Cosa mangiavano gli antichi romani e quali cibi erano alla base della loro alimentazione?
Gli antichi romani seguivano un’alimentazione genuina a base soprattutto di plus, verdure e legumi. In seguito, anche la carne e il pesce avrebbero occupato un ruolo importante nella loro piramide alimentare, diventando parte integrante della cucina romana antica. Il vino, poi, era una bevanda essenziale da consumare sia per strada sia nei sontuosi ed eleganti banchetti aristocratici. Insomma, l’alimentazione romana era piuttosto bilanciata nonché varia e avrebbe posto le basi per quella che oggi è conosciuta come dieta mediterranea.
La base dell’alimentazione degli antichi romani
Durante i primi secoli della nascita di Roma, l’alimentazione dei romani era costituita principalmente dalla plus, «la polta». Si trattava di farina di farro cotta in acqua e sale spesso condita con lenticchie o semi di altre leguminose, nonché cipolle o fave. Di capitale importanza per il nutrimento della popolazione romana erano le verdure: i primi romani, infatti, erano vegetariani. Lo conferma il fatto che persino i più poveri possedevano un orto e che l’agricoltura era considerata una nobile arte. Inoltre, l’importanza dell’alimentazione vegetariana era osannata persino da Ovidio nelle Metamorfosi. Egli sosteneva che era un crimine imbandire la tavola con carne animale quando si aveva a disposizione un giardino che produceva i frutti della terra.
Malgrado i romani conoscessero il frumento, fu solo alla fine del III secolo a.C. che si resero conto del potenziale di quel cereale. Esso, dopo la lavorazione, consentiva di ottenere una farina senza scorie, più adatta alla panificazione. Per secoli, quindi, i romani non panificarono, tanto che Plauto in una commedia si riferiva a loro chiamandoli con il nome greco di pultiphagonides, ovvero «mangiatori di polta». Fu solo alla fine del V secolo a.C. che l’antico frumento a grano iniziò a regredire a favore di grani duri e teneri provenienti dalla Sicilia o dall’Africa, promuovendo la nascita e il perfezionamento delle tecniche di panificazione, dapprima senza lievito. Il pane, man mano, acquisì sempre più importanza. Nella Roma imperiale se ne contavano ben 72 varietà, dalla più ricercata, il panis siliginus, al panis militaris, prodotto per i soldati, e persino quello integrale, il panis autopyrus.
Gli alimenti di origine animale nell’alimentazione romana: carne e pesce
Per lungo tempo il pesce fu un alimento raro, così come la carne, ad esclusione degli animali di piccola taglia come capre, pecore e maiali, che venivano allevati negli orti di famiglia. Con il passare dei secoli e l’aumento del benessere del ceto medio, la popolazione iniziò a consumare sempre più carne. Il maiale era il re della cucina romana: poteva essere cucinato intero, servito ripieno o conservato sotto sale. Le spezie ricoprivano un ruolo fondamentale per insaporire i cibi. Siccome lo zucchero era ancora sconosciuto ai romani, di solito si utilizzava il miele per addolcirli. Per questo, spesso, le pietanze assumevano un sapore agrodolce. Tra le portate più consumate a base di carne spiccavano il porcellino al vino, quello al latte alla Apicio, la lepre bollita, lo stoccafisso di fegato e il pollo farcito allo zenzero.
Il pesce, invece, entrò parecchio tardi nell’alimentazione romana. I primi insediamenti romani, infatti, si estendevano lungo le colline dell’entroterra laziale, quindi la pastorizia venne sviluppata molto prima rispetto all’itticoltura e alla pesca. Solo dopo, durante l’espansione romana verso le coste e dopo la conquista del Mediterraneo, i romani iniziarono a consumare il pesce e a mettere a punto la preparazione di molti piatti. Tra i pesci più consumati c’erano l’orata, la triglia, il tonno, l’anguilla di mare e la murena, oltre che i maris poma (frutti di mare). Con il pesce, poi, veniva prodotto il celebre garum, una salsa a base di interiora di pesci, adoperata come condimento di molte pietanze. Tra le pietanze di pesce più note c’erano il tonno all’uva, il pasticcio di sogliole, i ricci di mare alle uova o il pesce al tegame.
Gli alimenti di origine animale nell’alimentazione romana: uova e formaggi
Anche le uova e i formaggi erano alimenti altamente consumati dai romani. Le uova erano preparate in modo affine al nostro e si usavano anche per la preparazione di dolci e salse. Ad esempio, nella salsa per le scaloppine, a base di uova, pepe nero, cumino, prezzemolo, garum, miele e aceto, nel pasticcio, nei dolcetti ai pinoli e nel flan.
I formaggi erano molto amati dai romani e prodotti in diverse zone dell’Impero. Di solito, si faceva coagulare il latte con succo di fichi rigurgitati da giovani ruminanti non svezzati. Il caglio si scolava in delle fiscellae e messo ad essiccare al sole, o messo in salamoia o ancora pressato. In altre zone, invece, lo si faceva cagliare utilizzando il liquido biancastro dei fichi, o i grani di zafferano o il latte d’asino, e poi veniva aromatizzato con pigne, timo o mandorle.
In vino veritas
Dietro l’influenza degli affreschi che ritraggono feste e banchetti e una concezione edonistica della Roma antica, oggi nella visione collettiva si pensa che i romani fossero accaniti consumatori di vino. Tuttavia, le fonti antiche attestano interdizioni e tabù nei confronti di questa bevanda. Innanzitutto, fino a quando perdurò il regime vegetariano, la consumazione dei vini rimase circoscritta e limitata, dato che gli unici vini che si conoscevano erano quelli greci ed erano molto costosi. Inoltre, secondo quanto riportato dagli autori antichi, gli uomini non potevano concedersi neppure un bicchiere di vino prima dei trent’anni e alle donne era proibito bere. Ovviamente non è possibile stabilire con certezza quanto vino consumassero gli antichi romani, ma certamente era una bevanda irrinunciabili durante i pasti.
La produzione del vino avveniva in maniera diversa rispetto ai giorni nostri. Gli acini dei grappoli venivano trattati con acqua di mare e solo al termine di questa operazione, dopo essere stati esposti al sole per alcuni giorni, venivano spremuti e poi pressati nel torchio. In seguito, la bevanda veniva conservata nei dolia, enormi vasi di terracotta interrati, giacché i romani non conoscevano la fermentazione del vino in tini o barili, che è un’invenzione gallica. Al vino potevano essere aggiunte sostanze come gesso, creta, calce, resina o pece per assicurargli una buona conservazione o poteva anche essere affumicato.
Il vino, poi, veniva conservato in delle anfore e mescolato con acqua fredda o calda e bevuto in coppe assai larghe. Il vino dei primi secoli era però una semplice bevanda alcolica da degustare in occasioni di festa. Solo dopo Cesare, in età imperiale, assunse una precisa identità con diverse tipologie, come il vinum atrum, quello rosso, il vinum candidum, quello bianco, e altre diverse qualità.
L’olio, l’oro verde di Roma
Dopo la diffusione della coltura dell’olivo, introdotta nel Lazio intorno al VI secolo a.C., i romani impararono a spremere l’olio e a nutrirsi delle olive. L’olio ottenuto dalla torchiatura era piuttosto denso e per tale ragione il luogo di conservazione veniva riscaldato per evitare che si addensasse. Per questo, spesso, anche l’ambiente veniva riscaldato con il fuoco e l’olio assumeva un tipico sapore di affumicato.
Esistevano diverse varietà di olio:
- oleum acerbum, quello prodotto dalle olive cadute ancora bianche;
- oleum viride, quello prodotto con le olive cadute e annerite;
- olei flos, quello vergine, proveniente da una leggera torchiatura;
- oleum sequens, quello prodotto da una seconda torchiatura.
L’olio rappresentava una grande fonte di ricchezza per i romani, che lo utilizzavano non solo per insaporire le pietanze, ma anche a scopi commerciali. Era, dunque, una grande fonte di guadagno. L’olio di qualità era molto costoso e per questo spesso si utilizzava l’oleum cibarum, un olio per uso quotidiano, meno pregiato del costoso olio vergine.
La suddivisione dei pasti nell’alimentazione romana
Solitamente gli antichi romani consumavano tre pasti principali durante la giornata. Il primo pasto era il jentaculum, ovvero la prima colazione, che avveniva tra la terza e la quarta ora, cioè tra le otto e le nove del mattino. Era un pasto piuttosto leggero, solitamente a base di formaggio, pane e frutta, ma spesso ci si accontentava anche di bere un semplice bicchiere di latte o di acqua. Il secondo pasto della giornata era il prandium, che si consumava tra la sesta e la settima ora, ovvero verso mezzogiorno. Anch’essoera un pasto rapido e freddo, a base di verdura, pesce, uova e funghi, di solito accompagnato da un buon vino.
Sono molte le testimonianze dei prandiă di personaggi celebri. Seneca, ad esempio, si accontentava di una fetta di pane con un po’ di carne fredda, mentre Plinio il Vecchio consumava un pasto altrettanto veloce e semplice prima di andare a concedersi un breve riposo.
La coena, che avveniva tra la decima e l’undicesima ora, quindi tra le sedici e le diciassette, era il pasto più ricco e consistente della giornata. Solitamente l’abbondanza e la durata variavano in rapporto alla ricchezza della popolazione. Le classi più abbienti erano solite fare cene lussuose a base di numerose portate di pesce o carne, condite con miele e frutta secca e accompagnate da vini pregiati. Le classi medio-basse, invece, consumavano un pasto a base di legumi, verdure e formaggi.
L’arte del banchetto
Nell’antica Roma il banchetto non era solo un modo conviviale di passare il tempo e cenare insieme, ma una vera e propria arte. Durante i banchetti, infatti, si preparavano prelibatezze a base di cerne o pesce, che venivano servite dopo il gustus, cioè l’antipasto, sempre accompagnato dal mulsum, vino mescolato al miele.
I romani avevano l’abitudine di mangiare sdraiati sul gomito sinistro, molto probabilmente dietro l’influenza dei popoli orientali. Quell’abitudine non era solo una moda, ma un segno di superiorità sociale che li distingueva dalla plebe, dai servi e dagli schiavi. I convitati erano sdraiati l’uno accanto all’altro, scalzi, sui famosi tre letti del triclinium, ambiente delle case romane in cui si svolgeva il banchetto. Tutta la cena si basava sul numero tre e i suoi multipli: attorno a un tavolo quadrato erano disposti tre letti inclinati, di bronzo o legno, rivestiti da pesanti stoffe e materassi in piume. Il minimo di invitati ammessi attorno al tavolo era tre e il massimo nove. Quindi, se fossero stati presenti altri commensali, si sarebbe apparecchiato un altro tavolo con tre letti e così via.
Il lusso, la sacralità e l’appariscenza dei banchetti era una parte fondamentale del mito della tavola. Tra una portata e l’altra, alcune danzatrici, acrobati, musici o mangiatori di fuoco intrattenevano gli invitati. La tavola per i romani rappresentava un luogo sacro e la cena era un momento propizio per la convivialità e per questo motivo assumeva un carattere sacro.
Street food nell’antichità
A Roma non si mangiava solo nella grandi domus romane, ma anche le strade erano piene di quello che oggi chiameremmo streetfood. I luoghi di ristoro in città erano diversi: la teberna, il thermopholium, la popina (che oggi chiameremmo bar), l’hospitia (una sorta di hotel che disponeva anche di un ristorante). Di solito, soprattutto nel corso della giornata, era in quei posti che ci si fermava per mangiare velocemente e bere un buon bicchiere di vino.
In questi piccoli negozietti sparsi per le vie della città si potevano degustare zuppe di legumi o cereali, carni, pesci, pane, focacce, frutta secca e persino alcuni dolciumi, come i datteri farciti, o le crostula, simili agli odierni biscotti.
Tali strutture disponevano di un bancone che si affacciava direttamente sulla strada e che conteneva i dolia, grandi contenitori nei quali si conservavano gli alimenti o il vino.
Conclusioni
L’alimentazione romana era, dunque, varia ed equilibrata. Le verdure, i legumi e la plus per secoli rappresentarono la base della piramide alimentare della popolazione dell’antica Roma. Tuttavia, con il passare del tempo, il consumo della carne, del pesce e dei formaggi aumentò drasticamente, cambiando notevolmente le abitudini alimentari degli antichi romani. Il miele e l’olio erano altrettanto essenziali per preparare deliziosi piatti, mentre il vino acquisì man mano più importanza fino ad assumere una precisa identità come bevanda alcolica. Il pasto principale, al contrario di oggi, era la cena, che si poteva svolgere nei banchetti aristocratici, per i ricchi patrizi, o per strada, nelle numerose “tavole calde dell’antichità”, o nelle proprie dimore.
Marta Barbiero per Questione Civile
Bibliografia
A. Angela, Una giornata nell’antica Roma. Vita quotidiana, segreti e curiosità, Milano, Mondadori Libri, 2018.
A. Dosi, G. Pisani Sartorio, Ars Culinaria. Dal Piemonte alla Sicilia, i piatti degli antichi Romani sulle loro (e le nostre) tavole, Roma, Donzelli Editore, 2012.
G. Gentilini, I cibi di Roma Imperiale. Vita, filosofia e ricette del gastronomo Apicio, Milano, Edizioni Medusa, 2004.
P. Drachline, C. Petit-Castelli, L’arte della tavola nella Roma Imperiale, 110 ricette degli antichi Romani riscoperte per i buongustai d’oggi, Milano, SugarCo Edizioni, 1985.