La nascita della teorie economiche moderne
Nonostante gli sforzi degli storici dell’economia, ad oggi risulta molto complesso riuscire ad individuare una data esatta o un periodo storico concreto che sia possibile citare come nascita o anno zero dell’economia politica e delle teorie economiche vere e proprie.
Le origini delle teorie economiche nell’antichità
Innanzitutto, è importante sottolineare che la parola “Economia” deriva dal greco οἴκος – oikos – (“casa“, inteso anche come “beni di famiglia“) e νόμος – nomos – (“norma, legge”) e stava ad indicare nella sua naturale origine l’insieme delle regole per la buona amministrazione della casa.
Le basi principali dell’economia possono essere rintracciate in molti autori che hanno affrontato l’argomento anche con una certa ampiezza.
Le primissime tracce però possono essere rinvenute a cavallo tra l’VIII ed il VII secolo a. C. nelle opere di Esiodo, la Teogonia e Le opere e i giorni. In Teogonia, nel racconto del Mito di Pandora, tra i mali che vengono liberati dal vaso di Pandora vi è anche la scarsità. Senza la scarsità non vi sarebbero neppure lo scambio e i prezzi. In Le opere e i giorni, con riferimento alla gestione di un’impresa agricola, compare il concetto di efficienza.
Senofonte, Platone e Aristotele
Un’altra traccia è senza dubbio quella lasciata da Senofonte, il quale, in netto contrasto con Platone, nella sua opera Economico sottolinea l’importanza dell’aspetto economico, non solo con riferimento alla gestione familiare, ma estendendo tale concetto ad entità collettive quali l’esercito e lo Stato. Senofonte sosteneva strenuamente che la suddivisione efficiente del lavoro nei campi portava ad un incremento della produttività dei terreni stessi.
Se Platone ha espresso le sue valutazioni e riflessioni sull’economia allora non può mancare nel novero degli autori dell’antichità Aristotele, il quale aveva avanzato delle riflessioni sul concetto di scambio suddividendolo in scambio naturale e scambio non naturale. Il primo riguardava la soddisfazione dei bisogni umani primari e quindi fisicamente limitati, mentre il secondo aveva una funzione finanziaria e quindi carattere potenzialmente illimitato.
Peraltro, importate da sottolineare è il fatto che Aristotele esprimeva un giudizio soprattutto etico, considerando giusto e necessario l’uso della moneta ed il commercio solo se riferiti all’ambito “naturale” della soddisfazione dei bisogni primari.
Le teorie economiche nel medioevo
Le riflessioni di Aristotele rappresentarono fonte di illuminazione per la Scolastica medievale e soprattutto per Tommaso d’Aquino.
Infatti, nell’epoca medievale prevalse indiscutibilmente il dibattito teologico sugli argomenti di natura prettamente economica come l’usura, ossia i prestiti ad interesse, e la quantificazione della giusta ricompensa del venditore.
La dottrina di Tommaso d’Aquino venne ripresa nel XVI secolo e potenziata dalla Scuola di Salamanca, la cosiddetta “scolastica spagnola”, fondata dal domenicano Francisco de Vitoria O.P.
In età medievale ci fu un contributo alle teorie economiche anche da parte del mondo arabo.
Il massimo storico e filosofo arabo del Maghreb Ibn Khaldun, nelle sue opere, i Prolegomena, avanzò le basi della teoria politica ed economica mostrando come la densità della popolazione fosse collegata alla divisione del lavoro. Quest’ultima produceva crescita economica, che provocava, a sua volta, un aumento della popolazione, creando così un circolo virtuoso.
Peraltro, il lavoro di Khaldun è stato pionieristico per la creazione della curva di Laffer-Khaldun, consistente in una funzione a forma di “U” rovesciata che pone in relazione il gettito fiscale con le aliquote, risultata utile e necessaria per gli studiosi posteriori.
Successivamente, anche la fase del protestantesimo contribuì con una prima formulazione del concetto di “libero scambio”, riproposto più in termini normativi da Ugo Grozio.
Gli stati-nazione e le declinazioni economiche della politica
Tutti i maggiori studiosi del settore sono concordi sul fatto che la nascita degli Stati-nazione in epoca moderna abbia gradualmente provocato un distacco della politica di Stato dall’etica pubblica.
A tal proposito, una delle più influenti personalità nel capo della dottrina politica fu Niccolò Machiavelli, il quale, nella sua opera Il Principe, non si chiedeva più se l’agire politico fosse “giusto” in quanto aderente al principio della giustizia naturale, ma solo se fosse “idoneo” al conseguimento dell’unico fine politico, ossia il mantenimento dello Stato e delle sue istituzioni politiche.
Le prime riflessioni economiche in senso moderno iniziarono ad affermarsi proprio in quest’epoca, tali per cui erano proprio caratterizzate dalla ricerca della strada più conveniente per assicurare la stabilità e la continuità degli Stati-nazione.
In età moderna
Tra il XVI ed il XVIII secolo si svilupparono le teorie cosiddette “mercantiliste”. Queste teorie stabilivano, in breve, che per conservare potere economico e politico, lo Stato doveva agire in modo da assicurarsi un saldo positivo della bilancia commerciale, incentivando le esportazioni e limitando le importazioni, in quanto ciò avrebbe provocato un aumento della disponibilità dei metalli preziosi usati nei pagamenti internazionali da parte dello Stato-nazione.
Tale impostazione presupponeva non solo una concezione della ricchezza intesa come “stock”, cioè come un “fondo” concreto ed immutabile, costituito da una certa quantità di metalli preziosi (da cui le riserve auree di Stato), ma presupponeva anche che la ricchezza di un Paese non potesse aumentare se non a scapito di un altro tendenzialmente di pari capacità di esportazione.
Il filosofo ed economista britannico William Petty contrapponeva al metodo logico-deduttivo della Scolastica medievale una «aritmetica politica» basata sulla misurazione quantitativa dei fenomeni rilevanti ai fini della potenza dell’Inghilterra, calcolata sulla base di quattro indicatori fondamentali: la popolazione, la produzione, il prelievo fiscale e la spesa pubblica.
Le politiche mercantiliste vennero adottate in Francia dall’economista e politico francese Jean-Baptiste Colbert, purtroppo però con scarso successo a causa delle folli spese militari di Luigi XIV.
Infatti, nonostante la sua opera fu diretta principalmente ad accrescere la ricchezza del suo Paese, incoraggiandone lo sviluppo industriale e coloniale, modernizzando le finanze pubbliche francesi salvandole dalla bancarotta e facendo raggiungere il pareggio di Bilancio dello Stato, la sua opera risanatrice fu gravemente ostacolata dalle enormi spese del sovrano per il finanziamento delle sue politiche militari espansioniste.
La teoria di Quesnay
In contrapposizione a quest’ultimo si pose l’economista francese François Quesnay, il maggior rappresentante della Fisiocrazia. Questa teoria economica sosteneva che l’agricoltura fosse il solo settore che consente un aumento reale della ricchezza e quindi la Francia, grazie all’ampia disponibilità di terreni coltivabili, avrebbe dovuto privilegiare l’agricoltura piuttosto che le attività manifatturiere.
Inoltre, Quesnay insieme ai suoi seguaci, detti “fisiocratici”, sosteneva che la Francia dovesse privilegiare l’agricoltura anche rispetto al commercio internazionale. Ciò comportava anche l’abolizione delle pratiche protezionistiche di matrice mercantilista.
Ad ogni modo, è cosa ormai nota agli storici delle dottrine economiche che furono proprio i fisiocratici i primi a coniare l’espressione “laissez-faire” nell’ambito economico, espressione che poi divenne nel corso dei secoli il principio cardine della dottrina economica liberista.
La ricerca sulle dottrine economiche moderne non finisce qui!
Alessio Fedele per Questione Civile
Immagine in evidenza
Seaport at sunrise, un porto marittimo francese dipinto da Claude Lorrain durante l’era del mercantilismo.