La lirica greca: una melodia che ci giunge da lontano
Tra VII e VI secolo a. C. si verifica una rivoluzione letteraria che si rivela essere specchio di un cambiamento nella politica e nella società greca dell’epoca. Dal mondo della guerra e della τιμή (timè, onore guerriero e aristocratico), celebrati dai mastodontici poemi attribuiti all’aedo Omero nei quali si tessevano le lodi di popoli interi tramite le gesta di grandi guerrieri che li rappresentavano, si passa al tempo dell’individualismo e dei sentimenti personali lanciato verso il rovesciamento del governo aristocratico in una democrazia radicale, processo che si realizzerà del tutto solo nel V secolo a. C.
Nei due secoli subito precedenti, infatti, si vive un’epoca di passaggio in cui il governo aristocratico è ancora in piedi, ma comincia a dare i primi segni di stanchezza lasciando sempre più spazio all’ascesa delle poleis d’epoca storica. Come spesso accade, i primi ad avvedersi di questo cambiamento in atto sono i poeti, tonanti voci fuori dal coro che plasmano un modo tutto nuovo di cantare tempi ed emozioni mutati.
Conservazione o innovazione?
Per un greco il cambiamento non era, infatti, qualcosa da accettare di buon grado, anzi era spesso visto come qualcosa di cui diffidare e dal quale era necessario difendersi da un popolo strenuamente attaccato al passato e alle tradizioni come quello greco. Pertanto, il terreno su cui si muovono i nuovi lirici eredi e detrattori di Omero ed Esiodo sono in parte in comune alla precedente produzione letteraria, e così nei versi composti dai lirici greci troviamo cantata l’ira coraggiosa di Achille, la bellezza funesta di Elena, la pazienza fedele di Penelope e l’astuzia del grande Odisseo.
Eppure, il modo in cui vengono narrati questi episodi così noti a qualunque cittadino greco, a prescindere da età ed estrazione sociale, è totalmente diverso ed i nuovi poeti sembrano puntare, con le loro menti affilate, a suscitare lo stupore dell’ascoltatore, all’originale o, per dirla coi greci, all’ἀπροσδόκητον (aprosdoketon, inaspettato).
Finiamo, allora, per leggere ardite prese di posizione e voli pindarici – per rimanere in tema – come, ad esempio, la celeberrima difesa tessuta dalla poetessa Saffo di Elena e del ruolo giocato dalla sua bellezza nella guerra di Troia, o gli arditi versi di Archiloco in cui il poeta si vantava di aver perduto lo scudo in battaglia (indicibile disonore per un guerriero, tanto che si racconta come le madri degli Spartani che partivano in guerra gli dicessero, riferendosi allo scudo, di tornare “con esso o sopra di esso”).
Le caratteristiche della lirica greca
Sarà saltato all’occhio del lettore di questo articolo come non si faccia mai riferimento all’atto della scrittura per questi poeti arcaici tutti proiettati verso la modernità classica che stanno costruendo ma che ancora non conoscono. Come suggerisce il nome, infatti, una delle caratteristiche principali – se non la caratteristica principale – della lirica greca è il fatto di essere composta, pubblicata e tramandata oralmente, più in particolare tramite il canto.
La sua esistenza orale l’accomuna, tuttavia, a gran parte della produzione letteraria greca antica che solo nel V secolo a. C. giungerà ad introdurre, parzialmente e solo in determinate situazioni, la scrittura fisica dei testi letterari. Ma, oltre la composizione orale, ciò che caratterizza più di tutto la lirica arcaica è l’accompagnamento musicale legato a sua volta a specifici tipi di schemi metrici, schemi generati cioè dall’alternanza di vocali lunghe e brevi che determinavano un particolare ritmo del verso.
I due generi principali cui si fa riferimento a seconda del metro sono l’elegia (un tipo di composizione raffinata legato principalmente al simposio, un ritrovo di aristocratici legato al bere e alle discussioni intellettuali e che più tardi si specializzerà nel cosiddetto “canto di lamento”) ed il giambo (che si definisce, invece, come poesia parodica o d’invettiva).
Da qui si comprende anche la suddivisione della lirica in melica monodica (da μέλος, mèlos ovvero “canto” e μόνος “solo, unico” che indica, dunque, l’esecuzione ad una voce sola) e melica corale (cioè cantata da un coro). Poiché era accompagnata da musica, la sua esecuzione era legata anche a determinati strumenti; per questo la lirica poteva essere allo stesso modo distinta in auletica o citaristica se realizzata col solo flauto o la sola cetra, aulodica o citarodica se eseguita con l’accompagnamento della voce assieme ai due strumenti.
Il soggettivismo della lirica greca
Tuttavia, come già in parte argomentato, un’altra peculiarità della lirica greca è il soggettivismo. Accanto alle tracce mitiche ed eroiche lasciate dalla precedente esperienza dell’epica omerica, infatti, il tema principale che va delineandosi nella nuova espressione letteraria è il racconto di sentimenti personali, la descrizione di quel mondo interiore così simile a quello di noi moderni da indurci ad ascoltare la voce di questi poeti rivoluzionari ancora oggi, a distanza di secoli.
Studiando più a fondo la loro poetica ciò che stupisce è, comunque, scoprire che non sempre i sentimenti descritti appartengono realmente all’animo di chi li canta. E, dunque, quando leggiamo della gelosia di Saffo che la fa diventare verde come l’erba, degli accessi d’ira parodica di Archiloco o delle esortazioni a godersi il vino e la giovinezza di Alceo siamo portati, come da un qualche istinto culturale, modellato dalle convenzioni della poesia successiva, ad attribuirli al loro stesso modo di sentire e pensare. Invece, spesso i sentimenti o le situazioni descritte erano quasi del tutto inventate.
La lirica ieri e la lirica oggi: tra persona loquens e realtà
Tutto ciò ci stupisce e questo perché il tipo di poesia cui oggi siamo più avvezzi, è dominato dalla personalità reale del poeta che, anche quando non parla in prima persona, scrive delle proprie esperienze, dei propri sentimenti e delle proprie convinzioni, al più attribuendole ai personaggi che fanno le sue veci sulla carta.
Invece i poeti lirici creavano dei personaggi letterari a cui attribuire il mondo di esperienze e di emozioni che intendevano descrivere e che non necessariamente rispecchiava il proprio. Orazio (poeta latino vissuto nel I secolo d. C.) parlava a questo proposito di persona loquens o maschera parlante.
A parlare, infatti, nei versi lirici arcaici di VII e VI secolo a. C., è più che una persona un personaggio generato solo in minima parte sulla base delle vite reali dei poeti che preferivano attribuirgli le convinzioni politiche o morali e le emozioni in cui credevano, di cui non necessariamente avevano fatto esperienza, ma che finivano per avvicinarsi sempre a sentimenti di portata universale.
I traduttori moderni della lirica greca
Sarà stato, allora, per questo motivo che i loro versi sono sopravvissuti per secoli, parlando alle esperienze e ai sentimenti reali di migliaia di lettori e poeti, giungendo, infine, in mani illustri come quelle di Salvatore Quasimodo.
Il lavoro sui lirici significò molto anche per la maturazione della sua poetica, come si nota da uno dei suoi più famosi componimenti “Ed è subito sera”.
Ma misurarsi con le origini della letteratura occidentale era stata di per sé una sfida non da poco, soprattutto per via della difficoltà di resa di una lingua complessa e piena di sfumature come quella greca. Eppure, Quasimodo andava fiero della sua opera, in particolare della fedeltà agli originali che era riuscito a raggiungere tanto da sostenere di non aver “aggiunto mai un aggettivo negli spazi bianchi dei frammenti”.
La sensibilità di un poeta geniale come lui dovevano avergli dato gli strumenti più adatti per affrontare un’impresa titanica come questa, riscuotendo un enorme successo con la sua opera di cui conosceva a fondo il valore. Come testimonia, infatti, Eugenio Scalfari che lo aveva intervistato negli anni Cinquanta, lo stesso Quasimodo ammise riferendosi alle sue traduzioni: “Se mi daranno il Nobel forse me lo daranno per quello”.
La sua previsione non lo fece attendere molto: nel 1959 il Nobel arrivò.
Noemi Ronci per Questione Civile