Predestinazione e antichità: dagli Stoici ad Agostino

La predestinazione nel pensiero antico: un destino già scritto?

Quello della predestinazione è un tema molto antico, le cui radici affondano nel pensiero e nella cultura greca classica ed ellenistica. I primi in Occidente ad elaborare tale concezione in un pensiero filosofico compiuto furono gli Stoici.

Dopo l’avvento del Cristianesimo, fu invece Agostino di Ippona il primo fra i padri della chiesa ad elaborare una dottrina in chiave cristiana sulla questione.

Cosa pensavano, dunque, gli antichi? Il nostro destino è già scritto? Siamo liberi di scegliere, oppure ogni nostra azione è già stata determinata prima della nostra nascita?

La predestinazione nel pensiero greco antico: il fato

Profondamente intessuta nella cultura greca antica era la credenza in un destino già determinato: il fato. La parola, infatti, deriva dal latino “fatum”, che significa “ciò che è stato decretato dalla divinità”. Secondo questa visione, l’andamento della vita di ogni uomo, dalla sua nascita alla sua morte, era stabilito dalla volontà divina.

Questa credenza in un destino ineluttabile risulta visibile soprattutto nella tragedia greca. Nelle composizioni e rappresentazioni tragiche della Grecia antica emerge, infatti, fin troppo spesso il conflitto fra l’uomo e il suo destino, stabilito a priori dalla divinità. Un conflitto in cui l’uomo vi si oppone titanicamente e da cui esce, inevitabilmente, sempre sconfitto.

Zenone di Cizio

Le radici ellenistiche della predestinazione: gli Stoici

Ma, come si diceva, ad elaborare una prima vera dottrina filosofica della predestinazione nella Grecia antica furono gli Stoici.

Lo Stoicismo è una corrente filosofica nata ad Atene intorno all’anno 300 a.C., fondata da Zenone di Cizio. Costituisce una delle maggiori scuole filosofiche dette ellenistiche, nate cioè in età ellenistica, il periodo storico-culturale che seguì la conquista di Alessandro Magno.

Lo Stoicismo professa una filosofia materialista, che esclude l’esistenza di realtà superiori o differenti rispetto a quella che ci circonda. L’universo stoico, quindi, è un unico insieme di materia, che si amalgama secondo i quattro elementi di terra, acqua, fuoco e aria.

Gli Stoici, tuttavia, osservano che l’universo è animato e vi individuano, intrinseco alla materia stessa, un principio ordinatore della realtà, che potremmo definire “divino”. Si tratta del logos (dal greco, “ragione”, “parola”).

Sebbene, a una prima considerazione, il logos potrebbe apparirci un principio immateriale, per gli Stoici esso ha natura corporea, in quanto parte integrante della materia. In particolare, si tratta del suo principio attivo: un fuoco primordiale che ordina il tutto e ne è l’origine primigenia. Con Crisippo, poi, verrà descritto come una mescolanza tra fuoco e aria, in contrapposizione al principio passivo composto da terra e acqua.

Questi filosofi, dunque, vedono nel logos un soffio caldo vitale, un fuoco che pervade ogni ente e la realtà in generale. Per questo motivo viene chiamato anche pneuma (che dal greco si traduce appunto con “soffio vitale”).

Le radici ellenistiche: il logos e le ragioni seminali

In effetti, il logos coincide, per gli Stoici, con Dio stesso. Esso, infatti, è anche destino, provvidenza, ragione e anima del mondo. Questo perché è l’intelletto che guida il cosmo dall’interno e che, al tempo stesso, ne costituisce il destino, secondo un proprio ordine buono e provvidenziale.

Si tratta, comunque, di un Dio immanente alla materia e che coincide con essa. Per questo si può definire lo Stoicismo come una “filosofia panteista”, perché la divinità coincide con il tutto.

Alla base di questa concezione deterministica dell’universo, vi è la dottrina stoica delle “ragioni seminali (λόγοι σπερματικοί). Secondo questa teoria, tutte le trasformazioni che interessano la realtà devono essere in qualche modo inscritte nella materia prima che accadano. Ad esempio, all’interno del seme, secondo gli Stoici, sono già scritte le trasformazioni che lo renderanno pianta.

Al contrario di quanto avviene in Aristotele, però, il mutamento non necessita di agenti esterni, di altri motori che muovano. Tutto è già scritto nella materia e realizzato dal suo principio attivo.

Il logos, secondo questo punto di vista, è la ragione seminale dell’intero universo, perché in esso sono scritti tutti i destini degli enti che lo costituiscono.

Ogni elemento e creatura, e quindi anche ogni uomo, sono dunque predestinati ad un futuro già stabilito dal logos. Niente e nessuno può sottrarsi al proprio fato, che incede inevitabilmente verso il proprio compimento. Un fato che infinitamente si ripete poiché, per gli Stoici, la storia dell’universo ha carattere ciclico.

Come teorizza, infatti, Zenone, la vita del cosmo si protrae fino alla conflagrazione universale (ἐκπύρωσις), il momento in cui tutto finisce e l’universo rinasce dal principio. Allora tutto ricomincia da capo. Ogni vita rivive sé stessa, ripercorrendo ogni passo, ogni scelta, senza possibilità di deviare dal proprio fato. E lo fa all’infinito.

La predestinazione nel Cristianesimo: Dio

Con l’avvento e la diffusione del Cristianesimo, in seguito, nel pensiero occidentale il logos degli Stoiciviene associato ed assimilato dal Dio creatore.

Il Dio cristiano, però, non è immanente, bensì trascendente rispetto all’universo. In altre parole, non agisce internamente alla materia e non ne è assolutamente parte. Al contrario del logos degli Stoici, si trova al di là del tempo e dello spazio e non è soggetto al divenire.

Da questa nuova prospettiva, tutto quanto esiste appare frutto di un progetto che Dio ha concepito nella sua eternità. Secondo il Cristianesimo, infatti, l’universo ha avuto origine dalla precisa volontà di Dio di crearlo. Il tempo, allora, ha avuto luogo nell’esatto momento della creazione e troverà la sua fine nel giorno stabilito da Dio: il Giorno del Giudizio.

Dal momento che l’uomo risulta essere, nell’ottica cristiana, la creatura prediletta in funzione della quale viene posto tutto il creato, allora la storia dell’universo si pone in funzione di quella dell’uomo. E la storia dell’uomo è la storia della sua caduta nel peccato e della sua successiva redenzione, resa possibile dal sacrificio del Cristo.

L’uomo, che vive in un mondo fortemente condizionato dal peccato, è chiamato quindi a determinare con le sue scelte il proprio destino dopo la morte. Se ne sarà degno, potrà accedere all’eterna beatitudine del Paradiso, altrimenti sarà condannato alla perenne dannazione dell’Inferno.

Tuttavia, alla luce di ciò, sorgono alcuni interrogativi. Se l’intero corso del tempo, con i suoi sviluppi, sono stati concepiti da Dio nella sua eternità fin dalla creazione, allora Egli conosce già il nome di chi sarà salvato e di chi sarà dannato? L’uomo è realmente libero di determinare il proprio futuro, o invece è ancora una volta predestinato fin dalla nascita ad un fato stabilito dalla divinità?

La predestinazione nella Bibbia: l’elezione divina e il mistero della grazia

Nella Bibbia si dimostra ricorrente l’elezione, da parte di Dio, di alcuni fra gli uomini per realizzare, attraverso di loro, i propri progetti. In particolare, nell’Antico Testamento, Dio arriva a scegliere come suo un intero popolo: Israele. Dio antepone Israele a tutte le altre nazioni della terra e con esso stipula un’alleanza. È, infatti, in seno a questo popolo che, secondo il suo progetto, Dio invierà il proprio figlio per portare il proprio messaggio.

Nel Nuovo Testamento è soprattutto l’apostolo Paolo di Tarso a trattare l’argomento della predestinazione (nello specifico in Romani 8:29-11:36 e in Efesini 1). Dalle sue epistole apprendiamo che Dio sceglie secondo il suo volere chi fra gli uomini beneficare con la sua grazia e chi lasciare nel peccato. Leggiamo, appunto: “Egli, infatti, dice a Mosè: Avrò misericordia per chi vorrò averla, e farò grazia a chi vorrò farla” (Romani 9:15). E ancora: “Dio, quindi, ha misericordia verso chi vuole e rende ostinato chi vuole” (Romani 9:18).

Dunque, Dio crea e plasma l’uomo secondo i suoi progetti e l’uomo, in quanto creatura di Dio, non ha il diritto di contestarlo. Secondo Paolo, ciò che l’uomo può fare, dinnanzi al mistero della grazia divina, non è tanto ricercare il bene nelle proprie opere. Quel che davvero l’uomo deve fare per aprirsi alla redenzione è appellarsi alla fede in Dio.

Pare, quindi, che la predestinazione sia un tema ben presente anche all’interno del pensiero cristiano. Ma se tutto quanto l’uomo può fare è sperare nella salvezza, esiste davvero il libero arbitrio?

Predestinazione

Agostino di Ippona: predestinazione e libero arbitrio

Agostino di Ippona, vescovo, filosofo e teologo romano, vive tra il IV e il V secolo d.C. Fra i padri della chiesa, è il primo ad affrontare in modo approfondito il tema della predestinazione.

Il pensatore cristiano afferma, come premessa alla sua riflessione, che il male e il peccato non possono essere stati creati da Dio. Secondo Agostino, infatti, il male non ha una sua dimensione d’essere e non è altro che assenza del bene, cioè una corruzione.

Secondo il filosofo, tutto quanto esiste è stato creato da Dio a partire dal nulla, ed è stato concepito per essere buono. Ma essendo l’universo mutevole e soggetto al divenire, allora il creato può incorrere in una parziale perdita di quella perfezione originaria, e corrompersi.

Così, anche per quanto concerne il peccato. L’uomo è stato dotato da Dio di una volontà, inizialmente conforme alla sua. Tuttavia, per gli stessi motivi di cui sopra, anche la volontà umana può corrompersi e deviare. Eppure, secondo Agostino, l’uomo possiede il pieno potere sulla propria volontà ed è libero di scegliere: gli è stato concesso il libero arbitrio.

Dio, dunque, non ha avuto alcuna parte nella caduta dell’uomo nel peccato: è stata conseguenza di una sua libera scelta. Così, tutti coloro che compiono il male, lo fanno deliberatamente. Tuttavia, sebbene, secondo Agostino, l’uomo sia libero di scegliere, l’elezione di coloro che saranno salvati spetta solo a Dio.

Per il filosofo, infatti, Dio nella sua prescienza, cioè la sua conoscenza del futuro, infonde la propria grazia o lascia indurire i cuori degli uomini. Egli fa questo secondo i suoi progetti imperscrutabili, che però perseguono sempre il bene: Dio, infatti, non agisce mai ingiustamente.

Sebbene, dunque, Agostino affermi il libero arbitrio dell’uomo, permane, nel suo pensiero, un senso di predestinazione dell’umanità, che resta di esclusiva pertinenza divina.

Gabriele Todaro per Questione Civile

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1 commento su “Predestinazione e antichità: dagli Stoici ad Agostino

  1. Giovanni Iavarone Rispondi

    ” Ma essendo l’universo mutevole e soggetto al divenire, allora il creato può incorrere in una parziale perdita di quella perfezione originaria, e corrompersi” Questo passo di di Agostino è criticabile: allora è ‘il divenire’ ciò che porta la ‘corruzione’ e al ‘peccato’ _ossia a quella perfezione originaria che ‘non è più’! Sembrerebbe che ciò sia una ‘ legge fisica’ (modernamente individuata come: Entropia Zero, dell’ ‘universo’ o ‘del creato’ o ‘un ignoto evento non conosciuto’ :come Buco Nero o Antimateria dalla Fisica Quantistica!_ ma sempre dato per scontato’?! ) E perché? Per volere di Dio o perché l’uomo ‘in quanto mutevole’ e ‘soggetto al Divenire’ _che poi si sa :è ‘assenza di Energia’,ossia Morte in altre parole! Insomma è ‘il Divenire’ che è ‘imperscrutabile’, se nelle ipotesi di Agostino è ammesso ,come uno degli alementi base!!! Come fa un Essere Umano ad avere il Libero Arbitrio se poi c’è un Divenire Inperscrutabile? Questo è un punto debole del suo ragionamento.

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