Crotone: la patria dei campioni come Milone
Milone, figlio di Diotimo, nacque nel VI secolo a.C. a Crotone. Crotone venne fondata tra il 750 e il 710 a.C. e ben presto divenne un centro culturale all’avanguardia; era, infatti, sede della famosa scuola pitagorica nella quale venivano insegnate l’astronomia, la matematica, la musica e la filosofia.
Inoltre, ai medici crotonesi, tra i quali ricordiamo Alcemone e Democede (uno dei più grandi medici dell’antichità, nonché discepolo di Pitagora), è riconosciuto il merito di aver modernizzato l’arte medica, al tempo fortemente condizionata da credenze religiose e superstizioni, conferendole una rigorosa base scientifica.
Il clima salubre della città e lo sviluppo delle conoscenze mediche resero Crotone una delle poleis più competitive dal punto di vista sportivo. Gli atleti crotonesi, dediti all’educazione militare e all’atletica, erano riconosciuti e temuti in tutta la Magna Grecia.
Essi si distinsero vincendo 21 giochi olimpici, 10 giochi pitici, 10 giochi istmici e 9 giochi nemei. Si narra che, al termine di una maratona, i primi 7 classificati fossero tutti crotonesi e che da questa vicenda nacque il proverbio “l’ultimo dei crotonesi è il primo dei greci”.
Eppure, vi era un primo anche tra i crotonesi, ed egli rispondeva al nome di Milone.
Milone da Crotone: l’atleta più forte della storia antica
“Bella la statua d’un bello: Milone che ben sette volte a Pisa vinse e non piegò il ginocchio.”
Simonide, “Antologia Palatina”; XIV, 24
In città Milone era conosciuto e celebrato per le sue incredibili doti fisiche e atletiche. La carriera sportiva di Milone iniziò nel 540 a.C. e, nel corso di 28 anni, l’eroe vinse 7 olimpiadi consecutive (conquistò la prima vittoria a soli 15 anni), 9 nemee, 6 giochi pitici a Delfi e 10 istmiche presso Corinto.
La disciplina in cui eccelleva era la lotta. A quei tempi, i lottatori erano divisi tra fanciulli e adulti e ad aggiudicarsi la vittoria era l’atleta che per primo avesse atterrato l’avversario per tre volte oppure fosse riuscito a spingerlo fuori dall’arena. Durante il combattimento erano consentite tutte le prese nella parte superiore del corpo, ma erano vietati pugni, accecamenti, morsi e testate.
La storia vuole che, dopo aver conquistato sei vittorie consecutive nel combattimento, Milone si recò a Olimpia per la sua settima olimpiade. Qui avrebbe dovuto affrontare un suo concittadino: il diciottenne Timasiteo, il quale, forse per paura, forse per rispetto, si inchinò, rifiutandosi di combattere. Milone vinse così la sua settima Olimpiade.
Le imprese di Milone
“Tale era Milone, quando dal suolo sollevò il carico, un torello di quattro anni, al banchetto in onore di Zeus, sulle spalle la bestia enorme come fosse un agnello neonato portò con leggerezza lungo tutta la festa”
Ateneo di Naucrati,”I deipnosofisti”; X, 412f-413a
L’incredibile prestanza fisica e i travolgenti successi sportivi posero Milone al centro di numerosi miti celebrativi della sua forza, il cui segreto è raccontato in una leggenda in cui si narra che egli, fin da bambino, coltivasse un inusuale passatempo: trasportare sulle spalle un vitellino. Con il passare degli anni il vitellino crebbe, e così anche la forza di Milone. Questa forma di sovraccarico progressivo rese Milone tanto possente da consentirgli di reggere sulle spalle un toro adulto (il cui peso può superare la tonnellata).
Pare che, durante la celebrazione della sua quarta vittoria alle olimpiadi, il campione crotoniano sorprese tutti presentandosi allo stadio trascinando un toro adulto e facendo un intero giro di campo con la bestia sulle spalle, senza quasi percepirne il peso. Dopo questa ennesima dimostrazione di forza, il vigoroso atleta uccise il toro a mani nude e banchettò con la sua carne.
Una seconda leggenda racconta di come Milone salvò la vita allo stesso Pitagora e ai suoi discepoli; durante un banchetto i pitagorici vennero colti alla sprovvista da un terremoto che causò il cedimento di una colonna portante dell’edificio in cui il gruppo era riunito. Fu allora che L’eroe sfruttò la propria imponente stazza per reggere il soffitto sostituendosi alla colonna, dando ai commensali il tempo di mettersi in salvo. A seguito di questa vicenda, Pitagora offrì sua figlia Myia in sposa all’eroe.
La reincarnazione di Ercole
Celebre, infine, fu l’impresa militare che vide Milone alla guida di centomila crotoniani fronteggiarsi contro trecentomila sibaroti. Durante lo scontro, Milone rassomigliava in tutto e per tutto a Ercole: un poderoso guerriero che sbaragliava i nemici brandendo una clava e indossando solamente le corone vinte ai giochi olimpici e la pelle di un leone.
La fine del mito
Gli autori che riportano il triste epilogo della vita di Milone lo descrivono come un vecchio superbo che non si rassegna al passare degli anni, ma che tuttavia è costretto a fare i conti con l’incedere della vecchiaia.
Cicerone rievoca un aneddoto che vede come protagonista un anziano e infelice Milone; egli assistendo ad un allenamento dei giovani atleti, scoppiò a piangere, rendendosi conto che il suo corpo, una volta forte e possente, stava lentamente morendo.
Quando poi Milone vide un giovane pastore di nome Titormo sollevare e scagliare a una distanza incredibile un enorme macigno, l’ex campione di Crotone si rese conto di non essere più l’uomo più forte del mondo, ed esclamò: “Oh Zeus, è forse un altro Ercole quello che tu hai generato?”.
Secondo le leggende, la fine per l’eroe giunse quando egli, vagando per un bosco, si imbatté in un ulivo consacrato alla dea Hera. Volendo dimostrare a sé stesso di essere ancora forte come un tempo, afferrò il tronco nel tentativo di sradicarlo a mani nude.
L’eroe pagò un caro prezzo per quest’ultimo atto di superbia; abbandonato dalle sue forze, rimase incastrato e impossibilitato a muoversi, divenendo facile preda delle bestie feroci, che lo sbranarono.
Marco Manzoni per Questione Civile