L’unmother e la figlia-mostro: cosa non sappiamo delle figure della madre e della figlia descritte nelle fiabe dei Grimm
Nelle versioni arcaiche delle fiabe dei Grimm emergono degli archetipi reiterati di madre “non madre” e di figlia emancipata che ci rivelano molto sull’età contemporanea.
La vita di una donna attraversa diverse fasi ed una di queste spesso si rivela essere la maternità. Un atto estremo, traumatico, per la vita che viene al mondo e per la vita che mette al mondo. Perché le fiabe che hanno cresciuto generazioni di bambini dovrebbero permetterci di esaminare la figura della donna, della maternità e della femminilità in ottica contemporanea?
Scopriamolo insieme, analizzando due delle fiabe più amate da grandi e piccini, nelle loro versioni più antiche.
La scoperta della dimensione sessuale e l’atto procreativo: Cappuccetto Rosso, la bambina e il lupo nelle versioni odierne
La rivisitazione psicanalitica della fiaba di Cappuccetto rosso come la conosciamo oggi, disegna Cappuccetto come una bambina. Innocente, ingenua, infantile e poco sveglia, posta di fronte a colui che simboleggia il predatore sessuale per eccellenza: il lupo.
Nel musical “Into the woods” (1986), che narra alcune fiabe dei Grimm, troviamo la canzone “I know things now”, cantata da Cappuccetto, che recita:
Avrei dovuto seguire il consiglio della mamma. Ma sembrava così carino. E mi ha mostrato le cose, tante cose belle, che non avevo pensato di esplorare. Erano fuori dal mio percorso. Quindi non avevo mai osato. Ero stata così attenta e mi ha fatto sentire eccitata. Beh, eccitata e spaventata […]
Ma sebbene spaventoso sia eccitante, bello è diverso dal buono.
La canzone termina con un sii solo preparata. Come si può notare, c’è un chiaro avvertimento contro i pericoli sessuali. Eppure, Cappuccetto appare più matura, consapevole che il sesso sia un passaggio naturale e non demonizzabile come la società di qualche secolo addietro spingeva a credere. Un’interpretazione, sotto molti punti di vista, figlia dei nostri tempi.
Il principale fautore della versione a noi nota è Charles Perrault, uno scrittore francese del 1600. La conclusione di Perrault, tuttavia, è molto cruda, in quanto non arriva nessun cacciatore ad aprire la pancia del lupo e a salvare la fanciulla. L’autore mostra persino la preoccupazione didascalica di terminare la narrazione con un chiaro ammonimento, una morale rivolta alle belle bambine “che non seguono la retta via”. Invitando le ragazzine a guardarsi dai lupi che sono in giro, specialmente da quelli più fascinosi, Perrault solleva il grande tema sviluppato e ampliato dalle versioni orali: guardarsi dalle seduzioni sessuali, ma anche apprendere a fondo i compiti che lo status femminile comporta.
La figlia, la madre e la nonna nelle versioni arcaiche
Nonostante i fratelli Grimm trovino il modo di concludere con un lieto fine, tra le altre versioni popolari ne possiamo trovare alcune ben più crude. Paul Delarue, studioso francese della cultura popolare, ha pubblicato una versione orale più antica di quelle letterarie, in cui c’è un vero e proprio atto cannibalico: la bambina è invitata dal lupo travestito a mangiare parti del corpo della nonna e a berne il sangue. Nelle versioni popolari la nonna viene mangiata due volte, dal lupo e da Cappuccetto. Eppure, nell’interpretazione odierna, l’attenzione è incentrata solamente sul lupo e sulla ragazzina.
Ma come mai la bambina e la nonna sono concatenate nelle versioni arcaiche della fiaba? Perchè questa fase della storia riguarda l’acquisizione da parte della ragazzina pubere del potere di procreare tramite il pasto cannibalico: la bambina elimina un po’ sua madre quando raggiunge la pubertà, la elimina un po’ di più quando sperimenta l’atto sessuale, e definitivamente se quest’ultimo è procreativo. Un’interpretazione in cui la figura maschile del lupo svanisce, o meglio, si disvela per ciò che è davvero: la bambina si trova davanti ad una nonna molto pelosa, provvista di un fisico maschile di cui si imputa la causa alla vecchiaia. Il pelo viene associato al deterioramento, all’usura delle capacità riproduttive femminili. Il lupo rappresenta la stessa donna anziana che, privata di tutti i suoi attributi femminili, diventa uomo o una bestia selvatica. Dunque, piuttosto che con il lupo-nonna, abbiamo a che fare con una nonna-lupo.
Per concludere, la versione arcaica mette in luce la ciclicità della vita, della tradizione, analizzando il passaggio dalla pubertà all’età adulta di una ragazza. Un passaggio autonomo e indipendente dalla presenza maschile, tramite cui la fanciulla assorbe il dono della procreazione da sua nonna e da sua mamma.
La problematicità della maternità: la madre di Biancaneve
Ora che abbiamo trattato il passaggio dalla pubertà all’età adulta e la sessualità, passiamo a parlare di una fase successiva: la maternità.
Nella versione originale della fiaba di Biancaneve, le protagoniste della storia sono Biancaneve e sua madre. Non c’è nessuna matrigna. È la stessa madre di Biancaneve a volerla morta. Eppure, è stata la stessa madre a desiderare ardentemente una figlia. L’esigenza pedagogica dei tempi odierni e le imposizioni della morale cristiana hanno dovuto inventare l’esistenza di una matrigna malvagia e invidiosa della bellezza di Biancaneve.
Nella versione dei Grimm, l’interpretazione arcaica/rituale rappresenta invece una regina che, desiderando una figlia, sta compiendo in realtà un sortilegio che le permetterà di far proseguire la progenie. Per quale motivo sia la nonna, sia la madre di Cappuccetto, sia la madre di Biancaneve hanno la necessità di far proseguire la loro progenie? Perché l’eredità da trasmettere, di madre in figlia, è niente meno che la Dea. Questa dea-madre, secondo la tradizione, doveva reincarnarsi di generazione in generazione, di madre in figlia, ogni sette anni. Non a caso, nella fiaba originaria Biancaneve ha proprio sette anni quando sua madre inizia a volerla morta. Interessante notare anche che i colori rosso, bianco e nero di Biancaneve simboleggiano i “segni” che contraddistinguono i bambini che si reincarneranno nella Dea e nel Dio.
In ultima analisi, la madre di Biancaneve la vuole morta perché, quando la nuova ospite della Dea raggiunge l’età adatta alla reincarnazione, la vecchia ospite deve morire. La madre di Biancaneve vuole uccidere sua figlia prima di essere uccisa lei stessa da Biancaneve. Invertendo il processo, la madre vorrebbe solo vivere qualche anno in più, sfuggendo al crudele destino che il fato ha in serbo per lei.
La decostruzione del simbolico materno: madre e figlia oggi
Cosa rappresentano le fiabe arcaiche di Cappuccetto Rosso e Biancaneve in epoca odierna?
Per i popoli antichi la maternità era concepita in maniera molto diversa e lontana dall’orizzonte contemporaneo. Basti pensare al fatto che in altre fiabe meno famose dei Grimm vi sono madri che sacrificano i propri figli, li maledicono o li uccidono loro stesse.
In un’ottica razionalizzante, la madre di Biancaneve è una donna che ama se stessa più di quanto ami sua figlia; mentre Cappuccetto Rosso è una ragazzina che riesce ad autodeterminarsi e ad emanciparsi da sola.
Analizzare alcune fiabe famose in un’ottica diversa è diventata una tappa d’obbligo per il femminismo odierno. Decostruire l’istinto materno, in particolare, significa demolire dei dogmi cari alla psicanalisi, creando una nuova natura femminile libera di costruirsi e modificarsi da sé.
Alice Gaglio per Questione Civile
Bibliografia e sitografia
Yvonne Verdier, L’ago e la spilla. Le versioni dimenticate di Cappuccetto Rosso, Edizioni dehoniane, Bologna, 2015.
René Girard, La violenza e il sacro, Adelphi Edizioni, Milano, 1980.
A cura di Brunamaria Dal Lago Veneri, Jacob e Wilhelm Grimm. Tutte le fiabe, Newton Compton editori, Roma, 2011.
www.genius.com
www.fiabesca.net