irrigidimento delle posizioni sulle questioni relative, all’ingresso dell’Italia nello SME (Sistema monetario europeo) e degli euromissili statunitensi, da parte del PCI, porteranno alla crisi del 1979 e con essa ad elezioni anticipate.
I contrasti sorti nel corso della breve settima legislatura della “Prima Repubblica” confermarono l’incapacità, per DC e PCI, di proseguire sulla strada tracciata in quegli anni dall’On. Aldo Moro. Condizione che, causerà, di fatto, la fine della stagione della “solidarietà nazionale”. Con ciò, verrà troncata ogni possibilità di poter giungere ad una “democrazia compiuta”. Laddove, nella visione morotea, si sarebbero potute creare le premesse per un sistema fondato sull’alternanza. Questo, avrebbe probabilmente rivitalizzato i partiti e innescato un nuovo corso per la politica italiana.
In realtà, la fine anticipata della settima legislatura, testimonierà il sempre più evidente stato di paralisi delle forze politiche. Le quali, incapaci di rinnovarsi e interagire con una dinamica vitale, si troveranno a dover affrontare una crisi senza precedenti. Questa sarà legata soprattutto all’ormai conflittuale rapporto con la “società civile”. Dove cominciavano a sorgere sentimenti di avversione verso la gestione partitica dello Stato, considerata sempre più ingombrante e autoreferenziale.
Dunque, per i partiti si aprirà una fase di transizione molto complicata, nella quale, saranno chiamati a dover dare risposte concrete. In tal senso, alla ricerca di prospettive più stabili, nel corso dell’ottava legislatura, daranno vita ad un ampio dibattito. Entro il quale, si creeranno le premesse per l’avvento di un’altra stagione politica. La cosiddetta stagione del “Pentapartito”.
La “Prima Repubblica” in crisi: la difficile transizione
Una volta, falliti i tentativi di creare una grande coalizione tra i due partiti di maggioranza che, potesse rispondere in maniera contingente ad una situazione di instabilità e incertezza politica. Per le compagini parlamentari, si paleserà una fase molto delicata.
All’indomani delle elezioni politiche del 1979, i partiti si troveranno ad affrontare molteplici difficoltà nella formazione del Governo. Oltretutto, i risultati elettorali, nonostante l’insperata tenuta della Democrazia Cristiana, 38,3% di preferenze, non offrivano un’indicazione tanto chiara su quale strada seguire.
Motivo per cui, di fronte a questo grave momento di incertezza politica sarà il neoeletto presidente della Repubblica Sandro Pertini, ad accettare il ruolo di coordinatore. In tal senso, affiderà la guida dell’esecutivo, dell’ottava legislatura della “Prima Repubblica”, al democristiano Cossiga. Il quale formerà un governo tripartito DC-PSDI-PLI.
In tal contesto, per le compagini si aprirà un periodo di distensione, nel quale ricercare prospettive più stabili. Ad assumere un ruolo non marginale sarà il contesto internazionale. Il voto riguardante l’installazione dei missili statunitensi sul territorio italiano rappresenterà un decisivo terreno di coagulo per le forze ostili al ritorno della “solidarietà nazionale”. Difatti, mentre il Partito Comunista, rispose in maniera negativa. In Parlamento, una volta approvata l’installazione degli “euromissili”, si verrà a creare una maggioranza formata da rappresentanti della DC, PRI, PSDI, PLI e PSI. Questo, diverrà una sorta di viatico per la costituzione di una nuova alleanza a cinque, il Pentapartito.
In questa cornice, a farsi strada all’interno del dibattito politico, sarà soprattutto il partito Socialista, di Bettino Craxi. Giunto alla segreteria del PSI nel 1976, attraverso una leadership ambiziosa, Craxi, seppe conferire un ruolo autonomo al partito. Ribadendo i tratti laici e democratici del socialismo, prese nettamente le distanze dall’ideologia marxista-leninista. Questo, lo allontanerà nettamente dalle posizioni del PCI, dandogli la possibilità di crearsi uno spazio politico autonomo.
L’avvento del pentapartito
Nonostante, l’unità palesata dalle compagini parlamentari, nel corso della votazione per l’installazione degli “euromissili” statunitensi, l’esecutivo Cossiga avrà vita difficile. Condizione che, non sarà dovuta solo alla debolezza interna alla coalizione ma soprattutto da fattori esterni, che ne accelereranno la crisi. Tra questi la sciagura aerea di Ustica ma soprattutto la strage di Bologna, del 2 agosto 1980.
Il caos politico e sociale che, ne seguirà sarà deleterio per il Governo, segnandone, di fatto, la fine. Di seguito, nell’autunno del 1980 a Cossiga, subentrava il democristiano Arnaldo Forlani. Il quale, sostenitore all’interno del partito di un’asse privilegiato tra la DC e il PSI di Craxi. Linea politica che verrà assunta anche dalla segreteria del partito, al principio degli anni Ottanta, dopo la vittoria della cosiddetta corrente “Preambolista”. Darà vita ad un quadripartito comprendente DC, PSI, PSDI, PRI.
Ad ogni buon conto, l’esecutivo avrà vita breve. Le ripercussioni causate dallo “scandalo P2”. Ossia la rivelazione dell’esistenza di una loggia massonica segreta chiamata appunto “Propaganda 2”. Della quale facevano parte esponenti di primo piano del mondo politico, industriale ed istituzionale, e nelle cui fila militavano alcuni Ministri in carica. Costrinsero Forlani alle dimissioni.
A subire le conseguenze di tale scandalo, sarà soprattutto la DC, la quale fortemente appannata lasciò la presidenza all’esponente di un altro partito. Il segretario del PRI, Giovanni Spadolini. Il quale divenne non solo il primo presidente non democristiano dal dopoguerra. Ma anche il primo a guidare un esecutivo formato da cinque partiti, in quanto a DC, PSI, PSDI, PRI, si unirà il Partito Liberale.
Questo rappresenterà il punto di partenza per la tanto decantata stagione del Pentapartito. Una stagione, in cui l’Italia attraverserà un relativo periodo di stabilità politica. Nel quale però, si creeranno le premesse per una cristallizzazione del sistema e per un depotenziamento della progettualità politica.
Leonardo Gastaldi per Questione Civile
Bibliografia
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