Sulle tracce della Dama col liocorno dipinta da Raffaello Sanzio
L’Archivio di Storia dell’Arte ha deciso di dedicare una serie di articoli a uno dei maggiori artisti del nostro Rinascimento, di cui quest’anno celebriamo i cinquecento anni dalla morte: Raffaello (Urbino, 6 aprile 1483 – Roma, 6 aprile 1520). Oggi ripercorreremo la storia dell’enigmatico ritratto noto come Dama col liocorno. Questo ritratto è esposto presso il Museo di Galleria Borghese, insieme a un altro celebre dipinto dell’Urbinate, La deposizione di Cristo o Pala Baglioni.
Chi è la Dama col liocorno?
Non ci sono documenti o fonti contemporanee che ci aiutino a capire a chi appartenne il volto dipinto da Raffaello. Tuttavia, osservandola meglio, è possibile trovare alcuni indizi che ci consentono di riconoscere certamente una nobildonna fiorentina vissuta verosimilmente nel primo decennio del Cinquecento. Infatti, i capelli sono raccolti in una lunga e folta treccia che cade sulle spalle, pettinatura molto di moda a Firenze all’inizio del nuovo secolo, così come la veste che indossa, chiamata “gamurra”, molto simile all’abito del ritratto di Maddalena Doni, eseguito da Raffello nel 1506.
Perché venne ritratta questa giovane donna?
Non conoscendo la sua identità è difficile stabilire i motivi della committenza con assoluta certezza. Il pittore, però, ci ha lasciato interessanti indizi che ci inducono a credere possa trattarsi di un dipinto eseguito in occasione di un matrimonio.
La giovane donna, infatti, indossa un pendente formato da un grosso rubino di taglio squadrato, incastonato in oro, con volute di smalto bianco. Inoltre è sormontato da uno smeraldo e concluso da una grande perla scaramazza a forma di pera.
Il rubino era considerato simbolo di passione e felicità, lo smeraldo era beneaugurante, mentre la perla, che veniva estratta dalle conchiglie, era ritenuta il simbolo per eccellenza dell’Immacolata Concezione e, perciò, di verginità. Forse, quindi, questo prezioso gioiello era stato donato dallo sposo alla sua futura moglie.
Ma l’elemento che conferma ancor di più questa ipotesi è il piccolo liocorno che tiene tra le braccia. L’animale mitologico era, infatti, considerato simbolo di castità e secondo la tradizione letteraria poteva essere domato solo da una vergine.
La Dama col liocorno entra nella collezione Borghese, ma…
Quando il dipinto fu acquisito dai Borghese ̶ famiglia tra le più potenti a Roma dopo l’elezione di Camillo come Papa Paolo V ̶ non era come noi lo vediamo oggi e come lo aveva dipinto Raffaello in origine. L’immagine raffigurata era quella di Santa Caterina, con il medesimo volto della giovane fiorentina, ma con un manto a coprirle le spalle e la ruota del martirio al posto dell’animaletto.
Dunque, in un momento non meglio precisato il dipinto era stato trasformato da un ritratto alla raffigurazione di una santa. In particolare, Santa Caterina dovette essere molto venerata dalla famiglia Borghese, in quanto tradizionalmente patrona della cultura. Questo è possibile dedurlo dagli inventari degli oggetti da loro posseduti, dove furono registrati numerosi dipinti con Santa Caterina.
Nell’inventario del 1615-30 se ne contano cinque, e tra queste una di dimensioni 23×34 palmi romani, ovvero circa 65×53 centimetri, molto vicino alle dimensioni della nostra Santa Caterina (Dama col liocorno), che misura 67×56 centimetri. Tuttavia, il nostro dipinto potrebbe invece essere quello passato in eredità ai Borghese nel 1769 insieme agli altri beni del principe Aldobrandini.
Ma, il dipinto non era più attribuito a Raffaello
Tra Seicento e Ottocento l’attribuzione a Raffaello si perde e negli inventari borghese (1819/1833) l’opera viene riferita a Perugino, maestro dell’Urbinate. Alla fine dell’Ottocento alcuni studiosi propongono un altro artista toscano, Ridolfo del Ghirlandaio, e più tardi Andrea del Sarto. Nel 1897 lo storico dell’arte Giovanni Morelli riconosce in un disegno di mano di Raffaello, conservato a Parigi, il prototipo dell’allora Santa Caterina.
In seguito, il critico Roberto Longhi scrisse un interessante articolo (in «Vita artistica», 1927). In esso attribuiva senza alcun dubbio il dipinto a Raffaello, ritenendolo «la terza libera interpretazione offertaci da Raffaello del famosissimo esemplare di Leonardo». Riconosce quindi la somiglianza con la Maddalena Doni (Firenze, Galleria degli Uffizi) e La Muta (Urbino, Galleria Nazionale delle Marche). A corredo del saggio pubblicò anche un’immagine frutto di un fotomontaggio.
Esso spogliava la Santa dei suoi attribuiti per mostrare secondo lui come doveva apparire in origine il dipinto. Dopo un’attenta osservazione Longhi, infatti, aveva rilevato che nella porzione inferiore era presente uno strato di pittura più spesso e diverso rispetto al resto della superficie.
Cosa si nascondeva sotto la ruota della Santa?
Nel 1933 per volontà dell’allora Direttore della Galleria Borghese, Achille Bertini Calosso, fu eseguita una delle prime indagini radiografiche in Italia. Questo fu possibile grazie ai finanziamenti del Fogg Museum di Harvard. Le tre lastre svelarono un’immagine molto diversa da quella visibile a tutti. La radiografia rese possibile osservare gli strati inferiori del dipinto, ovvero quelli più antichi. Nella parte inferiore in corrispondenza delle ridipinture fu possibile vedere emergere un cane e le mani originarie, mentre il pesante mantello svaniva.
Grazie a queste indagini diagnostiche si comprese che il dipinto aveva subito una serie di modifiche nel corso degli anni, anche se ancora non è possibile stabilirne i motivi.
In origine, infatti, l’effigiata aveva tra le braccia un cane, trasformato solo in un secondo momento in un liocorno, che poi scomparve del tutto con la sovrapposizione della ruota di Santa Caterina.
Il restauro: da Santa Caterina a Dama col liocorno
In seguito a un acceso dibattito tra studiosi si decise di eseguire il restauro riportando l’immagine come doveva essere prima delle ridipinture che avevano trasformato la Dama in Santa Caterina. Nel 1935, Augusto Principi Cecconi eseguì il restauro. Fu distrutto il supporto ligneo originale e la pellicola fu trasportata su tela, a sua volta applicata sopra una nuova tavola di compensato. Successivamente, si procedette alla delicatissima operazione di rimozione a lama delle parti ridipinte. Dopo il restauro non vi furono più dubbi circa l’autografia raffaellesca.
La Dama col liocorno ci consente oggi, insieme agli altri ritratti eseguiti durante il soggiorno fiorentino, di ricostruire l’evoluzione dello stile di Raffaello in seguito alla visione della Gioconda di Leonardo.
La Dama con liocorno in occasione della mostra alle Scuderie del Quirinale
Sebbene la sua identità non possa essere confermata da prove certe, recentemente, in occasione della mostra celebrativa del pittore “Raffaello 1520-1483” presso le Scuderie del Quirinale (Febbraio – Agosto 2020), è stata proposta l’identificazione della giovane con Maddalena Strozzi.
La nobildonna andò in sposa ad Agnolo Doni il 31 gennaio del 1504, ovvero i coniugi ̶ ancora esposti in coppia presso gli Uffizi ̶ ritratti da Raffaello dopo le nozze. Il dipinto borghese ritrarrebbe la donna già promessa al Doni, come indicherebbe il possente gioiello nuziale, ma ancora nubile se leggiamo nella scelta di raffigurare un liocorno, un riferimento al quartiere dove risiedeva la sua famiglia di origine, gli Strozzi, noto come Gonfalone dell’Unicorno. Questa ipotesi, seppur suggestiva, pone tuttavia una serie di interrogativi che non hanno ancora trovato risposta nelle fonti documentarie.
To be continued: Se volete scoprire qualcos’altro su Raffaello continuate a seguirci, nel prossimo articolo vi sveleremo il segreto del suo successo in continua ascesa dalla sua morte sino a noi.
Ilaria Arcangeli per Questione Civile