Spaghetti western: dal successo al declino
Siamo negli anni Sessanta. La portata leggendaria dei film western americani degli anni Trenta e Quaranta è ormai un ricordo lontano e un po’ sbiadito.
C’è però tanta nostalgia del “genere americano per eccellenza”, come lo definisce il critico cinematografico André Bazin.
In molti escludono che il filone rappresentante il mito della conquista dei territori dell’Ovest e la nascita della nazione americana possa tornare alla ribalta.
Invece, chi poteva prevedere che sarebbe stato proprio il cinema italiano a determinare la rinascita e l’innovazione di un genere tipicamente statunitense?
Nascita e sviluppo degli Spaghetti western
Negli anni Sessanta, mentre il cinema americano affronta un periodo di profonda crisi, quello italiano vive uno dei momenti di massimo sviluppo e produzione. Ciò spinge molti registi e produttori ad addentrarsi in generi cinematografici fino ad allora tipicamente statunitensi, uno tra tutti il western.
L’inizio per queste produzioni italiane non è semplice; con pochi mezzi e budget ridotti, i primi film western all’italiana vengono accolti piuttosto freddamente e con diffidenza dalla critica e dal pubblico.
Basta pensare all’espressione coniata dagli americani, “Spaghetti western”, che fa ben capire il senso di disprezzo e il pregiudizio nei confronti di questo genere di film.
La trilogia del dollaro
Dopo una serie di tentativi filmici di poco rilievo, nel 1964 esce il film a basso costo, Per un pugno di dollari, girato da Sergio Leone e con protagonista un attore di serial televisivi, Clint Eastwood, la cui carriera sembrava ormai finita.
Il regista si ispira a John Ford, l’autore del western classico per eccellenza, decidendo così di sfidare il cinema americano sul suo stesso terreno.
Il film rivoluziona i canoni del western americano e si rivela un grande e inaspettato successo internazionale; questo spinge il regista italiano a dare inizio alla cosiddetta “Trilogia del dollaro”, seguito poi da una serie di film più ambiziosi e più profondi come C’era una volta il West (1968).
La notorietà ottenuta dalla pellicola di Sergio Leone induce molti produttori e registi ad investire sul genere western, raggiungendo ottimi riscontri.
Attorno ai personaggi più popolari di questo filone, come Django, vengono create delle vere e proprie saghe, alle volte composte anche da una decina di film.
Inoltre, vi è da ricordare uno dei sottogeneri del filone del western all’italiana che ha avuto più fortuna: quello della commedia. Un esempio riguarda la saga di film con l’accoppiata Bud Spencer e Terence Hill, le cui pellicole rappresentano una divertente parodia dei film degli spaghetti western.
Western all’italiana e western americano a confronto
Per quanto riguarda la regia, il western predilige sempre campi lunghi, con lo scopo di rappresentare al meglio il paesaggio naturale vasto ed incontaminato del selvaggio West.
Il western all’italiana, però, si differenzia per aver sperimentato tecniche registiche più complesse e innovative, come la frammentazione, ellissi narrative e primissimi piani. Per fare un esempio, nei film di Leone è presente un particolare interesse per i dettagli; infatti molte inquadrature si soffermano sul volto e sugli sguardi dei personaggi, trasmettendo un senso di tensione tale da ottenere la completa attenzione dello spettatore.
Uno degli aspetti che più distingue il western italiano da quello americano è la caratterizzazione dei personaggi. Mentre nei film di Ford viene rappresentato il tipico eroe salvatore che agisce sempre con le più onorevoli intenzioni, nelle produzioni di Leone i protagonisti sono spesso pistoleri solitari, cinici e di poche parole, i quali affrontano una serie di prove senza alcuna motivazione ideale.
Insomma, anche se sono personaggi in generale positivi, si parla sempre di antieroi, le cui azioni nascono dall’avidità di denaro o da un desiderio di vendetta.
La distinzione tra il buono o il cattivo non è più così chiara; è anche vero, però, che i protagonisti degli spaghetti western trasmettono molto più realismo e fascino degli eroi perfetti ed idealizzati del western classico.
I ruoli della donna e del nativo americano
Parliamo ora di due figure poco presenti nel western all’italiana: quella della donna e quella del nativo americano. Nei film di Ford si va a sostenere l’espansionismo coloniale tramite, soprattutto, l’obiettivo di civilizzazione dell’indiano, rappresentato come un nemico barbaro e violento che è doveroso piegare.
Ecco, nel western all’italiana il nativo americano è praticamente assente, forse perché, essendo produzioni italiane, la tematica della guerra ai “pellerossa” non è così sentita e giustificata come in America.
Altro caso simile è quello della figura femminile. Mentre nel western degli anni Trenta la donna acquisisce molto più dinamismo ed indipendenza, nelle produzioni italiane viene messo in scena un mondo molto più maschile nel quale la donna ha un ruolo marginale, di contorno o è addirittura assente.
Forse un’eccezione riguarda il film C’era una volta il West, dove l’affascinante attrice Claudia Cardinale ricopre una posizione di maggiore rilievo nel racconto.
La rappresentazione della violenza
Un altro elemento di innovazione e, direi, anche di trasgressione del cinema western italiano è la rappresentazione esplicita della violenza. I massacri, le sparatorie e le impiccagioni vengono esibite senza lasciare nulla all’immaginazione.
In particolare, i duelli finali rappresentano il momento più cruciale e intenso della narrazione, ed è per questo che non possono essere lasciati fuori campo.
In questo caso la morte non solo viene mostrata, ma viene addirittura spettacolarizzata senza alcuna censura.
Ultima particolarità degli spaghetti western è il ruolo del suono. Grazie al talento dei compositori di quegli anni, uno tra tutti il compianto Ennio Morricone, la musica diventa parte integrante del racconto arrivando a sostituire i dialoghi. I suoni anticipano l’azione, hanno una funzione di guida e rendono il racconto più emozionante e dinamico. Non a caso ancora oggi alcune colonne sonore vengono riprese, una tra tutte quella del film Il buono, il brutto, il cattivo (1966), brano facente parte dell’immaginario collettivo.
Declino e omaggi degli Spaghetti western
Sebbene il grande successo tra gli anni Sessanta e Settanta, il genere degli spaghetti western non è riuscito a evitare il destino della maggior parte dei generi cinematografici. Inizia, infatti, a scomparire quasi totalmente negli anni Ottanta e Novanta, con una produzione drasticamente ridotta rispetto a prima.
Tuttavia, non sono mancati numerosi film che omaggiassero e facessero riferimenti al filone del cinema western all’italiana. Uno tra tutti Gli Spietati (1992), che vede non a caso come regista Clint Eastwood, icona del genere, il quale dedica il suo film proprio al regista Sergio Leone.
C’è poi il ben noto regista Quentin Tarantino, il quale ha sempre affermato di essersi avvicinato al cinema grazie alle pellicole di Leone. Il suo film Django Unchained (2012) richiama già dal titolo la famosa saga degli anni Sessanta di Sergio Corbucci. Il film di Tarantino, oltre che inserire nella scena finale la colonna sonora di Lo chiamavano Trinità… (1970), prevede anche un cameo di Franco Nero, attore protagonista della pellicola originale.
C’è poi da citare un altro film western dello stesso regista, The hateful eight (2015), che vede come autore della colonna sonora da Oscar Ennio Morricone.
In conclusione, l’importanza del western all’italiana sta soprattutto nell’essere il caso più duraturo di “film di genere” nella storia del cinema italiano, dopo la commedia all’italiana, con la produzione di oltre 400 pellicole tra gli anni Sessanta e Settanta. Inoltre, tale filone ha il merito di aver riportato in auge, al livello internazionale, un genere cinematografico ormai in declino.
Camilla Miolato per Questione Civile