La linguistica cognitiva: un approccio alla semantica e alle scienze cognitive
Oggi l’Archivio di Letteratura intende esplorare una branca delle scienze umanistiche spesso riservata agli studiosi e ritenuta troppo tecnica per i contenuti divulgativi, ovvero la linguistica. Disciplina dal grande rigore metodologico, gode tra l’altro di innumerevoli progressi compiuti alla luce delle recenti ricerche.
Riteniamo dunque sia giusto rendere giustizia ad un settore disciplinare pieno di spunti interessanti, sia per la comprensione delle facoltà verbali umane, che dell’interazione di queste ultime con l’aspetto cognitivo. Per questo motivo, il seguente contributo tratta alcune questioni di linguistica cognitiva.
La linguistica cognitiva: la semantica e i suoi possibili approcci
La semantica è il settore della linguistica che si occupa dello studio del significato. Ma è altrettanto facile definire cosa si intenda comunemente per “significato”? La nozione di significato è per certi versi difficile da definire, specialmente se pensiamo alla sua relazione con concetti altrettanto nebulosi quali l’informazione e il contenuto, associati spesso all’espressione linguistica. La difficoltà di definire la nozione di “significato” dipende dalla relazione del mondo linguistico con quello extralinguistico. La relazione tra il linguaggio, il pensiero e la realtà è ciò che rende, sebbene molto affascinante, altrettanto complesso l’approccio alla semantica. A seconda delle possibili risposte alla domanda precedentemente posta, derivano i diversi possibili approcci alla semantica.
Lo schema proposto dai due teorici, Ogden e Richards, detto “triangolo semiotico”, permette di comprendere i tre elementi coinvolti nel processo di significazione. Al vertice in basso a destra vi è il significante, che in altri schemi è segnato come “simbolo”. Al vertice in alto si trova il significato o pensiero, mentre al vertice in basso a sinistra c’è il referente, ovvero l’entità extralinguistica coinvolta. Si può dire che l’espressione linguistica (il significante) si riferisca al referente tramite la mediazione del pensiero o di un concetto, che abbiamo definito più tecnicamente come “significato”.
L’approccio cognitivista
Questa prospettiva di analisi del triangolo semiotico concede una grande importanza al pensiero e perciò viene riassunta sotto l’etichetta di “approccio cognitivista”. Altri due possibili approcci sono quello referenzialista e quello strutturalista. Secondo il primo, il significato deriva dalla relazione tra il significante e la realtà extralinguistica cui si riferisce. Non appare la mediazione del pensiero, che risulta invece fondamentale secondo l’approccio cognitivista.
Infine, l’ultimo possibile approccio di natura strutturalista si basa sull’irrilevanza dell’elemento extralinguistico. Per i teorici strutturalisti è come se il pensiero non esistesse al di fuori della sua espressione linguistica. Questo trova una sua controprova anche nella corrente filosofica e letteraria dello Strutturalismo, che si sviluppa nella prima metà del XX secolo. La corrente letteraria e filosofica vanta tra i suoi teorici principali nomi quali l’antropologo Levi Strauss, il filosofo Lacan e il critico letterario Sklovskij.
La semantica cognitiva e la natura concettuale del significato
Questo approccio, sviluppatosi nell’ambito della linguistica cognitiva, è sorto negli Statu Uniti tra gli anni Settanta e Ottanta del secolo scorso. La sua origine si può rinvenire nella forte critica verso la grammatica generativa, emblematicamente rappresentata dal linguista e attivista statunitense Noam Chomsky. Le posizioni della linguistica cognitiva, in particolar modo della semantica, affermano la mancata autonomia del linguaggio, considerata alla stregua di una facoltà mentale come tutte le altre. La facoltà del linguaggio comincia dunque a non essere considerata come un’entità autonoma, bensì come una facoltà le cui caratteristiche dipendono dal funzionamento della mente umana.
Se ne deduce che il linguaggio si può comprendere solo in relazione ad altre facoltà cognitive. La conclusione a cui arriva la prospettiva cognitivista è che il significato non sia inteso come un fenomeno linguistico, bensì che sia il risultato di un processo cognitivo. Il significato ha dunque alle proprie spalle una natura concettuale, perciò dietro i significati linguistici si intuisce che ci sono sempre dei contenuti mentali.
La prospettiva, definita da alcuni studiosi “mentalista”, arriva a concepire un approccio olistico alla linguistica, che veda le facoltà verbali “incarnate” nella dimensione fisica. È questo recente approccio che ha stabilito un’intima connessione tra le strutture concettuali e l’esperienza corporea, riassumibile col nome di embodied theory. La teoria “incarnata” ha inizialmente suscitato molte critiche presso i linguisti strutturalisti e presso le concezioni più tradizionali della disciplina. Al momento invece sta cominciando a rivoluzionare il modo di pensare al linguaggio e alle facoltà verbali umane.
I processi cognitivi e il linguaggio
In queste teorie embodied un ruolo di primo piano è svolto dalle caratteristiche morfologiche del corpo fisico nella genesi e nello sviluppo delle facoltà mentali. L’informazione linguistica è fondata sull’interazione tra il corpo e l’ambiente fisico e perciò non rimane prettamente astratta, ma coinvolge anche aspetti del sistema motorio e somato-sensoriale.
Si assiste negli anni Ottanta al superamento delle teorie computazionali della mente, risalenti agli anni Sessanta. Queste ultime prevedono che il cervello e il corpo siano entità separate e che il sistema cognitivo trasformi i dati in input in maniera deterministica. Si comprende che la computazione cognitiva non avviene in modo indipendente dal corpo fisico. Se ne deduce che la cognizione è incarnata e che il sistema motorio non è un semplice esecutore di comandi. Secondo una formula felice del neurofisiologo Giacomo Rizzolatti:
“il cervello che agisce è innanzitutto un cervello che comprende”
Giacomo rizzolatti
Questa affermazione sottolinea come il sistema motorio sia coinvolto in processi di elaborazione direttamente legati al sistema cognitivo.
Il vero cuore della scoperta del prof. Rizzolatti è stata l’identificazione e la definizione dei “neuroni specchio”, così definiti per la loro capacità di attivarsi non solo quando viene compiuta un’azione, ma anche riflettendo le azioni degli altri. Questo sistema specchio conferisce validità alle teorie incarnate che ambivano a superare definitivamente la teoria computazionale. Il sistema specchio ha un’importanza nella comprensione preconcettuale dell’azione: osservare l’atto motorio significa che nell’osservatore si attiva lo stesso circuito neuronale.
Le conseguenze per la teoria del linguaggio
Sebbene gli studi del prof. Rizzolatti siano stati condotti sulla corteccia premotoria dei macachi, la validità dei risultati è stata poi comprovata anche per l’attività neuronale umana. Le conclusioni che se ne possono trarre sono molteplici. In primo luogo, l’approccio embodied smette di considerare il corpo come un mero esecutore di comandi e rifiuta che l’azione sia governata da meccanismi cognitivi di natura astratta. Inoltre, si supera il dualismo mente-cervello e percezione-azione, e si arriva a comprendere che le varie componenti sono integrate al fine di interagire con l’ambiente fisico e sociale. Il linguaggio, perciò, lungi dall’essere un modulo cognitivo isolato, è il prodotto di aree destinate a varie funzioni organizzate in reti neurali.
Da un approccio teorico come quello cognitivista, passando per le recenti scoperte della neurofisiologia, sino ad arrivare ad una teoria integrata tra il corpo e la mente detta embodied, abbiamo scoperto quanto possa essere interessante e vivace discutere di linguistica, ancor di più se con un approccio semantico di natura cognitivista.
Giulia Marianello per Questione Civile