I primi passi della guerra civile siriana: la primavera araba
L’Archivio di Storia delle Relazioni Internazionali intende oggi ripercorrere i primi passi della guerra civile siriana che, tragicamente, è ancora oggi in corso e suscita, a livello mondiale, indignazione e paura su svariati fronti: la Primavera Araba.
“Primavera araba” è una espressione di origine giornalistica utilizzata per indicare un lungo periodo di proteste, precisamente tra il 2010 ed il 2011; i paesi coinvolti furono la Siria, la Libia, la Tunisia, lo Yemen, l’Algeria, l’Iraq, il Bahrein, la Giordania e il Gibuti. Ci furono anche disordini di minore portata in Mauritania, in Arabia Saudita, in Oman, in Sudan, in Somalia, in Marocco e in Kuwait.
Oggi, questo articolo si concentra nell’affrontare il “caso Siria” per comprendere i motivi che hanno portato, nel 2011, allo scoppio della guerra civile siriana.
L’inizio della Primavera Araba
I fattori che hanno portato alle proteste iniziali furono numerosi: corruzione, assenza di libertà individuali, violazione dei diritti umani, mancanza di interesse per le condizioni di vita durissime, che in molti casi rasentano la povertà estrema.
Delle rivolte hanno, tuttavia, cercato di approfittarne movimenti estremisti e terroristici di matrice islamica. Questi furono i “Fratelli Musulmani” che, con intimidazioni e corruzioni, riuscirono anche a prendere il potere in alcuni stati, riportando in vigore assurde leggi ancora più opprimenti e antiquate.
Anche la crescita del prezzo dei generi alimentari e la fame sono da considerarsi tra le principali ragioni del malcontento; questi fattori hanno colpito larghe fasce della popolazione nei Paesi più poveri.
Ad Amman, capitale della Giordania, il 26 gennaio, Ali Akleh si diede fuoco, in segno di protesta contro il governo siriano. A fine gennaio su Facebook vennero invocate manifestazioni in tutto il Paese dopo la preghiera settimanale islamica “contro la monocrazia, la corruzione e la tirannia, nella prima giornata della collera del popolo siriano e della ribellione civile in tutte le città siriane”.
Lo slogan, “La rivoluzione siriana 2011”, riuniva 9000 membri su Facebook, invitando i giovani ad una protesta pacifica contro il regime di Bashar al-Assad:
<<Noi non vogliamo una rivoluzione violenta ma una sollevazione pacifica. Alzate la voce in modo pacifico e civile, perché esprimere le proprie opinioni è garantito dalla Costituzione>>.
La Primavera Araba suscita delusione in Siria
Le proteste avrebbero dovuto spingere alle dimissioni il presidente Bashar al-Assad ed eliminare la struttura istituzionale monopartitica del Partito Ba’th. Crebbe, però, la forza estremista di stampo salafita che, anche grazie agli aiuti di alcune nazioni sunnite del Golfo Persico, raggiunse il 75% della totalità dei “ribelli” antigovernativi. Tali gruppi fondamentalisti hanno come principale obiettivo l’instaurazione della Shari’a in Siria.
La composizione religiosa ed etnica della popolazione siriana si è fortemente riflessa negli schieramenti in campo. Sebbene le prime manifestazioni antigovernative avessero uno spirito “laico” e avessero coinvolto tutte le principali città del Paese, il perdurare della crisi ha polarizzato gli schieramenti.
La componente sciita sostenne il governo insieme a gran parte delle minoranze religiose, che hanno goduto della protezione del governo laico del Partito Ba’th. Le stragi perpetrate dalle componenti fondamentaliste dei ribelli nei confronti delle minoranze religiose in Siria hanno portato le Nazioni Unite a definire la guerra civile come un «conflitto di natura settaria».
La risposta internazionale
Le organizzazioni internazionali hanno accusato le forze governative e i miliziani Shabiha anche di usare i civili come scudi umani, di puntare intenzionalmente le armi su di loro, di adottare la tattica della terra bruciata e di eseguire omicidi di massa.
I ribelli antigovernativi sono stati accusati di violazioni dei diritti umani tra cui torture, sequestri, detenzioni illecite ed esecuzioni di soldati e civili.
L’accezione “guerra civile siriana” è stata usata, per la prima volta, il 15 luglio 2012 dal Comitato Internazionale della Croce Rossa, che ha definito la crisi siriana un «conflitto armato non internazionale».
Martina Ratta per Questione Civile