La Belle Époque nell’inchiostro di André Gide
André Gide ci ha lasciato l’impressione di essere stato in grado di riassumere e condensare cinquant’anni di storia letteraria. Nella sua esperienza di autore egli, infatti, ha intrapreso tutte le strade percorribili per rappresentare le molteplicità della realtà nella letteratura.
Nato a Parigi da una famiglia borghese nel 1869, André Gide è stato insignito nel 1947, poco prima della sua morte avvenuta nel 1951, del premio Nobel per la letteratura con la seguente motivazione:
«Per la sua opera artisticamente significativa, nella quale i problemi e le condizioni umane sono stati presentati con un coraggioso amore per la verità e con una appassionata penetrazione psicologica».
La sua produzione letteraria è stata enormemente influenzata dal proprio vissuto, come testimoniano anche le varie opere di carattere autobiografico. Gli aspetti che emergono con maggiore impeto e rendono fondamentale la sua esperienza letteraria sono diversi.
Tra questi spiccano la sua omosessualità, la ricerca della felicità e il distacco dalla morale tradizionale, che non implica però una negazione assoluta della moralità stessa. Come afferma egli stesso in Si le grain ne meurt:
“Io, non accettavo di vivere senza regole, e le rivendicazioni della mia carne non potevano fare a meno dell’assenso della mia mente”.
Il contesto storico-letterario
Il contesto dell’esperienza letteraria di Gide si colloca in quella fase di ottimismo e di inarrestabile evoluzione economica francese che identifichiamo come Belle Époque. In Francia, durante questo periodo di fervore tecnico e di innovazione, si afferma la “classe media”, quella piccola borghesia spesso anticlericale che cerca di appoggiare l’affermazione del potere dello Stato sulla Chiesa.
La letteratura di questo periodo è stata definita letteratura di sopravvivenza, molto spesso ripiegata sulla vita interiore, qualche volta aperta sul mondo. In questo periodo il romanzo francese iniziò ad attraversare una crisi, sia continuando le esperienze del secolo XIX sia intraprendendo nuove strade.
La critica celebrò i “funerali” del naturalismo e rimproverava Zola, Hugo e Balzac di accontentarsi di una psicologia sommaria, ma disapprovava anche l’invadente inchiesta psicologica di esperienze come quella di Bourget. Oltre al romanzo psicologico, anche la tradizione del romanzo poetico, eredità del simbolismo, non incontrò i favori della critica, se non per qualche rara eccezione.
Le circostanze di questo periodo storico resero la produzione dei romanzi industriali, dove addirittura la consumazione del romanzo è stata paragonata a quella del tabacco. Ma questa grande proliferazione ebbe come conseguenza una grande confusione.
Le opinioni di André Gide
Rod concluse che il romanzo non avesse futuro. Lo stesso Gide, infatti, sosteneva che i francesi non avessero genio romanzesco come genio epico, poiché le opere davano l’impressione di ristagnare. Si moltiplicarono i criteri per definire il romanzo e distinguerlo dagli altri generi letterari, come ad esempio quello dell’affabulazione del romanziere che sa raccontare storie. Ma prese piede anche il criterio, forse opposto, del romanzo non romanzo che attenua la trama e da valore principale all’intelletto e all’analisi.
In Paludes, Gide ha presentato la storia di chi sprofonda nella palude della mondanità e delle discussioni sterili e dei così detti ambienti letterari. Qui pose l’accento sulla crisi del romanzo nella propria nazione, confrontandolo con opere straniere che venivano apprezzate ed esaltate, come l’esperienza letteraria russa o inglese.
Nel campo del romanzo la letteratura francese anteguerra era dominata da maestri ufficiali che, godendo di prestigio presso il pubblico, rallentarono il rinnovamento estetico. Vennero chiamati anche il pontificato dei “mandarini”, con riferimenti ad autori come Bourget, Barrès e Anatole France.
La Nuovelle Revue française
Nel 1909 venne fondata a Parigi, con il patrocinio di André Gide, la rivista La Nouvelle Revue française, diretta da Copeau, Ruyters e Schlumberger. L’intento di tutti gli scrittori che animavano la rivista fu quello di reagire contro il conformismo dei maestri del momento e del pubblico.
In letteratura, La Nouvelle Revue française stigmatizzava la ricerca del successo mondano, insisteva sulla necessità e sul valore di una creazione lucida, esattamente come sosteneva Paul Valèry, prendendo le distanze dall’eredità simbolista, così come dal naturalismo. Gli autori di questa cerchia avevano in comune il gusto dell’analisi psicologica e una tecnica rigorosa non sempre esente da aridità.
La Nouvelle Revue française ha lanciato opere nuove come La porte ètroite di Gide, così come ha svolto un ruolo considerevole nella rivelazione di scrittori stranieri. Dal 1911 divenne sede della casa editrice Gallimard, successivamente crogiolo della letteratura moderna.
La risposta di André Gide
Dopo una cospicua produzione spesso provocatoria e desiderosa di indurre inquietudine, André Gide nel 1925 per la prima volta decise di chiamare romanzo una sua opera.
In Les faux-monnayeurs (I falsari), infatti, Gide indicò chiaramente l’introduzione dello spessore della realtà. Il principio alla base di questo romanzo è molto controverso. Si tratta di un nuovo studio in cui si conciliano il suo gusto del romanzesco e la sua diffidenza nei confronti dello stesso romanzesco.
L’obiettivo era quello di un “romanzo puro”, che si avvicinasse al romanzo senza trama, l’antiromanzo di Valery. L’ambientazione doveva essere ridotta al minimo per permettere all’opera di diventare “luogo di caratteri”. Paradossalmente, invece, la trama formicola d’incidenti e di tantissimi personaggi.
Sono molti i personaggi maschili gay o bisessuali, che creano lo spazio per una forte difesa dell’omosessualità. André Gide, infatti, aveva accettato e dichiarato il proprio orientamento. Aveva già affrontato questi temi anche nelle sue opere precedenti. Uno degli insegnamenti più grandi che Gide ci ha lasciato, infatti, è quello di ricercare l’onestà intellettuale che permette di essere pienamente sé stessi.
È un’opera dirompente, che vuole interrompere la credibilità del romanzo realista, ed ottiene il risultato di lasciare il lettore disorientato.
Il lettore, infatti, resta stupito dalla proliferazione delle possibilità e l’autore dà l’impressione di lavorare su una materia inesauribile, lasciando intendere che la storia potrebbe continuare. Per non far cadere il romanzo in uno sterile e ottuso realismo o in una vacuità estetica, Gide ha utilizzato la tecnica del “porre in abisso”, come se avesse creato una serie di scatole cinesi una dentro l’altra.
Les faux-monnayeurs
Uno dei personaggi del romanzo, infatti, Eduard, scrive un romanzo che si intitolerà anch’esso Les faux-monnayeurs. Questo diario a volte si sostituisce alla narrazione, e il personaggio-romanziere vuole a sua volta introdurre un personaggio-romanziere.
Gide voleva presentare la realtà e congiuntamente lo sforzo dell’artista per stilizzarla. Il dualismo tra mondo reale e la rappresentazione che facciamo di esso. La scrittura di Gide esprime la convinzione che ciascuno abbia la propria visione del mondo, e di conseguenza il divieto di presentare una storia attraverso la coscienza di uno solo, fosse anche quella dell’autore.
La storia parla di collegiali falsari di monete, ma viene completata dall’attenzione verso la falsa moneta morale. Ne emerge il disprezzo verso i falsari dell’anima, i falsificatori nell’amore e nei rapporti sociali.
Giuseppe Russo per Questione Civile
Bibliografia
– P. Brunel, Storia della letteratura francese, Rapallo, Cideb, (XIX e XX secolo);