La propriocezione: il senso del nostro corpo

Propriocezione

Il significato fisiologico della propriocezione

Questa propriocezione è come se fosse gli occhi del corpo, il modo in cui il corpo vede se stesso…
e il mio corpo non può vedere se stesso se ha perso i suoi occhi giusto? Così tocca a me guardarlo, essere i suoi occhi”   

O. Sacks, “L’uomo che scambiò sua moglie per un cappello

 

Nel 1906, il medico e neurofisiologo inglese Charles Scott Sherrington pubblicò un testo intitolato “The integrative action of the nervous system” all’interno del quale mise in discussione due decenni di ricerche e scoperte sulle attività del sistema nervoso centrale.

Dagli studi di Sherrington emerse il concetto di “propriocezione”.

Questo termine deriva dall’unione dei vocaboli “proprius” e “receptus” e con esso si indica un particolare tipo di sensibilità che deriva da recettori chiamati “propriocettori”.

I propriocettori sono distribuiti in gran numero su muscoli, legamenti e articolazioni. Essi funzionano come sensori che forniscono al sistema nervoso centrale informazioni circa variazioni di pressione, posizione, velocità e stato di contrazione dei vari distretti corporei.

I messaggi che arrivano al cervello vengono continuamente rielaborati in modo tale da renderci sempre consapevoli della posizione che occupiamo nello spazio. Anche senza il supporto della vista.

Propriocezione ed equilibrio

È importante non confondere la propriocezione con l’equilibrio.

Per definizione, l’equilibrio è la capacità del corpo di mantenere una posizione, recuperarla o adattarla in risposta a perturbazioni esterne.

L’equilibrio, tuttavia, è fortemente dipendente dal corretto funzionamento dell’apparato visivo e vestibolare.

La propriocezione, anche detta cinestesia, è invece un particolare tipo di sensibilità che, seppur fondamentale per il controllo del corpo nello spazio, non necessita di un riscontro visivo. Gli esercizi volti a migliorare la senso-percezione dei movimenti corporei sono infatti spesso eseguiti a occhi chiusi.

In virtù di queste definizioni, si potrebbe asserire che una spiccata sensibilità cinestesica sia funzionale al mantenimento dell’equilibrio, così come anche allo sviluppo della coordinazione, ma è bene fare attenzione a non confondere i termini.

Apprendimento motorio

Le informazioni riferite dai propriocettori svolgono un ruolo chiave nell’apprendimento di nuovi schemi motori.

Caliamoci nei panni di un atleta che esegue per la prima volta il salto in alto.

Siamo sul campo a osservare i nostri compagni che si esercitano: li studiamo mentre prendono la rincorsa ed eseguono lo stacco, analizziamo attentamente il loro atteggiamento durante la fase di volo e li vediamo atterrare sul materasso.

Arriva il nostro turno. Nella testa abbiamo già visualizzato tutti i movimenti che dovremo mettere in atto per eseguire il salto perfetto. È il momento di dimostrare a tutti di cosa siamo capaci.

Purtroppo, le nostre aspettative si scontrano rovinosamente con la realtà e ci rendiamo subito conto che quanto stiamo facendo non corrisponde alla sequenza di movimenti attentamente pianificata. Siamo goffi, scoordinati, rigidi, e la performance risultante è deludente.

Questo succede perché ogni gesto è frutto di una precisa sequenza di contrazioni di muscoli che muovono i segmenti ossei sui quali essi sono ancorati.

Quando siamo intenti ad eseguire movimenti nuovi non esiste ancora un vero e proprio schema motorio. Di conseguenza tendiamo a dedicare molta attenzione a ogni azione che eseguiamo. Nel mentre, i recettori sensoriali (tra i quali i propriocettori) forniscono un feedback sullo spostamento degli arti e del corpo, consentendo eventuali correzioni e aggiustamenti del movimento in esecuzione.

Il processo di apprendimento motorio, nelle sue prime fasi, può quindi apparire macchinoso e innaturale, ma, attraverso la ripetizione del gesto, il sistema nervoso sarà in grado di organizzare le informazioni in entrata e in uscita in maniera sempre più efficiente, consentendo la messa in atto di movimenti più armoniosi.

Allenamento

Un atleta può aspirare a migliorare le proprie capacità tecnico-coordinative integrando nella propria routine di allenamento esercizi propriocettivi.

Le esercitazioni possono avere un carattere generale oppure essere specifiche per lo sport praticato. Un giocatore di basket potrebbe per esempio esercitarsi nei passaggi e nelle ricezioni, piuttosto che nei tiri a canestro, eseguendo i gesti su una tavola propriocettiva, che aggiunge all’esercizio un elemento di instabilità.

Diversi studi sostengono inoltre che uno sviluppo della sensibilità propriocettiva e delle capacità coordinative (generali e speciali) incida positivamente nella riduzione del tasso di infortuni nelle varie pratiche sportive.

Si è anche osservato che a seguito di infortuni e traumi si assiste a un’alterazione delle capacità coordinative. In tale contesto, la somministrazione di esercizi propriocettivi da parte di un terapista della riabilitazione esperto risulta utile al recupero della funzione e della performance sportiva.

Propriocezione: non solo un concetto biologico

Oliver Sacks, neurologo britannico autore di “L’uomo che scambiò sua moglie per un cappello”, opera da cui è tratta la citazione che apre l’articolo, affronta il problema della perdita della propriocezione.

Tale condizione patologica (nota appunto come “Sindrome di Sacks”) si caratterizza per l’incapacità del cervello di identificare il corpo come proprio, percependolo di fatto come un estraneo.

Esistono molte fonti, all’interno della letteratura scientifica, che spiegano il funzionamento della sensibilità propriocettiva e ne definiscono approfonditamente le implicazioni nei gesti della vita quotidiana. Ma sarebbe riduttivo affrontare l’argomento unicamente da un punto di vista biologico.

La propriocezione viene definita da molti come “il sesto senso”.

È la capacità del nostro corpo di riconoscersi, identificarsi come tale, e di attribuirsi una precisa collocazione nel tempo e nello spazio, consentendoci di discriminare ciò che “siamo” rispetto a ciò che “non siamo”.

Percepire il nostro corpo ci permette di personificarci in esso e ci pone in condizione di relazionarci con il mondo che ci circonda.

In tal senso, la propriocezione diventa lo strumento indispensabile per la manifestazione della nostra coscienza e della nostra volontà attraverso il corpo.

La drammatica compromissione del sesto senso propriocettivo ha quindi delle implicazioni che vanno ben oltre la difficoltà di coordinazione motoria.

Quando il corpo smette di “sentirsi” perde i suoi occhi. Non incarna più la nostra persona, ma si riduce ad un mero esecutore di programmi motori.

Marco Manzoni per Questione Civile

+ posts

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *