Le intelligenze multiple: l’intelligenza emotiva
Quante volte ci è capitato di sentir dire “quella persona ha un Quoziente d’Intelligenza (meglio noto come QI) di 170 o 150”. O ancora, noi stessi di essere sottoposti ad un test di intelligenza.
Una delle prime cose che si impara in un corso di Psicologia è che non esiste una definizione univoca di intelligenza. Nel corso del tempo e del susseguirsi di varie correnti teoriche, tante sono state le possibili spiegazioni e di conseguenza le definizioni date a questo concetto. Inoltre, la definizione di intelligenza può variare su base culturale. Ciò che invece è riconosciuto da molti studiosi del campo è che l’intelligenza è un costrutto multidimensionale.
I primi studi sull’intelligenza
Gli studi sull’intelligenza hanno appassionato diversi studiosi, che l’hanno analizzata a partire da metodi poco ortodossi, come ad esempio la celebre misurazione del cranio umano che rispettava la credenza secondo cui più era grande la testa dell’individuo, maggiore era la sua intelligenza. Successivamente, i metodi di analisi dell’intelligenza sono arrivati a perfezionarsi attraverso l’uso delle tecniche statistiche, tra cui l’analisi fattoriale. Proprio attraverso questo metodo sono stati individuati vari fattori che compongono il costrutto.
Questi studi hanno portato alla classificazione di due prime forme di intelligenza: quella fluida e quella cristallizzata.
L’intelligenza fluida è quella capacità che permette di elaborare le informazioni che giungono alla nostra mente. Dunque, comprende anche il ragionamento o la memoria e ricorda un po’ quella che in gergo viene riconosciuta come l’intelligenza generale.
L’intelligenza cristallizzata, invece è l’accumulo di informazioni, abilità e strategie che le persone apprendono attraverso la loro esperienza, ad esempio attraverso la risoluzione di problemi. Tale sfumatura dell’intelligenza è quella maggiormente legata alla cultura. In anni recenti, in particolare nei primi anni ’90, gli studiosi erano certi che l’intelligenza non fosse un concetto singolo, ma un concetto composto da varie sfumature.
L’evoluzione del concetto di intelligenza
Naturalmente tutti gli studi sull’intelligenza hanno prodotto dei test per misurarla e dunque si sono focalizzati più su un suo aspetto quantitativo.
In anni recenti, Howard Gardner ha concentrato i suoi studi sull’aspetto qualitativo dell’intelligenza formulando la teoria delle intelligenze multiple. Gardner ipotizza l’esistenza di otto tipi diversi di intelligenza, ciascuno indipendente dall’altro. Esse sono: intelligenza musicale, corporeo-cinestetica, logico-matematica, linguistica, spaziale, interpersonale, intrapersonale e naturalistica. Come già detto, questi tipi di intelligenza sono indipendenti, per cui tutti ne possediamo alcune in grado maggiore o minore. Inoltre, esse operano insieme in qualunque tipo di attività.
Tale teoria ha portato allo sviluppo di test di intelligenza specifici, in cui non vi è una sola risposta giusta. Al contrario, questi test danno la possibilità di esprimere il proprio pensiero creativo.
L’intelligenza emotiva: i primi studi
In questo campo, Daniel Goleman ha introdotto il concetto di intelligenza emotiva, studiandola e definendola rigorosamente. Come suggerisce il suo nome, si tratta di un tipo di intelligenza che riguarda le emozioni, ma anche un set di abilità che permettono di valutare, decidere, esprimere e regolare le emozioni proprie e altrui. Da questa breve definizione è chiaro come l’intelligenza emotiva sia alla base dell’empatia, dell’autocoscienza e delle abilità sociali. Gli studi successivi su questo tema hanno rintracciato 4 componenti dell’intelligenza emotiva.
La prima è la capacità di riconoscere, valutare ed esprimere le emozioni proprie e altrui. È una capacità di autoconsapevolezza, che include anche l’abilità di riconoscere i propri punti di forza e di debolezza, oltre alle proprie emozioni. Dunque, chi ha una buona intelligenza emotiva non solo è in grado di comprendere le emozioni altrui da semplici indicatori, quali il tono di voce o le espressioni del viso, ma è anche in grado di esprimerle in modo adeguato a volte aiutando gli altri a riconoscerle. Naturalmente, questo processo non è esente da un’attenta valutazione e ragionamento che per le persone con buona intelligenza emotiva è molto semplice.
Una seconda componente dell’intelligenza emotiva è la capacità di compiere appunto dei ragionamenti, attraverso le proprie emozioni. Spesso si dice che le decisioni importanti vanno prese a sangue freddo, per indicare la necessità di non farsi sopraffare dalle emozioni. In realtà, una buona consapevolezza e un rispetto delle proprie emozioni può aiutarci a prendere delle decisioni migliori nel lungo termine. A ciò si lega la componente di motivazione dell’intelligenza emotiva. In questo caso, la motivazione è intesa come la consapevolezza e il riconoscimento di pensieri negativi e la capacità di trasformarli in pensieri positivi. I pensieri positivi sono adattivi per noi e per gli altri, perché sono appunto fonte di motivazione.
Dalla consapevolezza alle abilità sociali
Una terza componente è proprio questa: la consapevolezza. Essa permette di riconoscere, osservare ed esprimere correttamente le proprie emozioni. In un certo senso, si tratta anche di una componente di controllo in quanto in una situazione molto stressante, saper gestire la rabbia e la frustrazione diventa cruciale.
Infine, la quarta componente riconosciuta dell’intelligenza emotiva è la capacità di regolare le emozioni. Regolare le proprie emozioni non vuol dire controllarle, ma è una capacità che, come una matrioska, incorpora tutte le precedenti. Dunque, necessita di processi di consapevolezza e riconoscimento dei propri stati emotivi. La regolazione delle emozioni è anche, a sua volta, alla base dei processi di ragionamento e di valutazione delle emozioni proprie e altrui e dei processi decisionali in cui vengono coinvolte le emozioni.
È chiaro come tutte queste componenti sono strettamente legate ed interconnesse.
La capacità di autoregolazione aiuta anche le abilità sociali. Esse ci permettono di gestire le relazioni con gli altri, grazie alla conoscenza delle nostre e loro emozioni. Possono così aiutarci nella vita quotidiana a raggiungere i nostri obiettivi o ad aiutare gli altri a raggiungere i loro.
Lo stesso Goleman ritiene che questi sottocomponenti agiscano in modo interdipendente, e aggiunge un’ultima sottocomponente all’intelligenza emotiva: l’empatia. Essa è l’abilità di comprendere e percepire gli stati emotivi degli altri. Come per il modello delle intelligenze multiple, anche queste abilità possono essere possedute in misura diversa dall’individuo e non sono innate. Infatti, possono essere potenziate o addirittura apprese.
L’intelligenza emotiva può inoltre spiegare perché alcune persone con scarsi risultati nei test di intelligenza standard possano avere successo o, viceversa come mai persone molto intelligenti sembrino apatiche nelle relazioni con gli altri e sembrino quasi dei robot.
L’intelligenza emotiva nella pratica
Essa dà vita al cosiddetto EQ (Emotional Quotient), il fratello del classico QI. Questi due tipi di intelligenza, dunque, lavorano congiuntamente ed è proprio la loro integrazione che può aiutarci ad avere successo nella vita quotidiana.
È interessante come l’intelligenza emotiva sia stata anche associata ad una serie di comportamenti a rischio. Ad esempio, i soggetti meno dotati di questo tipo di intelligenza sembrerebbero più inclini a sviluppare disturbi del comportamento alimentare, disturbi della condotta, ma anche, senza entrare nell’ambito patologico, abitudini sbagliate. Un comportamento frequentemente associato ad una scarsa intelligenza emotiva è il cosiddetto Emotional Eating, termine di cui abbiamo sicuramente sentito parlare. Si tratta di quell’abitudine per cui ci facciamo “confortare” dal cibo. Quando dopo una giornata stressante, o in cui siamo tristi, ci tuffiamo nel junk food o nelle tavolette di cioccolato: a voi la scelta tra dolce e salato.
Chiara Manna per Questione Civile