Ucraina: il pretesto per un conflitto nucleare?

Ucraina: dalla rivoluzione arancione al conflitto contro la Russia

Nel 2015, il giornalista italiano Giulietto Chiesa definì l’Ucraina “la culla della terza guerra mondiale”. Alla luce della terribile guerra che sta colpendo il popolo ucraino e che fa tremare il cuore dell’Europa, l’Unione Europea e la NATO sembrano determinati ad evitare un’escalation militare.

Ma perché i rapporti tra Russia e Ucraina sono da sempre stati così difficili?

La rivoluzione arancione

Nei paesi ex-sovietici, dopo il crollo del muro di Berlino iniziano una serie di proteste contro governi ritenuti corrotti, autoritari o vicini all’influenza russa. Tali proteste vengono comunemente conosciute come “rivoluzioni colorate”: non sono proteste violente, ma si basano sulla disobbedienza civile. I manifestanti adottano uno specifico colore (o fiore) come simbolo nella propaganda politica e creano gruppi di educazione alla democrazia.

Ciò che è successo in Ucraina nel 2004 è la “rivoluzione arancione”, protesta scaturita dalle elezioni presidenziali del 21 novembre dello stesso anno. Gli sfidanti sono Viktor Janukovyc, da una parte, e Viktor Juscenko, dall’altra. Janukovyc è il primo ministro uscente, leader del Partito delle Regioni e il candidato delle autorità, le stesse autorità che avevano governato l’Ucraina fin dalla caduta dell’Unione Sovietica nel 1991. Juscenko, invece, è governatore della Banca Nazionale dal 1993 al 1999, primo ministro fra il 1999 e il 2001, leader di Ucraina Nostra e molto apprezzato in Occidente.

Janukovyc si attesta come il candidato vincitore grazie ai sondaggi che lo vedono fino all’ultimo in vantaggio rispetto all’avversario. I risultati delle elezioni, tuttavia, a causa di brogli, schede elettorali false ed il fenomeno del “turismo elettorale” si mostrano inaffidabili: il vantaggio di Janukovyc è tutt’altro che veritiero e questo induce il popolo ucraino a protestare, a chiedere delle vere elezioni e la possibilità di esercitare a pieno i diritti democratici.

Il 22 novembre 2004, circa 300.000 abitanti di Kiev saltano il lavoro e a metà mattinata riempiono piazza Indipendenza e l’attigua strada principale Chreščatyk. Il numero dei partecipanti stupisce tutti, sia le autorità che l’opposizione. A seguito delle proteste, la Corte Suprema ucraina invalida il risultato elettorale e fissa nuove elezioni per il 26 dicembre. Questa volta ad uscirne vincitore è Juscenko, con il 52% dei voti contro il 44% del suo sfidante.

Euromaidan: la rivoluzione ucraina del 2014 e la crisi della Crimea

Nonostante la vittoria di Juscenko, Janukovyc riesce a divenire presidente nel 2010. A novembre 2013 si verificano una serie di proteste popolari contro la sua presidenza sfociate nell’occupazione di Piazza Indipendenza a Kiev da parte di giovani pro-Europa. La causa scatenante della protesta popolare si identifica nella decisione del Presidente di rifiutare di firmare un accordo di associazione dell’Ucraina all’Unione Europea in favore di un prestito russo concesso dal Presidente Putin. Ma tale prestito lega ancora di più il Paese alla Russia.

L’8 dicembre 2013, centinaia di migliaia di persone manifestano a favore dell’adesione all’UE e contro i rapporti con la Russia. A Kiev, durante la manifestazione, la folla abbatte e decapita una statua di Lenin, proprio per simboleggiare la volontà del popolo ucraino di essere totalmente indipendente dall’influenza russa.

Le proteste raggiungono l’apice tra il 18 ed il 20 febbraio 2014, durante il quale decine di manifestanti vengono uccisi sia da ignoti cecchini che dal fuoco della polizia. Il 21 febbraio 2014 si assiste alla fuga di Janukovyc dal paese e, così, l’Euromaidan sembra raggiungere il suo obiettivo. Tuttavia, la crisi di Crimea è una delle conseguenze dell’Euromaidan. L’Ucraina, dunque, non riesce ancora ad ottenere una piena stabilità politica, ancora una volta a causa dell’ingerenza russa.

Dopo le proteste filorusse a Sebastopoli e a Sinferopoli del 23-24 febbraio 2014, il Consiglio supremo e il Comune di Sebastopoli esprimono congiuntamente l’intenzione di dichiarare unilateralmente l’indipendenza della Crimea dall’Ucraina come singola nazione unita, con la possibilità di entrare nella Russia come soggetto federale. La questione dell’indipendenza viene posta in un referendum che, con il 96% di voti favorevoli, dichiara l’indipendenza della Crimea dall’Ucraina. Gli Stati Uniti, l’OSCE e l’Unione Europea condannano il voto come illegale e impongono sanzioni nei confronti delle persone considerate di aver violato la sovranità dell’Ucraina.

Gli accordi di Minsk

Lo stesso tipo di referendum avuto in Crimea si tiene l’11 maggio 2014 anche nella regione del Donbass, a Lugansk e Donetsk, ed è vinto dai separatisti con il 79% dei voti. In seguito ai risultati, riconosciuti nel panorama internazionale soltanto dalla Russia, vengono proclamate le Repubbliche Popolari di Donetsk e di Lugansk. Non riconoscendo l’Ucraina il risultato dei referendum e considerando il Donbass un proprio territorio, si inasprirono le ostilità con la Russia e con i movimenti separatisti.

In un contesto di guerra aperta tra le due fazioni con diversi morti sia tra i gruppi militari che tra i civili, l’OSCE si fa carico di tentare una mediazione. Il 5 settembre 2014 si forma il cosiddetto Gruppo trilaterale di contatto e si radunano a Minsk, capitale della Bielorussia, i rappresentanti delle varie fazioni. Il vicepresidente ucraino Leonid Kuchma, l’Ambasciatore russo Mikhail Zurabov, il capo della Repubblica Popolare di Donetsk, Alexander Zakharchenko e il capo della Repubblica Popolare di Lugansk, Igor Plotnitsky. Il 5 settembre 2014, il Gruppo trilaterale di contatto firma il Protocollo di Minsk, un accordo composto da 12 punti con cui cercare di dare una fine alle ostilità.

L’accordo prevede principalmente lo scambio di prigionieri, la consegna di aiuti umanitari, il ritiro di armi pesanti; ma soprattutto la decentralizzazione del potere con una maggiore autonomia per le regioni del Donbass. L’intesa tuttavia fallisce rapidamente, a causa di ripetute violazioni da Ucraina e Russia. Mosca e Kiev, infatti, danno un’interpretazione diversa ai passi militari e politici da attuare.

Secondo Mosca, essa non è parte del conflitto e ha partecipato ai tavoli di Minsk soltanto in qualità di mediatrice come Osce, Francia e Germania. L’Ucraina, invece, sostiene che il ritiro di “tutte le forze armate straniere” riguarda anche la Russia.

Perché una guerra in Europa?

Negli ultimi anni, sia il governo di Kiev che i governi delle repubbliche separatiste accusano la Russia di aver violato il “cessate il fuoco” oltre centinaia di volte. Inoltre, non si è mai trovato un accordo sul punto che prevedeva elezioni riconosciute dal governo ucraino a Donetsk e a Lugansk. Sono morte oltre 14.000 persone, delle quali oltre 3.000 civili, la maggior parte di questi nei territori delle repubbliche separatiste.

Secondo molti studiosi, l’inosservanza degli accordi di Minsk sarebbe una delle cause dell’inizio della guerra tra Ucraina e Russia. Il presidente della federazione russa, Vladimir Putin, attraverso un videomessaggio trasmesso in tutto il mondo il 24 febbraio 2022 dichiara guerra all’Ucraina, guidata dal presidente Volodymyr Zelensky. Nel cuore dell’Europa, dopo più di 70 anni, torna il timore di una guerra. Una guerra combattuta attraverso armi nucleari, portatrice di morte e disperazione.

L’Unione Europea e la NATO mostrano fin da subito e unitamente fermezza e risolutezza nel contrastare Putin; questo attraverso pacchetti di sanzioni economiche che colpiranno molto duramente l’economia russa. Ad oggi, più di 1 milione di profughi ucraini fugge alla ricerca di salvezza e, secondo i dati dell’UNHCR sarebbero circa 360 le vittime civili ucraine a seguito dei bombardamenti nelle città ad opera dell’esercito russo.

Tutto il mondo spera che questa guerra abbia una fine molto presto. Chiunque utilizzi la guerra come strumento di risoluzione delle controversie internazionali e di offesa alla dignità degli altri popoli è ingiustificabile. Il popolo ucraino merita la pace, la democrazia e, soprattutto, il diritto di autodeterminarsi ed essere finalmente indipendente dall’amministrazione russa.

Martina Ratta per Questione Civile

Bibliografia:

  • Giuseppe D’Amato, EuroSogno e i nuovi Muri ad Est. L’Unione europea e la dimensione orientale, Greco-Greco editore, Milano, 2008;
  • Andrew Wilson, Ukraine’s Orange Revolution, Filey, Yale University Press, 2005;
  • Risoluzione 68/262 dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite che dichiara la violazione del diritto internazionale e della Costituzione dell’Ucraina.
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