Biopic: la vita, il film, le forme

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Il biopic: la vita vera su pellicola

Tra i generi cinematografici che nell’ultimo decennio hanno tenuto banco nei botteghini vi è sicuramente il biopic, contrazione di biographic motion picture, molto più semplicemente, film biografico. Figlio diretto della biografia letteraria, il biopic racconta la vita di un personaggio realmente vissuto.

Tecniche e tipologie del biopic

Alcune precisazioni da questo punto di vista sono necessarie: anzitutto, per forza di cose, a differenza di una biografia letteraria in particolare, ma di un libro in generale, il film ha un minor tempo della narrazione, da non confondere il tempo della storia, ovvero la vita del personaggio che è pressoché identica. Tale tempo con ellissi più o meno ampie cerca di rendersi fruibile per lo spettatore, quindi tra i 90 e i 180 minuti.

La seconda precisazione da fare, diretta conseguenza della prima, è la modalità della narrazione: da un lato film come L’ora più buia (2017) di Joe Wright scelgono di concentrarsi in uno stretto momento della vita del personaggio narrato, in questo caso Wiston Churchill nei momenti caldi del secondo conflitto mondiale; dall’altra parte abbiamo i film che qui proponiamo, ovvero biopic che scelgono un punto di partenza ben selezionato, un vero e proprio punto fermo nella vita del narrato e lo raccontano nella sua ascesa e (spesso) discesa.

Andrà notato infatti come la vita di uomini famosi – dove “famoso” va inteso nell’accezione più ampia possibile – ha spesso la struttura parabolica discendente che ben si adatta al fine drammatico. Ogni film difatti ha una struttura adattabile in tre atti, su esempio dei fondamenti classici del teatro. <All’interno di questi tre atti sono più o meno facilmente riconoscibili tre momenti: il climax del primo atto, il middle point e il climax del secondo atto.

La struttura a tre atti: un esercizio

Ma parlarvi del biopic è un racconto fine a se stesso, per questo vi proponiamo un «compito per casa». Dopo quest’ampia e generale introduzione proponiamo tre film e tre momenti nella struttura filmica. Per ogni film ne descriveremo uno, e lasciamo a voi lettori la possibilità di indagare i restanti due in ognuna delle tre pellicole.

Potrà apparire banale, noioso forse inutile, ma in realtà l’esercizio di riconoscimento dei momenti cardine della narrazione cinematografica permette a noi spettatori di esserlo più consapevolmente. In questo articolo vi lasceremo una traccia da seguire, sta a voi percorrerla interamente.

Il climax del primo atto: Lenny

È il 3 di agosto del 1966 e il comico Lenny Bruce viene trovato privo di vita nella sua casa, forse per un’overdose inconsapevole da farmaci, forse per un’overdose procuratasi volontariamente. Un comico che muore è forse il momento più drammatico che esista, eppure per un comico la morte è solo un gioco da esorcizzare continuamente.

Così il regista e sceneggiatore Bob Fosse racconta la storia del comico che inventò la stand-up comedy nel suo Lenny con un malinconico; eppure, brillante Dustin Hoffman nelle vesti di Lenny Bruce.

Non è la morte di Lenny ad interessarci ma la sua ascesa e in particolare il culmine di questa: il climax del primoatto. Dopo che Lenny è diventato un famoso barzellettiere negli Stati Uniti che escono in fretta dalla seconda guerra mondiale per entrare nel gelo della seconda metà del XX secolo.

Lenny vede la sua società che cambia, che inizia a diventare una società di individui, dove lo spettro del comunismo viene combattuto con l’egoismo e l’arrivismo sociale; persone sole che diventano i mostri della moralità negli anni Cinquanta. E proprio sul bigottismo della sua nazione che si scaglia il primo pezzo di stand-up comedy di Lenny Bruce.

In un locale di cabaret e invece che raccontare la solita barzelletta, la solita imitazione, Lenny smette di far “ridere per ridere” e racconta la storia di due professori di un liceo sollevati dal loro incarico perché scopertisi omosessuali. Lenny punta il dito e nel farlo usa un linguaggio così grave e «volgare» che lo porta ad essere processato per oscenità. È nata la stand-up comedy e con essa il secondo atto della pellicola. Siamo al climax.

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Lenny Bruce (Dustin Hoffman) nel lungo pezzo comico che fa da cornice alla prima parte del film

Il middle-point: Il Giovane favoloso

Giacomo Leopardi è uno tra i più grandi poeti della nostra letteratura. Mesto e ipercritico in molte sue opere, ironico, vivace e speranzoso in quelle stesse opere se solo lette con sguardo più attento. La sua storia e la sua letteratura sono raccontate ne Il Giovane favoloso (2014) di Mario Martone. Giacomo è interpretato dal sempre nuovo Elio Germano che riesce – dopo un lungo studio dell’autore aiutato – a comprendere l’essenza di Leopardi.

Quello che la prassi scolastica definisce il poeta del pessimismo in ogni sua forma si rivela invece per quello che è: il poeta della sensibilità, che vede quanto c’è di peggiore nel mondo, eppure non perde mai la fiducia negli uomini e nella grandezza del loro animo.

Il Giovane favoloso è il secondo film di tre, il film di mezzo e quindi ci sarà utile per spiegare il punto di mezzo, il middle-point, appunto.

Questo è il centro della vicenda, un punto di svolta e spesso di non ritorno nell’economia narrativa del film. Nel nostro caso questo arriva poco dopo l’uscita di Giacomo da Recanati. Diretto anzitutto a Firenze, egli conosce Antonio Ranieri, e poco dopo il suo grande amore Fanny. Ma uno è il luogo del middle-point: il Gabinetto Vieusseux.

Qui Giacomo è entrato da poco ed è la prima volta che qualcuno di veramente importante ha potuto leggere il suo lavoro. L’accoglienza però non è quella che si aspettava: la cattiveria dei circoli letterari, e in particolare di Tommaseo, gli riversa addosso quanto lui sia lontano dalla canonicità e dal gusto comune.

Giacomo risponderà con le parole del suo Tristano, operetta di incredibile efficacia contro le accuse di mestizia, e il Giovane favoloso così facendo raggiunge il vertice, il middle-point.

Il climax del secondo atto: The Doors

Ultimo film, ultimo uomo: il musicista. The Doors è il biopic di Oliver Stone che racconta la nascita, l’ascesa e la decadenza di uno dei gruppi rock che più ha fatto storia e scuola nel mondo della musica. Il protagonista non potrebbe che essere Jim Morrison interpretato da Val Kilmer. Jim parte da lontano, dal deserto e dall’animismo dei nativi americani per pervenire a Light my fire, The End e Riders on the storm.

Non solo musica ma anche vita complessa quella di Jim con la sua compagna Pamela Courson (Meg Ryan), personaggio di cui molti hanno criticato a Stone la poca aderenza con la vera Pamela: quasi una succube dell’amore complicato nella pellicola, la Pamela vera era fuori da ogni controllo morale quanto Jim stesso.

Qui però non sentenziamo sulla veridicità del biopic, che pure potrebbe far riflettere sulla sua necessità di aderire o meno alla realtà, qui analizziamo il climax del secondo atto, l’ultimo e più importante passo verso il finale.

Jim è ormai totalmente abbandonato agli abusi. I suoi concerti sempre meno musica e parole di pace, sono sempre più confuse elucubrazioni, finché Jim in uno di questi decide di mostrare i genitali in pubblico, venendo arrestato.

Per Jim è il primo passo verso la sistemazione morale ma la fine della sua esistenza terrena, per i The Doorsè la comprensione di aver concluso il loro percorso musicale.

Ora lasciamo a voi l’esercizio: guardate queste pellicole con molta attenzione. Dov’è il primo atto? Il suo climax? Siete sicuri che è solo un momento di tensione o avete raggiunto il middle-point?

Salvo Lo Magno per Questione Civile

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