The West and the Rest: un tentativo di riscrittura dell’archivio coloniale di Edward Said
È una critica serrata al modo con cui il mondo occidentale ha rappresentato l’oriente ciò su cui verte Orientalism, celebre saggio del 1978, frutto degli studi del critico e teorico letterario statunitense Edward Said. Oltre a vantare di un brillante curriculum quale docente presso la Columbia University, Said si mostra fiero delle proprie origini palestinesi che lo distinguono dal resto del mondo accademico americano, rendendolo una voce critica nei confronti delle rappresentazioni stereotipate ed univoche che interessano il mondo orientale.
Grazie ad una produzione culturale sterminata che mostra un forte interesse per il rapporto che intercorre tra il potere e le manifestazioni culturali, come si evince da Culture and Imperialism (1993), Said spicca nel settore dei Cultural Studies nella cosiddetta Holy Trinity assieme ai due teorici e docenti di origine indiana H. Bhabha e G. Spivak.
Edward Said e i rapporti con la teorizzazione di Gramsci
L’ambizione del saggio e dell’attività letteraria di Said mettono in guardia gli studiosi dalla pretesa neutralità del sapere professato dal mondo accademico americano. Consapevole dei pregiudizi e delle rappresentazioni eurocentriche che interessano il mondo orientale, Said distingue nel saggio tra sapere puro e sapere politico, proclamando l’impossibilità del primo di mantenersi tale. La visione dell’oriente ritratta dalle potenze coloniali ed inevitabilmente comporta che determinati sistemi di idee, prodotto di una società egemone, offuschino le potenzialità e le diversità insite in culture minoritarie e marginali. L’ambizione sottesa ad Orientalism è dunque quella di smascherare la pretesa universalità e neutralità del sapere professato dall’ambiente accademico e politico occidentale, evidenziando al contrario come alla base del sapere risiedano il concetto di egemonia e quello di subalternità come teorizzati da Gramsci nei Quaderni dal carcere.
Oltre ad una forte componente gramsciana nel settore dei Cultural studies, è evidente l’influenza di Michel Foucault. Il suo concetto di produzione discorsiva rende visibile l’esigenza, da parte delle potenze coloniali, di affermare la propria egemonia. Il rischio della produzione discorsiva accennata dal filosofo è quello di costruire immaginari stereotipati e pertanto incompleti che diventino dal punto di vista della potenza egemone l’unica rappresentazione possibile. Il rischio evidenziato già un secolo prima da Karl Marx è che le culture minoritarie perdano la possibilità di narrare la propria storia, affidandola a voci più autorevoli. Così si legge nel suo saggio Der achtzehnte Brumaire des Louis Bonaparte “Non possono rappresentare sé stessi; devono essere rappresentati”.
Le tre accezioni dell’Orientalismo
Sono tre principalmente le accezioni con cui viene utilizzato il termine orientalismo. La prima accezione è quella più strettamente accademica e riguarda tutti i campi del sapere che hanno come oggetto di studio l’oriente. La seconda afferisce per lo più il senso comune e pone una distinzione tra il livello ontologico e quello epistemologico, ricordando che il secondo detiene un ruolo fondamentale nella produzione dei saperi. L’ultima accezione è invece di tipo storico e si riferisce all’insieme delle istituzioni create dall’occidente per gestire le relazioni con il mondo orientale.
A livello metodologico, Said mostra preoccupazione di specificare la diversità dell’approccio critico a seconda del rapporto coloniale intrattenuto tra i Paesi. Il concetto di orientalismo americano, ad esempio, non mostra interessi diretti con la colonizzazione dell’oriente, mentre a livello politico gli interessi dell’America liberale, con il sionismo rendono la vita di un arabo-palestinese solo come un problema, disumanizzando la sua esperienza e il suo vissuto.
Differente sarà l’approccio dell’orientalismo francese, memore di un passato coloniale che si è stratificato, passando dalle spedizioni napoleoniche in Egitto alla rappresentazione di Beirut che leggiamo nelle pagine di Chateaubriand. Diverso ancora sarà l’approccio inglese all’orientalismo, il quale Said, in quanto anglista e docente di letterature comparate, non può certamente trascurare.
Le critiche mosse a Edward Said
Tuttavia, le critiche mosse a Said sono state molte e, se da un lato questo sembra nuocere alla sua posizione accademica, dall’altro hanno contribuito a divulgare le ragioni da lui sostenute ampliando gli orizzonti degli studi postcoloniali. I suoi principali detrattori, quali i critici Bernard Lewis e Francesco Gabrieli, insistono sul rischio di generalizzazione delle argomentazioni sostenute da Said. Questi teorici ribadiscono invece le distinzioni in quanto a provenienza geografica, visione politica e cultura religiosa tra gli stessi orientalisti e reputano il lavoro di Said come un tentativo di attaccare la loro integrità intellettuale e la validità degli studi condotti sino a quel momento.
Vedendo i limiti dello statico binarismo in cui l’oriente e l’occidente vengono contrapposti in Orientalism, la storica Nikki Keddie sostiene che il lavoro di Said abbia creato alcune conseguenze sfortunate.
Ecco cosa afferma Keddie in un passo di Approaches to the History of the Middle East (1994), pp. 144-145:
Penso che ci sia stata una tendenza ad adottare il termine Orientalismo nel campo degli studi sul Medio Oriente come un’ingiuria generalizzata, riferendosi in modo particolare a coloro che si prendono le parti sbagliate nella disputa arabo-israeliana, o a coloro che vengono giudicati troppo conservativi. […] Orientalismo è dunque un termine che spinge alcuni a respingere il lavoro di alcuni studiosi. Penso che sia un peccato. Questo potrebbe non essere ciò che Edward Said intendesse nel modo più assoluto, ma il termine è diventato suo malgrado una sorta di slogan
Un nuovo modo di guardare al colonialismo
Nonostante i tentativi di screditare la produzione saggistica e accademica di Edward Said accusandola di un tentativo di politicizzazione degli studi scientifici sul Medio Oriente, si può a ben ragione ritenere che la sua produzione intellettuale abbia contribuito, sul finire degli anni Settanta, a gettare una nuova luce sul modo di contemplare il colonialismo. Il critico ha avuto il merito di non fermarsi di fronte ad un’analisi strettamente socioeconomica della questione coloniale, cercando di far rientrare i processi culturali e le rappresentazioni dei paesi colonizzati da parte dei paesi coloniali in un’ottica culturalmente stimolante. Educando le coscienze a contemplare il processo coloniale da un posizionamento non soltanto di stampo eurocentrico, Said ha posto le basi di una questione metodologica fondamentale per gli sviluppi della critica letteraria e delle letterature comparate.
Conclusioni
Infine, il suo merito è stato quello di coinvolgere il lettore nella sua dimensione personale. Nella lettura di Orientalism si ha la possibilità di comprendere il posizionamento subalterno in cui hanno vissuto i cittadini palestinesi emigrati negli Stati Uniti dopo la nascita dello Stato di Israele. In una sua lezione magistrale, lo studioso rievoca l’attentato ad Oklahoma City del 1995 in seguito al quale egli ricevette molte telefonate da parte di giornalisti e accademici chiedendogli un suo parere sulle ragioni dell’attentato da parte di possibili terroristi islamici.
In realtà il colpevole fu riconosciuto come un ex sottufficiale dell’Esercito statunitense, nonché veterano della guerra del Golfo. L’assimilazione immediata dell’avvenimento al terrorismo islamico, che in questo caso non aveva nessuna implicazione, mostra un pregiudizio e un’attitudine da parte dei media statunitensi a trarre giudizi in modo precoce. È grazie alla sua esperienza biografica che Said ci dimostra come, invece, la vita dei palestinesi emigrati non si possa ridurre ad un tentativo di equilibrio geopolitico, ma debba contenere in sé viva tutta la lezione di umanità.
Giulia Marianello per Questione Civile