Afghanistan: dagli albori del conflitto alla dubbia sconfitta
Poche settimane fa, il 15 agosto 2021, il mondo ha assistito al ritiro delle truppe NATO e statunitensi dal suolo afghano, lasciando il controllo di Kabul e dell’intero paese ai talebani. È doveroso, vista l’agitazione degli eventi e dei quesiti ancora senza risposta, mettere in luce le cause che hanno portato nel 2001 gli Stati Uniti a dichiarare guerra all’Afghanistan e quali possibili scenari ci attendono nel prossimo futuro.
Una guerra per la pace
In nome della democrazia e della giustizia. Questa è stata la giustificazione dell’attacco in Afghanistan fornita dall’allora presidente degli Stati Uniti, George W. Bush.
«Siamo sostenuti dalla volontà collettiva del mondo. […] Il popolo oppresso dell’Afghanistan conoscerà la generosità dell’America e dei suoi alleati»
– G. W. Bush
La causa scatenante del conflitto afghano è indubbiamente riscontrabile nell’attentato alle Torri Gemelle dell’11 settembre 2001 (per saperne di più, clicca qui), organizzato da alcuni gruppi terroristici di Al Qaida contro gli Stati Uniti.
Le trattative con i talebani sono insufficienti per evitare la guerra: l’America rifiuta la proposta dei talebani di sottoporre a processo Osama Bin Laden in un paese terzo per provare o meno il coinvolgimento all’attacco alle twin towers. La risposta americana è solo una: guerra. Infatti, la velocità del dispiegamento militare e l’immediato accordo raggiunto coi ribelli dell’Alleanza del Nord lasciano quasi supporre che gli USA avessero pianificato l’invasione dell’Afghanistan ben prima dell’11 settembre.
Il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite approva due risoluzioni all’attacco terroristico: la risoluzione n. 1368/2001 che qualifica il terrorismo come “minaccia alla pace e alla sicurezza internazionale”, e la risoluzione n. 1374/2001 con la quale rinnova la condanna del terrorismo ed istituisce un Comitato ONU, il cosiddetto comitato CAT, con lo scopo di imporre a tutti gli Stati misure atte a contrastare ogni forma di finanziamento al terrorismo.
Il 7 ottobre 2001, alle ore 20:45 afghane, gli eserciti americano e britannico iniziano un bombardamento aereo sull’Afghanistan. Le televisioni mondiali trasmettono in diretta il fatto. Tutto il mondo è spettatore. È guerra.
L’Afghanistan terra di morte e polvere
Tante le vittime. Tante le città conquistate dagli americani: Kabul, Konduz, Qandahar vengono conquistate nel giro di pochi mesi dall’inizio dello scontro. Come è noto, la guerra prosegue, dalla battaglia di Tora Bora, all’operazione Anaconda del 2002, fino all’operazione Colpo di Spada del 2009.
Non è scopo di questo articolo ripercorrere, passo per passo, la guerra in Afghanistan dal punto di vista militare, bensì capire le motivazioni che hanno spinto gli americani poche settimane fa a decidere di lasciare il territorio ai talebani.
Cosa non ha funzionato nella lotta contro il terrorismo? Quella dichiarata dagli Stati Uniti è davvero una guerra per punire i terroristi in favore della pace? Chi sono i talebani?
Innanzitutto, con il termine “talebani” si indica un gruppo di fondamentalisti islamici, presenti prevalentemente in Afghanistan ed in Pakistan, che agiscono per istituire un Emirato che sia conforme alla Shari’ah dal punto di vista culturale, religioso, sociale e politico. Il pensiero dei talebani viene descritto come «un’innovativa combinazione di Shari’a e Pashtunwali», il codice d’onore delle genti pashtun. Esso si ispira all’interpretazione dell’Islam della corrente sunnita Deobandi, che enfatizza la solidarietà, l’austerità e la famiglia gestita dagli uomini.
Shari’ah e talebani
«Comandare il bene e punire il male»
Come detto, la Shari’ah è la legge islamica a cui i talebani fanno riferimento. Essa consiste in una serie di regole comportamentali da rispettare per poter essere moralmente e spiritualmente un soggetto degno e puro. Sono note alcune delle pratiche utilizzate dai talebani per punire i peccatori: la lapidazione in caso di adulterio, l’amputazione di una mano in caso di furto, la morte in caso di mancato rispetto all’uomo della famiglia.
È severamente vietato all’interno dell’Emirato per gli uomini tagliare i capelli “all’occidentale” e portare la barba troppo corta; altresì, alle donne non è riconosciuto alcun diritto. È severamente vietato per le donne lavorare, vestirsi “all’occidentale”, essere socievoli e divertite in contesti di gruppo, oltre al fatto che è concesso ad una donna uscire di casa solo se indossa il burqa integrale ed è accompagnata da un uomo.
In più, alle donne non è concesso studiare. Il diritto all’istruzione, che è uno dei diritti fondamentali di ogni individuo e non dovrebbe essere limitato o vietato da nulla e da nessuno, è stato purtroppo bandito dai talebani. L’attivista pakistana Malala Yousafzai combatte dal 2010 per far sì che ogni donna possa studiare ed emanciparsi socialmente. Come è noto, nel 2012 vince il Premio Nobel per la pace grazie al suo attivismo ed impegno nel riconoscimento dei diritti civili per le donne in Medio Oriente.
Una grande fonte di ricchezza per il regime dei talebani è riscontrabile nella coltivazione di oppio. L’Afghanistan è, infatti, il principale produttore di oppio al mondo ed i talebani ne promuovono la coltivazione ed il commercio per finanziare l’acquisto di armi e le operazioni militari.
Una tregua per l’Afghanistan? L’accordo di Doha
Durante la presidenza di Donald Trump, il 29 febbraio 2020 gli Stati Uniti e la fazione afghana dei talebani firmano l’accordo di Doha per porre definitivamente fine alla guerra iniziata nel 2001. In particolare, l’accordo prevede il ritiro delle truppe americane dal suolo afghano entro il 14 aprile 2021, posticipato all’11 settembre 2021 dalla presidenza Biden.
Come tutto il mondo ha potuto assistere, il 15 agosto 2021 i talebani entrano a Kabul approfittando del ritiro delle truppe statunitensi; la sera stessa occupano il palazzo presidenziale di Kabul, ammainano la bandiera della repubblica afghana e issano la loro bandiera sulla torre del palazzo. Il 19 agosto 2021 gli Studenti Coranici proclamano la restaurazione dell’Emirato Islamico dell’Afghanistan.
Afghanistan: la fine della guerra come una nuova opportunità?
«Sono il quarto presidente americano a presiedere una presenza di truppe americane in Afghanistan. Due repubblicani. Due democratici. Non passerò questa responsabilità a un quinto»
– Joe Biden
L’opinione pubblica americana ha da sempre dipinto la guerra in Afghanistan come una “guerra infinita”, troppo costosa sia dal punto di vista economico che delle perdite di uomini. Secondo un sondaggio dello scorso aprile, il 69% degli americani era favorevole al ritiro delle truppe americane, dunque non c’è da meravigliarsi se Biden, per aumentare l’indice di gradimento della sua amministrazione, abbia considerato tale evento anche come un’opportunità politica.
Un altro elemento da considerare è che a soli 8 mesi dall’entrata in carica, la decisione di compiere delle azioni così difficili risiede nel fatto che in un’epoca come questa, dominata dall’emergenza sanitaria, sono altri i temi molto cari agli elettori americani, come la sanità, l’economia, il lavoro, il welfare. La politica estera, un tempo cavallo di battaglia di moltissime campagne elettorali per la presidenza americana, non infuoca più come prima.
Del resto, Larry Sabato, professore dell’Università della Virginia, twitta così mentre i talebani entrano a Kabul la notte del 15 agosto:
“Saranno la pandemia e l’economia a plasmare le prossime elezioni, non l’Afghanistan”
I repubblicani gridano all’impeachment contro Biden, ritenuto colpevole di aver gestito male il ritiro delle truppe americane e dei 13 soldati americani morti durante l’attentato all’aeroporto di Kabul. Improvvisato e rischioso: così viene definito dalla stampa internazionale il piano di ritiro dall’Afghanistan. Biden, però, non esita a rispondere:
“I diritti umani devono essere al centro della nostra politica estera, ma il modo per farlo non è attraverso dispiegamenti militari senza fine”
Insomma, le conseguenze dell’esito della guerra in Afghanistan si sveleranno nei prossimi mesi. Sono ancora tante le domande a cui dare una risposta. Una cosa, però, è inequivocabilmente certa: nessuna guerra viene combattuta per la democrazia, nessuna guerra può portare alla pace. Lo spiegamento di un esercito non porterà mai nessun popolo a vivere un futuro migliore.
Martina Ratta per Questione Civile