La critica psicanalitica: il matrimonio tra scienza e letteratura
Il legame fra le scienze umane (le cosiddette “dure”) e letteratura è un legame profondo. Il suo contributo è stato evidenziato dalla critica letteraria comparatistica solo nella seconda metà del Novecento, con la critica psicanalitica.
A sua volta, la psicologia affonda le sue radici nella filosofia, con autori come Schopenhauer e Nietzsche, che ne hanno posto le basi. Infine grazie al contributo di Sigmund Freud, viene finalmente consacrata a disciplina autonoma.
Si pensi anche al legame con l’antropologia che condivide l’oggetto di studio generale della letteratura (l’uomo) e lo strumento con il quale lo studia (la narrazione come produzione dell’uomo).
Ma gli esempi sarebbero molti: la matematica è stata applicata allo studio degli straordinari rapporti matematici della sestina di Arnaut Daniel. La medicina è stata analizzata come forma di narrazione sulla vita del corpo e della mente del paziente. Lo scopo diventa la ricerca di un disturbo che spesso solo con l’astrazione può essere trovato.
La critica psicanalitica e le sue basi teoriche
Qualcosa di simile è avvenuto con la psicanalisi. Qui, la letteratura si è aperta ad un mondo di nuove interpretazioni, un “archivio della psiche” da consultare come manifestazione del “rimosso” censurato dall’io raziocinante.
Da qui, la narrazione nel corso della storia della psicologia ha preso due strade. La prima, la concepisce come strumento di cura e di rielaborazione della propria esperienza.
Come il sogno, o la terapia, o il motto di spirito, la letteratura è capace di elaborare e dare voce a quei contenuti psichici traumatici impossibili per l’uomo da elaborare e pronunciare consapevolmente.
In poche parole, la scrittura rende possibile scavalcare le censure imposte dalla nostra mente. A poco a poco, prende il controllo e fa uscire una serie di libere associazioni che caratterizzano i nostri vissuti.
Freud stesso era consapevole del vincolo di gratitudine che legava la sua neonata scienza al mondo della carta scritta. Basti pensare ai nomi che diede ai suoi complessi più celebri o al contenuto di sue opere: “Delirio e sogni”, “Il poeta e la fantasia”, “L’interpretazione dei sogni” e “Il motto di spirito e la sua relazione con l’inconscio”.
I due filoni della critica psicanalitica: dal biografismo al linguaggio
In critica letteraria questo si è trasformato in uno studio psicanalitico che ha poi preso due vie: la via biografistica e quella testuale.
Nel primo caso, gli autori psicanalizzano i personaggi delle opere narrative per arrivare ad individuare il trauma, il desiderio inconfessabile o il disturbo del loro autore, come faceva Freud ad esempio con Jansen in “Delirio e sogni”.
Così, critici come Marie Bonaparte hanno psicanalizzato i personaggi di Poe per diagnosticargli turbe come la necrofilia o desideri incestuosi verso la sorella o la madre.
Nel secondo, invece, si rimane attaccati alla lettera del testo e le analisi vertono non tanto su cosa si dice, ma su come lo si dice prendendo ad esempio il concetto del lapsus verbale o il meccanismo comunicativo del sogno, che si articola sul doppio piano del contenuto esplicito e latente.
Il critico italiano Francesco Orlando è stato uno dei massimi esponenti di tale ultimo approccio, esponendolo in “Per una teoria freudiana della letteratura” (1973) e ponendosi in polemica con le letture biografistiche e contenutistiche.
Francesco Orlando: dal rimosso al represso
Secondo il suo giudizio si dovrebbe, infatti, mirare ad un’analisi della letteratura quale oggetto linguistico che, per di più, ha una precisa differenza con il sogno: nella narrativa c’è sempre un destinatario, un pubblico diverso da sè.
Egli propone, così, il predominio del significante (la forma della parola) sul significato (il suo contenuto), la cui scelta può essere particolarmente indicativa per esprimere un “contenuto tendenzioso” con un meccanismo di rappresentazione metaforica detto figuralità.
Tale figuralità si ritrova anche operante nella psiche dell’uomo, analizzata dallo psicologo, tanto in quella presa in considerazione da critico letterario.
In più, Orlando propone un cambio terminologico tutt’altro che superfluo. Se in psicanalisi si parla di “rimosso”, in letteratura si dovrebbe parlare di “represso”, in quanto il medesimo contenuto in questo caso deve far appunto i conti con un pubblico immerso in una temperie di convenzioni sociali e politiche che lo reprimono, censurandolo dall’esterno (cioè non dall’interno come la censura psicologica che la psiche applica su se stessa).
Per Orlando, tutti i possibili tipi di represso possono ascriversi a tre grandi gruppi: il primo è quello più simile anche al rimosso freudiano e ha a che fare con il linguaggio dell’inconscio che si esprime, oltre alla censura della mente, nel testo;
il secondo è il grande gruppo dei comportamenti socialmente inaccettabili, una serie di pulsioni inconfessabili (tra cui domina il sesso) che diventano taboo per la società e per questo edulcorate in forma letteraria;
il terzo è forse quello più vicino alla coscienza e riguarda tutto il dominio delle opinioni politico-ideologiche represse o non accettabili in una determinata condizione storica (si pensi, ad esempio, alla campagna di eliminazione sistematica di opinioni discordanti in età fascista, durante la quale molti scrittori si avvalsero delle parole di autori stranieri).
La critica psicanalitica e la scrittura come strumento di autoanalisi
In psicologia, il carattere catartico della scrittura la rende anche un modo di conoscersi meglio, uno strumento di autoanalisi com’è stato per scrittori quali Baudelaire e Dostoevskij, le cui opere sono ricche di tormento e ricerca di un senso attribuibile al “male di vivere”.
Questi scrittori sembrano proprio ben esprimere, da un punto di vista intrinseco alla loro psiche, quello che Freud nella sua teoria definiva “pulsione di morte”.
Secondo Freud, l’essere umano è guidato da due tipi di energia: la pulsione di vita – eros – e la pulsione di morte – thanatos. La prima mira all’autoconservazione dell’organismo, mentre la seconda ad una sua distruzione, una tendenza a porre fine alla sofferenza e tornare ad uno stato di riposo.
Da un lato, l’essere umano è sempre alla ricerca del piacere ma, dall’altro, tale ricerca può essere talvolta troppo dispendiosa ed è qui che entra in gioco Thanatos. Eros e Thanatos non sono tuttavia da considerare due concetti opposti: tutta la nostra vita è dominata da entrambi in quanto ci sono momenti in cui prevale maggiormente l’uno piuttosto che l’altro.
La critica psicanalitica e l’indagine di grandi menti
Tale approccio ebbe longevo successo nel corso della comparatistica
letteraria, giungendo dalla psicanalisi direttamente di Harold Bloom, critico de-costruzionalista allievo di Derrida. Recuperando la tesi del maestro, secondo la quale l’opera doveva essere analizzata come un coacervo di differenze interne ed esterne che trovavano un’a volte complessa convivenza, Bloom la correda con degli studi freudiani di cui era appassionato.
Secondo la sua teoria, ogni opera ed ogni autore deve confrontarsi con una tradizione costellata di capolavori e modelli che gli indicano la via, ma al contempo gliela sbarrano. Egli sosteneva che ogni composizione fosse il risultato di un enorme complesso edipico che l’autore generava nei confronti dei propri modelli: come un figlio nasce e poi deve cercare la sua indipendenza dal padre, così l’opera ed il suo autore ne portano i segni, ma vivono in una loro nuova originalità.
Secondo Bloom la letteratura non era, dunque, il risultato di una costruzione, ma un campo di battaglia nel quale si esprimeva una costante tensione tra Eros e Thanatos, tra amore e rifiuto.
L’indagine di grandi menti: Leonardo Da Vinci
Un’altra via della psicologia nella narrazione, in ultima istanza, è quella di analisi secondaria di personaggi storici importanti. L’esempio più classico è quello dell’opera di Freud “Un ricordo d’infanzia di Leonardo Da Vinci”.
La personalità di Leonardo da Vinci è stata tra le più affascinanti e misteriose della storia e ha interessato tantissimi studiosi delle più vaste discipline. In quest’opera, Freud cerca di trovare un senso ai sorrisi leonardeschi: le emblematiche espressioni delle sue opere, prima fra tutte la Gioconda. La prima interpretazione di queste opere viene ricondotta al rapporto dell’artista con la madre, che l’aveva cresciuto da sola.
Nel corso della sua opera, Freud trova anche due elementi riconducibili alla figura paterna. Il primo è relativo al carattere incompiuto di alcune sue opere. In quanto padre di esse, Leonardo le abbandonava proprio come lui da bambino era stato abbandonato da suo padre.
Anche l’approccio alla fede di Leonardo viene ricondotto al rapporto con la figura paterna. Sebbene egli non si pronunciò sulla sua religione, neanche la temeva. Freud riconduce questo suo approccio al fatto che per Leonardo l’autorità paterna non è stata un elemento presente e fondamentale nella sua infanzia. Per questo, allo stesso modo, non vi è neanche il timore di Dio.
Infine, in questo saggio Freud riscontra alcuni elementi infantili nella personalità adulta di Leonardo. In particolare, il desiderio di volare che in psicoanalisi è una fantasia tipicamente appartenente ai bambini. Tali tratti spiegherebbero l’interesse per il volo e per i volatili che ha caratterizzato i suoi studi.
Il contributo delle neuroscienze
Ma la psicologia, come scienza, non si sottrae anche all’aspetto più scientifico e biologico della mente umana. Con il contributo delle neuroscienze è recentemente nato un filone di ricerca chiamato “neuroestetica”. Tale ambito cerca di intrecciare psicoanalisi, letteratura, ma anche storia dell’arte, con i processi che avvengono nel nostro cervello.
Come in un’opera d’arte il nostro cervello crea delle attivazioni uniche alla vista di un quadro o alla lettura di un libro producendo una mappatura. Tali osservazioni possono essere osservate attraverso strumenti di neuroimaging.
Chissà se un giorno, potremmo avere queste immagini impresse sul nostro smartphone.
Chiara Manna e Noemi Ronci per Questione Civile